Illustrazione di Đorđe Matić

Illustrazione di Đorđe Matić

Di cosa si occupa, come praticarlo e quali sono le difficoltà incontrate dal giornalismo investigativo. Ne parla Branko Čečen, direttore del Centro di giornalismo investigativo della Serbia (CINS)

22/08/2017 -  Branko Čečen Belgrado

(Originariamente pubblicato dal portale CINS ,il 7 agosto 2017)

Il giornalismo investigativo di solito viene spiegato giustapponendolo a quello informativo. Quest’ultimo è un genere veloce, a cui si ricorre quando vi è bisogno di trasmettere all’opinione pubblica, quanto più rapidamente possibile, fatti accaduti ieri, oggi o poco prima. In tali circostanze, il giornalismo non ha altra scelta che fermarsi alla superficie degli eventi, riportando ciò che è evidente, ovvero facilmente e velocemente attingibile, e verificabile. Perché, seppur veloce, il giornalismo informativo ha le stesse responsabilità, in termini di esattezza, di quello investigativo, e così dovrebbe essere anche in Serbia. Le sfide su questo versante sono molte, e la prima riguarda la completezza dell’informazione.

Ne sono un buon esempio le elezioni. In occasione delle elezioni del 2012 [in Serbia si sono tenute le politiche, presidenziali e amministrative, ndr], i media non hanno fatto altro che riportare le constatazioni degli osservatori internazionali e locali secondo cui le elezioni si sono svolte in modo equo e conforme alla legge. Nella città di Zaječar, tanto per fare un esempio, nonostante si fosse verificato un incidente, che ha visto Saša Mirković, leader del “Movimento operaio e contadino“, fare irruzione, in piena notte, nella sede della commissione elettorale comunale, i risultati delle elezioni sono stati considerati validi, portando alla formazione della nuova amministrazione comunale, e la vita ha continuato a scorrere come se nulla fosse successo.

Questo è giornalismo informativo, ovvero ciò di cui si occupa più spesso. Ma non per questo bisogna condannarlo, ciò è dovuto alle circostanze. A questo punto, però, dovrebbero intervenire i giornalisti investigativi.

Dopo diversi mesi di attività investigativa, compresi gli sforzi di spremere documenti dalle istituzioni statali, di comprendere le leggi elettorali e il ruolo delle istituzioni, nonché i vari metodi usati per conseguire vantaggi elettorali illeciti e ingiusti, nel 2016 CINS ha rivelato come, nel triennio preso in considerazione, tutti i principali partiti politici abbiano occultato finanziamenti illeciti delle proprie campagne elettorali e, sull’esempio di Zaječar, ha dimostrato che a primeggiare in questa tendenza è stato il Partito progressista serbo (SNS) che, durante le elezioni comunali del 2013, non aveva dichiarato le spese di oltre 1000 pernottamenti dei propri attivisti in un albergo della città, ed altre cose. Certo, questa è solo una città della Serbia, ma si può supporre che le cose siano andate nello stesso modo anche altrove, ma non lo si può affermare con certezza.

Si può affermare solo ciò che è stato provato. Il giornalismo investigativo esamina i fatti e la loro importanza in maniera ampia e approfondita, e alla fine tutte le proprie asserzioni le sostiene con prove. E nella prova sta la differenza tra un breve clamore mediatico e una denuncia penale, con conseguenti sanzioni, a volte detentive. O almeno sarebbe così, se le istituzioni facessero il proprio lavoro invece di fingere di partecipare al percorso verso l’Unione europea, mentre in realtà non fanno altro che sforzarsi di non infastidire chi è al potere.

Dal punto di vista giuridico, quando non vi sono prove è come se un evento non fosse nemmeno accaduto. Quando invece ve ne sono, e vengono rese note, è obbligo giuridico delle istituzioni statali reagire, e qualora non lo facessero, potrebbero andare incontro a sanzioni, mentre i giornalisti, se non altro, hanno rivelato che il sistema non funziona. Più di questo, senza un’adeguata reazione da parte della polizia e della procura, non si può conseguire facendo giornalismo. Ciò dovrebbe bastare.

Importanza

Il primo elemento che dovrebbe far parte della definizione di giornalismo investigativo appare, a prima vista, piuttosto chiaro: se si decide di occuparsi di un argomento per sei mesi, quanto dura in media un’inchiesta di CINS, è meglio che sia importante, altrimenti si rischia di spendere molto tempo ed energia inutilmente. Ma come decidere cos’è importante?

È importante, ad esempio, il fatto che la cantante Jelena Marjanović, protagonista del “Grand Show” trasmesso dalla tv Pink, sia stata uccisa? I media serbi evidentemente ritenevano che lo fosse. Si sono buttati sulla vicenda con tutta la crudeltà, il dilettantismo e l’energia di cui disponevano, facendo a gara a chi avrebbe pubblicato il maggior numero di esclusive, nonostante ben presto sia risultato evidente che nemmeno la polizia sapeva cosa fosse successo, figuriamoci se potevano saperlo gli impiegati dei tabloid. Nel 2016 Blic ha fatto oltre 30 menzioni di questa vicenda in prima pagina, Kurir oltre 70, e Alo e Informer oltre 90.

Suona crudele, ma dal punto di vista professionale questo argomento non riveste un’importanza tale da giustificare un’inchiesta giornalistica. O meglio, è importante per i familiari e conoscenti della vittima, per la procura e la polizia. Ma, purtroppo, per nessun altro a questo mondo farà una grande differenza se una donna è stata brutalmente uccisa, o se su questa vicenda ci saranno o meno nuove rivelazioni. L’unico aspetto di questo triste evento che riveste importanza dal punto di vista giornalistico riguarda il fatto che l’assassino è tuttora libero e potrebbe uccidere di nuovo. Eppure è proprio un atteggiamento critico nei confronti dell’operato della polizia ciò che è quasi del tutto assente dal modo in cui i media trattano questa vicenda.

I giornalisti dovrebbero dare importanza a quei temi che incidono in maniera significativa sulla vita della gran parte dei cittadini. Questo è ciò che importa. Inoltre, è importante occuparsi dei problemi che affliggono i gruppi più vulnerabili di una società, perché i giornalisti non rappresentano gli interessi della maggioranza dei cittadini bensì di tutti i cittadini.

Quindi, non tutto ciò che è interessante è importante. Capita spesso che qualcosa di molto noioso sia importante. Come ad esempio alcuni temi economici, le complesse questioni riguardanti l’integrazione europea della Serbia, oppure i piccoli difetti di varie leggi. Tutto ciò si ripercuote sulla vita di tutti o quasi tutti i cittadini serbi, ma la gente semplicemente non ha conoscenze sufficienti né energie per occuparsene. Pertanto, il lavoro dei giornalisti investigativi consiste, sempre più spesso, anche nel rendere più interessanti questi temi.

Indagini

Anche il secondo elemento della definizione di giornalismo investigativo dovrebbe essere inconfutabile: non occorre indagare su cose ben note, vero?

Non sempre. Quando Insajder aveva mandato in onda una serie di trasmissioni dedicate alla “mafia del calcio“, i giornalisti sportivi, seduti alle kafane belgradesi, brontolavano che loro già “sapevano tutto”, che “tutta la città lo sapeva” e che quello riportato nei servizi di Insajder “è ben lungi dall’essere tutto”. Tutte e tre le affermazioni erano ipocrite. La prima perché se lo sapevano, e non lo hanno reso noto, allora non erano granché come giornalisti. La seconda perché non era vera: il fatto che il loro giro di conoscenti spettegolava su qualcosa non vuol dire che “sapessero” qualcosa, e tanto meno che l’intera società lo sapesse. E la terza perché i colleghi di Insajder, così come tutti i giornalisti responsabili, non pubblicano ciò che non possono provare, o almeno confermare da più fonti indipendenti. Provare qualcosa risulta difficile anche per la polizia e la procura, persino quando intendono davvero indagare su qualcosa, e per i giornalisti risulta estremamente difficile in quanto non hanno né i diritti né i poteri di ingerenza di cui dispone un apparato statale repressivo.

E nel caso lo stato non avesse fatto il proprio lavoro da solo, dovrebbe farlo una volta che i giornalisti investigativi aprono il tema. Questo, purtroppo, accade molto raramente. Ma una cosa è certa: ciò che “tutti sanno” e ciò che è stato provato non sono la stessa cosa. Ed è per questo che i giornalisti investigativi a volte si occupano dell’accertamento di anomalie, più o meno conosciute, di una società, allo scopo di informarne i cittadini, ma anche di spingere le istituzioni ad agire.

Le istituzioni potrebbero, ad esempio, venire in possesso di informazioni relative ai conti correnti delle imprese di proprietà di Andrej Vučić, fratello minore di Aleksandar Vučić, e delle persone a lui legate. “Si dice” che Andrej Vučić si sia molto arricchito, in maniera illecita, approfittando del potere politico di suo fratello. Se si dimostrasse vero, ciò sarebbe, ovviamente, pessimo, perché significherebbe che questo paese non appartiene ai suoi cittadini bensì ai politici al potere, ai quali è consentito arricchirsi illecitamente, il che automaticamente significa alle spalle dei cittadini. Per cui è del tutto lecita la domanda dei cittadini ai quali giungono queste voci sul perché i media non ne parlano.

Sapete cosa? Andrej Vučić è innocente finché non viene eventualmente condannato da un tribunale. E i giornalisti non dovrebbero pubblicare informazioni sul suo presunto arricchimento illecito finché non trovano prove inconfutabili. Punto. I giornalisti investigativi sono soltanto giornalisti e sono pochi. In Serbia svolgono un lavoro fantastico, ma certe cose deve farle lo stato. CINS e altri giornalisti investigativi possono giungere soltanto alle prove accessibili per via legale, e questa via negli ultimi anni sta diventando sempre più stretta e tortuosa.

Certo, quando si riesce a fare luce su qualcosa di cui prima non si sapeva nulla, risulta particolarmente vantaggioso per la società. CINS ha, ad esempio, scoperto e per anni indagato sugli affari sporchi di Branislav Švonja, al quale il governo della Vojvodina aveva affidato l’incarico di direttore ad interim del Fondo per l’assistenza alle persone rifugiate, rimpatriate e sfollate. Le aziende di sua proprietà, e quelle a lui legate, da anni perpetravano truffe ai danni di molte aziende, istituzioni e organizzazioni, e l’unico modo di venire a conoscenza delle informazioni al riguardo, a meno che non si fosse stati direttamente danneggiati, era tramite storie investigative, dettagliate e basate su prove, pubblicate con ostinazione sul sito di CINS.

È così raro che gli organi statali intraprendano azioni concrete sulla base delle rivelazioni dei media che siamo rimasti veramente scioccati quando, nel marzo di quest’anno, abbiamo saputo che Branislav Švonja è stato arrestato. Semplicemente non riuscivamo a crederci, anche perché poco prima dell’arresto, e a dispetto del fatto che di lui si sapeva ormai tutto grazie alle informazioni pubblicate sul nostro sito , il governo della Vojvodina gli aveva affidato un incarico di responsabilità. Alla fine però Švonja è stato arrestato, senz’altro anche grazie alle nostre inchieste.

Documenti

Il terzo elemento della definizione potrebbe risultare meno chiaro ai “non giornalisti”. Una cosa è scavare per mesi in cerca delle prove, e tutta un’altra quando un rivale politico o d’affari di un uomo potente vi chiama per consegnarvi certi documenti. Non è che i giornalisti investigativi rifiutino tali documenti, al contrario. Ma per loro quello dovrebbe essere solo l’inizio di un lungo percorso verso una storia basata interamente su prove e osservata da tutti i lati, il che presuppone una verifica indipendente dell’autenticità dei documenti ricevuti e del loro contesto. Per evitare che quei documenti si rivelino parziali o falsi, o che il problema indagato poi risulti essere solo un piccolo tassello di una vicenda molto più complessa. Il nostro lavoro è informare a tutto tondo i cittadini, e non dare loro un piccolo pezzo di un puzzle, lasciando che se la cavino da soli in cerca del suo significato. Perché il contesto è ciò che dà significato ai fatti.

I media veloci spesso si limitano a interpellare il protagonista dei documenti trapelati per avere una sua reazione, pubblicandola il giorno successivo con un minimo di contesto.

Questo non è giornalismo, è sensazionalismo. Nelle democrazie sviluppate i media veloci non lo farebbero mai, almeno non quelli professionali, mentre nella maggior parte delle democrazie sviluppate nemmeno i tabloid lo farebbero, a meno che non siano disposti a pagare ingenti risarcimenti per contenziosi giudiziari.

Il giornalismo pseudo-investigativo

I problemi con cui si confronta il giornalismo investigativo in Serbia sono molti. Ecco i principali:

- non ce n’è abbastanza

- è bandito dai media più seguiti (canali televisivi a copertura nazionale)

- è demonizzato dai media filogovernativi

- le misure di protezione dei giornalisti, compresi quelli investigativi, sono insufficienti e inadeguate

- il mercato della pubblicità non è equo né libero

Tuttavia, in un testo come questo, il cui obiettivo principale è quello di aiutare coloro che non sono giornalisti professionisti a riconoscere un giornalismo investigativo credibile, occorrerebbe principalmente sottolineare il problema del giornalismo pseudo-investigativo. Assomiglia al vero giornalismo investigativo, finge di esserlo, ma in realtà agisce nell’interesse di vari centri di potere politico, economico e persino criminale. Il più delle volte, ovviamente, nell’interesse di chi sta al governo. Contemporaneamente, non esita a violare alcune delle regole principali della professione, un aspetto che un cittadino comune non riesce a scorgere così facilmente.

Agire al servizio di interessi particolari, anziché nell’interesse dei cittadini, rappresenta, ovviamente, la violazione del primo principio deontologico della professione giornalistica: i giornalisti devono lavorare nell’interesse di tutti i cittadini e non di politici, uomini d’affari o criminali, a prescindere dalla loro affiliazione. Certo, anche questi ultimi sono cittadini, ma detengono il potere, sia esso legittimo o illegittimo, e i giornalisti dovrebbero cercare di svelare all’opinione pubblica eventuali abusi di tale potere, indipendentemente dalle proprie opinioni politiche, o di qualsiasi altro tipo, e da quelle dei loro colleghi, e soprattutto evitando di farlo in cambio di denaro o altri favori.

Se un giornalista decide di rendere noti gli abusi di potere che coinvolgono solo una parte dello spettro politico, può produrre un’ottima storia investigativa dal punto di vista tecnico, ma ciononostante violerà uno dei principi fondamentali della professione, quello di imparzialità.

È proprio questo l’aspetto più problematico dello pseudo-giornalismo – lo si può sempre cogliere nel violare le norme deontologiche, e i cittadini non sono né devono essere esperti di etica e deontologia del nostro mestiere. È all’interno della stessa professione giornalistica che dovrebbe essere risolto questo problema, ma perché ciò avvenga deve esserci un adeguato appoggio da parte dello stato o almeno una magistratura indipendente.

Un buon esempio di giornalismo pseudo-investigativo è rappresentato dalla domanda sollecitata, durante la recente campagna elettorale per le presidenziali, dai giornalisti del Centro di investigazione sulla corruzione (CIK): come mai il candidato Saša Janković ha “una lussuosa Audi A6 con cui sta girando la Serbia?”. Tale domanda sembra del tutto legittima – i cittadini dovrebbero sapere quanto spendono i candidati per le proprie campagne elettorali e da dove vengono quei soldi. È per questo che CINS ha indagato anche su meccanismi di finanziamento delle campagne elettorali.

Tuttavia, la sola domanda sull’automobile di Saša Janković non può ritenersi legittima in quanto irrispettosa di una delle norme particolarmente importanti della professione giornalistica: il cosiddetto contesto adeguato. Lasciamo da parte il fatto che il comitato elettorale di Janković non ha mai risposto a quella domanda (anche se avrebbe dovuto farlo subito), e che l’automobile in questione, come si è saputo in seguito, è stata messa a disposizione, a titolo gratuito, da un comune cittadino. Se si intende indagare sulle spese sostenute durante una campagna elettorale, occorre indagare su tutti i partecipanti alla stessa, a cominciare da quelli che hanno speso di più. Non bisogna essere esperti per capirlo. Dunque, richiamiamo alla mente gli standard professionali, collochiamo i fatti in un contesto adeguato, indaghiamo sull’Audi A6 usata da Janković ma anche sulle spese sostenute da altri candidati presidenziali, cerchiamo di distinguere tra pratiche lecite e illecite, e alla fine mettiamo tutti i dati a confronto. Solo così facendo si potrà fornire ai cittadini un quadro più adeguato circa la legalità ed equità del processo elettorale. Quello che vediamo all’opera nel caso di cui sopra è quindi un giornalismo selettivo, che viola le norme deontologiche senza che necessariamente i cittadini se ne accorgano.

Mentre l’esempio dell’Audi A6 è piuttosto innocuo, quasi disperato, molto più serio e illustrativo è quello del feuilleton della giornalista del quotidiano Politika Jelena Popadić, intitolato “Le vie del denaro americano in Serbia“. Anche questo argomento è apparentemente del tutto legittimo, perché l’influenza di una superpotenza in un piccolo, povero paese dei Balcani non può essere esigua né irrilevante, soprattutto se esercitata attraverso finanziamenti nascosti. Per di più, in un paese di teorici del complotto, bombardato dagli Stati Uniti sotto il mantello della NATO, dove si parla largamente del sistema HAARP, di vaccini dannosi e altre sciocchezze simili come di dati di fatto ormai consolidati, attestanti l’esistenza di meccanismi segreti di controllo su di noi e sui danni arrecatici, un titolo del genere semplicemente non può non suscitare l’attenzione.

Apparentemente non vi è nulla di discutibile in questo feuilleton. La fonte dei dati relativi ai finanziamenti erogati a diverse organizzazioni non-governative in Serbia è il Foundation Center statunitense, che nel testo viene definito come “uno dei database più aggiornati” delle donazioni effettuate da fondazioni statunitensi all’estero. Il feuilleton cita donazione per donazione, specificando per che cosa sono stati “ricevuti” i soldi.

Allora, qual è il problema?

Di problemi ce ne sono incredibilmente tanti. Il primo e principale è quello dell’esattezza. Non sappiamo per le altre organizzazioni, ma per quanto riguarda CINS possiamo affermare che l’importo del finanziamento assegnatoci dal NED (National Endowment for Democracy), menzionato nel feuilleton, era superiore a quanto reso noto, perché nel database di cui sopra vengono registrate solo le somme già erogate, e in questo caso era rimasta un’ulteriore, piccola tranche da erogare.

Ma com’è stato possibile un errore simile, che CINS non si permetterebbe mai di commettere, figuriamoci di perdonarselo? La risposta è molto semplice: queste cose succedono quando ci si affida a un’unica fonte, una sola. Questo significa che Jelena Popadić e i suoi caporedattori non hanno rispettato nemmeno la più basilare norma della professione, che ormai viene data per scontata: ascoltare anche “l’altra parte“. Non ci hanno nemmeno chiamati, se lo avessero fatto avremmo volentieri raccontato di tutte le donazioni ottenute, e di come alla fine di ogni anno fiscale consegniamo all’Agenzia del Registro delle Imprese un rendiconto finanziario delle attività svolte, con tutti i dati pertinenti. E ancora più importante, in fondo ad ogni testo investigativo pubblicato sul nostro sito è chiaramente precisato in che modo è stata finanziata la sua realizzazione, specificando il titolo del progetto e i dati relativi al donatore.

Quindi, quella “rivelazione” della giornalista di Politika era già pubblicamente disponibile sul nostro sito.

A questo punto viene da chiedersi se tutto questo sia importante per i cittadini. Sarebbe importante se le nostre storie non fossero vere né di interesse pubblico, e se si dimostrasse che non ci siamo arrivati da soli, ovvero che stiamo lavorando per un determinato gruppo di interesse. Ma di questo l’autrice del feuilleton non si è occupata. Ha solo additato CINS, accusandolo di ricevere denaro americano.

Contesto adeguato

E ora, il contesto. Tralasciamo per il momento le inesattezze e le violazioni delle norme più basilari della professione, e vediamo perché è importante il contesto. È il contesto che dà significato ai fatti. Solo il contesto, nient’altro.

Se un uomo uccide il vostro cane, non è di certo una buona persona, ma se il cane stava per uccidere lui, allora siete voi ad essere una cattiva persona, o almeno un cattivo proprietario di cane. Se invece quell’uomo punzecchiava il cane con un coltello, è un delinquente, e così via.

Nel nostro caso, il contesto è del tutto assente. Se Jelena Popadić avesse contattato CINS, le avremmo spiegato, nel caso non lo sapesse già, che i soldi non si “ricevono” ma si vincono attraverso bandi, presentando buoni progetti che offrono qualità adeguata rispetto ai mezzi assegnati; che ogni dollaro speso deve essere giustificato; che i donatori non si immischiano nella politica editoriale, e le avremmo fornito tutte le informazioni di suo interesse. Questa è la nostra politica: totale apertura e trasparenza. Certo, anche noi saremmo molto interessati ad avere maggiori informazioni sulla distribuzione delle risorse finanziarie, e soprattutto delle quote proprietarie di Politika, ma questa è già un’altra storia.

Il punto importante qui è che questi finanziamenti vengono assegnati secondo criteri ben precisi, e che il loro ammontare è tale da permetterci di retribuire i nostri giornalisti con uno stipendio intorno alla media nazionale o inferiore ad essa, ma non anche di assumerli con un contratto stabile. Il giornalismo investigativo è costoso. Un’altra cosa che avremmo detto a quella giornalista di Politika è che abbiamo vinto un finanziamento anche ad un bando per progetti in tema di stato di diritto. Forse ve n’è troppo di stato di diritto in Serbia? Non vi è alcun bisogno di occuparsi di questo tema?

La domanda chiave è perché viene suggerito che lavoriamo nell’interesse degli Stati Uniti? Ben più consistenti sono i finanziamenti che ci sono stati assegnati dall’Unione europea, alla quale la Serbia si sta affrettando ad aderire. Allora, vuol dire che stiamo lavorando anche negli interessi dell’Ue? Ma sono interessi diversi da quelli americani. Anch’essi sono nocivi per la Serbia? E cosa dire dei soldi vinti ai concorsi indetti dal ministero serbo della Cultura e dell’Informazione? Quali interessi si celano dietro di essi?

In che modo, scrivendo su crimine e corruzione in Serbia, rappresentiamo gli interessi degli Stati Uniti e perché sono problematici solo i soldi americani? Non è che questo ci dice qualcosa sugli interessi di quella giornalista di Politika e dei suoi caporedattori? Infine, ci si chiede se loro, visto che presumono che noi lavoriamo negli interessi degli Stati Uniti solo perché spendiamo i soldi americani, ritengano normale agire al servizio degli interessi di chi li finanzia anziché nell’interesse dei cittadini? Noi non lo riteniamo normale e non lasciamo (e nessuno ce lo chiede) che ci si immischi nella nostra politica editoriale.

E soltanto quando riuscirà a provare il contrario, la collega Popadić avrà una storia. L’unico problema è che la sua ipotesi semplicemente non è vera.

Ancora più importante è la domanda se quello di cui si occupa il feuilleton sia tutto il denaro americano presente in Serbia, o almeno gran parte di esso. Visto che il titolo parla delle “vie del denaro americano in Serbia“. Non solo non lo è, ma rappresenta soltanto una piccola parte insignificante dei soldi pubblici statunitensi arrivati in Serbia dopo la caduta del regime di Milošević, e che continuano ad arrivare, anche se Donald Trump, a quanto pare, ne ridurrà in misura significativa la quantità. Chi ha preso quei soldi? Il governo serbo. Continua a prenderli? Sì. Politika ha deciso di verificare come e per che cosa il governo aveva speso quei soldi? No. Ha bollato i funzionari del governo come mercenari stranieri, o quanto meno come fruitori sospetti di denaro americano? No. Eppure questi ultimi ne hanno speso parecchie centinaia di volte di più di noi, e ciò non poteva non avere ripercussioni, positive o negative, sulla vita di milioni di cittadini serbi.

In sintesi, in quel feuilleton pseudo-investigativo, e persino pseudo-giornalistico, presentato come frutto di giornalismo investigativo, è stato commesso un grave inganno nei confronti dei cittadini della Serbia, danneggiando il buon nome del giornalismo investigativo che i nostri colleghi pagano caro sui loro biglietti da visita. Basta chiederlo a Brankica Stanković.

Pubblicazione

Questo testo è l’introduzione ad una pubblicazione corposa sul giornalismo investigativo e pubblicata originariamente da Cenzolovka e CINS col titolo “Cos’è e cosa non è il giornalismo investigativo ”. [Pdf testo in serbo, 104 pp.]

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto


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