In un clima di tensione crescente all'interno del paese, la sede del quotidiano turco Hürriyet Daily è stata attaccata due volte nel giro di 48 ore
La sera dell'8 settembre un gruppo di persone ritenute vicine al partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) ha preso d'assalto la sede del quotidiano Hürriyet Daily ad Istanbul. Gli assalitori sono stati bloccati all'entrata dell'edificio dal corpo di sicurezza privato, mentre il personale della testata ha denunciato il numero insufficiente di forze di polizia schierate nei pressi dell'edificio, nonostante un precedente attacco fosse avvenuto solo due giorni prima, il 6 settembre.
Le due aggressioni sono avvenute in seguito alle critiche espresse da parte del presidente Erdoğan nei confronti del quotidiano per aver a suo avviso deliberatamente distorto una sua dichiarazione. La vicenda fa riferimento ad un'intervista rilasciata il 6 settembre, poco dopo l'attacco da parte del PKK nella zona di Dağlıca, nel corso della quale Erdoğan aveva affermato: "Se un partito politico avesse raggiunto la soglia di 400 seggi, o un numero sufficiente di seggi per modificare la costituzione, la situazione oggi sarebbe molto diversa." Nel resto dell'intervista Erdoğan aveva fatto riferimento al Partito della Democrazia del Popolo (HDP), 80 seggi in parlamento, a suo avviso responsabile della situazione di tensione crescente all'interno del paese.
Poco dopo questa dichiarazione, la versione online di Hürriyet ha pubblicato un articolo dal titolo "La posizione di Erdoğan sull'attentato di Dağlıca", secondo il quale il presidente Erdoğan, imputando la tensione crescente nel paese al mancato raggiungimento dei 400 seggi in parlamento da parte dell'AKP, avrebbe implicitamente attribuito anche l'attentato di Dağlıca alla stessa causa.
L'articolo è stato ritirato dopo pochi minuti in seguito alla reazione di molti lettori che hanno accusano la testata di aver manipolato le parole di Erdoğan. Ma l'accusa di mancanza di integrità alla testata da parte del presidente era già stata formulata e diffusa, e a differenza dell'articolo di Hürriyet, non è mai stata ritirata.
Responsabilità
Il caporedattore di Hürriyet Daily, Sedat Ergin, punta il dito contro il presidente e il primo ministro: "Se loro avessero condannato il primo attacco, molto probabilmente non ce ne sarebbe stato un secondo. Il numero di poliziotti schierati a difesa dell'edificio era insufficiente, così gli assalitori sono riusciti ad avvicinarsi all'edificio. Il cordone di sicurezza da parte della polizia è stato inefficace. Trovo che ci sia una responsabilità molto chiara da parte del presidente e del primo ministro." E aggiunge: "In quanto giornalisti indipendenti, non faremo concessioni. Non ci faremo scoraggiare dalle pressioni ricevute finora. Continueremo a fare il nostro lavoro con determinazione.”
Anche la direttrice di Hürriyet, Vuslat Doğan Sabancı, ha rilasciato una dichiarazione in merito agli attacchi contro la sede della testata: "Non è un problema che riguarda solo Hürriyet. È in gioco il futuro della democrazia in questo paese." Sabancı ha inoltre indicato che questi ripetuti attacchi sarebbero parte di una strategia intimidatoria.
Fra le persone presenti al momento del secondo attacco alla sede di Hürriyet, avvenuto l'8 settembre, c'era anche Abdurrahim Boynukalın, deputato del parlamento turco e capo della sezione giovanile dell'AKP. Boynukalın, che afferma di essere arrivato sul posto con l'intento di placare la tensione, è stato ripreso mentre si rivolge alla folla con parole tutt'altro che concilianti: "Da questo momento non c'è più alcuna differenza fra HDP, PKK, il quotidiano Zaman e il gruppo editoriale Doğan [del quale fa parte anche Hürriyet]: sono tutte organizzazioni terroristiche. A prescindere dal risultato elettorale del 1 novembre, Erdoğan sarà il nostro presidente". A quest'invettiva, che mette sullo stesso piano organi di informazione e terroristi, non sono seguite smentite. Pare invece che la presa di posizione così decisa sia stata apprezzata, visto che il controverso deputato è stato scelto pochi giorni dopo, il 12 settembre, per una carica all'interno del congresso dell'AKP.
Verso le elezioni politiche del 1 novembre
L'escalation di questi ultimi giorni si somma ad una lunga serie di attacchi contro media e giornalisti che riflette la crescente tensione politica nel paese in vista delle elezioni del 1 novembre. Il giro di vite colpisce in primo luogo i media nazionali e locali ma non risparmia i giornalisti stranieri presenti nel paese.
Il 27 agosto, due giornalisti britannici di Vice News, Jake Hanrahan e Philip Pendlebury, sono stati arrestati nella zona di Diyarbakir, nel sud-est della Turchia, con l'accusa di connivenza con organizzazioni terroristiche. Rilasciati dopo una settimana, sono stati immediatamente espulsi dal paese.
Una vicenda simile è toccata alla giornalista olandese Frederike Geerdink, da tempo impegnata come corrispondente da Diyarbakir. Arrestata il 5 settembre e processata in merito ad un suo articolo sui recenti scontri fra militanti del PKK ed esercito turco, la giornalista è stata espulsa dal paese, il 10 settembre. Secondo il comunicato emesso dalla Federazione Europea dei Giornalisti, le autorità turche la accusano "di aver messo a repentaglio un'operazione militare e di sostegno ad un'organizzazione terroristica".
È la terza espulsione di un giornalista straniero nel giro di poche settimane, a conferma del fatto che le autorità turche non gradiscono la presenza di stampa straniera sul territorio. Le autorità stanno cercando di intimidire in ogni modo i giornalisti che lavorano nel sud-est del paese, per limitare la diffusione di informazioni sull'escalation di violenza avvenuta proprio in quelle zone nelle ultime settimane.
L'ultimo episodio
Domenica sera la polizia è entrata negli uffici del magazine Nokta e ha imposto il ritiro dell'edizione settimanale del magazine su ordine del Procuratore di Istanbul. L'accusa ai danni del magazine è di propaganda di un'organizzazione illegale e oltraggio al presidente.
Sulla copertina del numero fatto ritirare dalle edicole compare una foto del presidente Recep Tayyip Erdoğan nell'atto di farsi un autoscatto davanti alla bara di un soldato morto.
Il giornalista di Nokta Fatih Vural riferisce a Bianet: “Nokta gode di una reputazione consolidata nel paese, per aver sempre pubblicato notizie e copertine 'coraggiose'. Fino ad ora, non ci eravamo mai scontrati con una reazione come questa da parte delle autorità. Guardando a come sono cambiate le reazioni nei confronti di questo magazine, si capisce molto della trasformazione che sta interessando la Turchia, ed è evidente che ci sia stata un'involuzione.”
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
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