Una protesta di giornalisti turchi ad Izmir, Turchia © idiltoffolo/Shutterstock

Una protesta di giornalisti turchi ad Izmir, Turchia © idiltoffolo/Shutterstock

Detenzioni arbitrarie, pestaggi, sorveglianza di massa, una legge manipolativa sulla disinformazione, un sistema giudiziario politicizzato e pressioni finanziarie, tutto ciò rende la Turchia un luogo molto ostile per il giornalismo. Le cose possono peggiorare per coloro che sono fuggiti dai loro paesi d'origine

La nuova legge turca sulla disinformazione, che ne criminalizza la diffusione, ha iniziato a fare le sue vittime. Solo quest'anno sono stati aperti 19 procedimenti penali contro giornalisti, la maggior parte dei quali in seguito al lavoro di informazione sui terremoti che hanno colpito il paese lo scorso febbraio. Le critiche contro l'operato del governo  durante l'emergenza han finito per essere equiparate alla diffusione di informazioni false. È stato il caso del giornalista Can Ataklı , quando ha commentato la negligenza dello stato durante il terremoto. Il vicepresidente del partito MHP Feti Yıldız ha presentato una denuncia contro il giornalista per crimini di diffusione pubblica di informazioni false, insulto ai valori religiosi e insulto allo stato.

Allo stesso tempo, gli organismi di regolamentazione dei media turchi hanno tutti abusato dei loro poteri per colpire e penalizzare i media indipendenti. Nella prima metà del 2023, il regolatore RTUK ha imposto 31 multe, per un valore di circa 800.000€, a media che per la maggior parte sono critici nei confronti del governo. Allo stesso tempo, l'Agenzia statale per la pubblicità della stampa ha imposto sanzioni finanziarie ai giornali indipendenti ritirando le commissioni e negando loro un'importante fonte di entrate. Ignorando una sentenza della Corte costituzionale contro le sanzioni arbitrarie dell'agenzia, il giornale Evrensel, spesso molto critico nei confronti del governo, si è così visto revocare definitivamente il diritto di ricevere e pubblicare annunci istituzionali retribuiti.

Nel 2022, l'Autorità per le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (BTK) è stata coinvolta in uno scandalo noto come "BTK-Gate", in seguito alla rivelazione che obbligava i fornitori di servizi Internet a fornire i dati di milioni di utenti Internet senza un ordine del tribunale, una forma di sorveglianza di massa che mette a repentaglio i diritti dei giornalisti e delle loro fonti.

Anche la sicurezza dei giornalisti è sempre più minacciata. La piattaforma Mapping Media Freedom, gestita dal consorzio MFRR, ha registrato 26 casi di aggressioni contro giornalisti in Turchia solo nell'ultimo anno. È il caso di 14 giornalisti che sono stati attaccati dalla polizia nel distretto di Muğla, nel sud-ovest della Turchia, dove attivisti ambientali e residenti stavano protestando contro la costruzione di una miniera di carbone. Gli ufficiali di polizia hanno attaccato manifestanti e giornalisti con manganelli, cannoni ad acqua e gas lacrimogeni. L'equipaggiamento di diversi reporter è stato danneggiato o distrutto durante l'attacco. Queste forme di violenza derivano anche dalla demonizzazione del giornalismo critico inteso come illegittimo, minaccia alla sicurezza nazionale e persino equiparato al terrorismo. Il fatto che queste aggressioni spesso si traducano in impunità nei tribunali alimenta il rischio che i perpetratori si sentano al sicuro e autorizzati a continuare con le loro azioni.

In effetti, non c'è spazio per un miglioramento della libertà di stampa in Turchia senza che venga affrontata la questione chiave: la mancanza di imparzialità e indipendenza della magistratura. La politica turca influenza pesantemente il lavoro di tribunali, pubblici ministeri e giudici. Insieme a leggi mal redatte che lasciano ampi margini di manipolazione e interpretazione, è molto difficile per i giornalisti ottenere giustizia quando i loro diritti vengono violati.

Proprio come in Afghanistan

Per i giornalisti con lo status di rifugiato o migrante, la situazione è ancora peggiore, poiché rischiano la deportazione o il ricatto se finiscono intrappolati nella rete repressiva lanciata contro il giornalismo. Alcuni giornalisti siriani contattati da RSF lo scorso mese di luglio testimoniavano così: "Il mio datore di lavoro mi ha avvertito che se non mi presento al lavoro, verrò licenziato. D'altra parte, se vado per strada, potrei essere catturato e rimandato in Siria. Non so cosa fare".

Parlando con OBCT, il coordinatore generale di Medya ve Göc Dernegi (Associazione per i media e la migrazione) Dilan Taşdemir ha sottolineato la necessità che i media del paese collaborino con giornalisti che appartengono alle comunità rifugiate, quando scrivono di migrazione. Ciò avrebbe un impatto significativamente positivo sulla rappresentazione dei rifugiati nei media in tutta la Turchia.

L'associazione ha recentemente organizzato tre focus group rispettivamente con giornalisti turchi, siriani e afghani. I giornalisti rifugiati in Turchia affrontano problemi ulteriori che rendono più difficile per loro lavorare e guadagnarsi da vivere, problemi che derivano dalla necessità di ottenere un permesso rilasciato dalle autorità per trasferirsi o per viaggiare da una città all'altra, l'obbligo di tornare nella città registrata prima della scadenza del permesso, l'impossibilità di lavorare e guadagnare denaro al di fuori della città in cui risiedono.

E se ai rifugiati siriani viene concesso lo status di protezione temporanea, già di per sé inadeguato, qualcuno giunto dall'Afghanistan deve percorrere un processo molto più lungo e doloroso per ottenere diritti analoghi, un processo che è spesso doloroso e traumatizzante per qualcuno che è fuggito dal regime oppressivo dei talebani. Per molti, la differenza tra essere un giornalista in Afghanistan ed essere un giornalista in Turchia è del tutto trascurabile. "Fare giornalismo in Turchia è pericoloso quanto in Afghanistan", ha precisato uno dei giornalisti rifugiati.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del Media Freedom Rapid Response (MFRR), cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea.

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