Commissione europea, Bruxelles, Belgio © symbiot/Shutterstock

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Dal 2007, anno dell’ingresso della Romania nell’UE, nel paese sono affluiti oltre 62 miliardi di euro dall’UE. Sarebbero potuti essere di più, ma lo stato romeno non è riuscito ad attirarli tutti. Perché?

06/02/2024 -  Laura Popa

(Originariamente pubblicato dal nostro partner di progetto PressOne )

Nel gennaio 2007, quando la Romania ha festeggiato la sua adesione all’Unione europea, oltre la metà della popolazione nel paese non aveva fognature, il rapporto PIL/pro capite era inferiore alla metà della media europea e il salario netto medio era di 1.042 lei [circa 210 Euro]. Il paese guardava con fiducia al progetto europeo (il livello di fiducia nell'UE nel 2007 era al 75%) e con speranza alle decine di miliardi di Euro comunitari destinati a strade, acqua, fogne, scuole e ospedali. La Romania sognava di essere un paese moderno.

Sedici anni dopo, il PIL pro capite della Romania è vicino a quello di Ungheria e Polonia, il salario netto medio ha raggiunto i 4.593 lei [920 Euro] e nel paese sono affluiti più di 62 miliardi di Euro dall'Unione europea. Sarebbero potuti essere di più, ma lo Stato non è riuscito ad attirarli tutti. PressOne spiega perché.

La Romania beneficia dei fondi UE sin dalla pre-adesione

La politica di coesione è lo strumento principale con cui l’UE investe nei suoi paesi membri. A che scopo? Ridurre le disparità economiche, sociali e territoriali all’interno del blocco europeo. Dal 2007, la politica di coesione ha portato alla Romania decine di miliardi di Euro.

"Quasi sedici anni dopo l'adesione, la Romania ha contribuito con circa 21 miliardi di Euro al bilancio dell'UE e, parallelamente, ha ricevuto 62 miliardi di Euro. Quindi un saldo positivo di almeno 41 miliardi", spiega Ana-Maria Icătoiu, esperta in materia di accesso ai fondi UE e vicepresidente dell'Organizzazione delle donne imprenditrici UGIR (OFA).

I fondi dell’UE sono affluiti in Romania sin dalla fase di pre-adesione, dando impulso ad alcuni settori, come l’agricoltura.

"Prima di entrare nell'UE, la Romania disponeva di alcuni programmi sul riscaldamento, i cosiddetti programmi PHARE, che hanno permesso di costruire molti impianti di trasformazione. E questo ha dato i suoi frutti, perché ha consentito il passaggio ai fondi europei", spiega a PressOne l'analista economico Constantin Rudnițchi.

Eppure, l’esperienza pre-adesione non sembra aver aiutato molto la Romania. A causa delle difficoltà burocratiche e strutturali e, a volte, della riluttanza dei decisori politici ad utilizzare i fondi europei, che sono molto più severamente controllati, il paese lotta ancora per risorse che altri membri attraggono molto più facilmente.

Nel primo settennato finanziario, quello del 2007-2013, la Romania ha attirato con grandi sforzi burocratici il 91% dei fondi disponibili.

Per il periodo seguente, quello 2014-2020, la Romania aveva a disposizione 41 miliardi di Euro di fondi UE, ma è riuscita ad attrarne solo l'82%.

Oggi la Romania è al suo terzo settennato finanziario: ha a disposizione 46 miliardi di Euro (compresa la parte di cofinanziamento), ma anche i fondi del Programma nazionale di sviluppo rurale (NRDP), con oltre 30 miliardi.

Primo contatto con i fondi UE. Prime priorità

Le prospettive oggi non appaiono però positive. Se l’UE si espanderà, i fondi di coesione che riceverà la Romania saranno molto inferiori a quelli attuali. "È praticamente l'ultimo treno sul fronte della coesione", afferma l'eurodeputato REPER Dragoș Pâslaru.

Dopo l’adesione, la Romania ha potuto accedere ai fondi UE per l’anno finanziario 2007-2013, per un totale di circa 27 miliardi di Euro nell’ambito di sette programmi operativi.

Le priorità all’epoca erano gli investimenti in infrastrutture e accessibilità, ovvero nuove strade. Al secondo posto troviamo la ricerca e l'innovazione, le PMI, l'istruzione e la formazione, l'inclusione sociale e l'ambiente.

"Alla fine del primo periodo di programmazione, 2007-2013, a causa della pessima situazione in termini di assorbimento reale alla fine del periodo, cioè intorno al 2014-2015, perché ogni volta il periodo viene prorogato di un anno o due, sono stati realizzati alcuni escamotage: alcuni progetti di investimento, molti dei quali realizzati dagli enti locali, compatibili con il programma regionale di allora, sono stati finanziati con fondi europei. Pavimentazioni, parchi, strade, investimenti locali", racconta Icătoiu.

Nonostante il denaro stanziato per la Romania nel periodo 2007-2013 non sia stato interamente attratto, i fondi di coesione hanno rappresentato il 35% del totale degli investimenti pubblici effettuati dalle autorità nel periodo in questione, come affermato dall’ex primo ministro Nicolae Ciucă nell’aprile 2023.

Sette anni fatti in dieci

Sette anni dopo, il nuovo ciclo finanziario 2014-2020 è stato negoziato e votato a livello UE per raggiungere gli obiettivi di "Europa 2020". Per il periodo 2014-2022 erano previste ben undici aree di investimento, tra cui ricerca, sviluppo e innovazione, digitalizzazione, PMI più competitive, transizione verso un'economia verde, gestione del rischio e cambiamento climatico, conservazione e tutela dell'ambiente, trasporti e investimenti sostenibili nell’istruzione e nella formazione per combattere ogni forma di discriminazione.

Alla Romania sono stati stanziati 41 miliardi di Euro dai Fondi strutturali e di investimento europei, di cui oltre 35 miliardi dal solo bilancio europeo attraverso la politica di coesione.

Il denaro passa da otto programmi operativi gestiti da tre autorità: il ministero degli Investimenti e dei progetti europei, il ministero dello Sviluppo, dei lavori pubblici e dell'amministrazione e il ministero dell'Agricoltura e dello sviluppo rurale.

Secondo gli ultimi dati, il tasso di assorbimento dei fondi per il periodo 2014-2020 è poco superiore all’84%. La Romania ha ancora tempo fino alla fine dell'anno [2023] per completare tutti i progetti ancora in corso.

Mappa dei finanziamenti europei attratti dalla Romania nel periodo 2014-2020 Foto: Ministero dei Progetti e degli Investimenti Europei

Mappa dei finanziamenti europei attratti dalla Romania nel periodo 2014-2020 Foto: Ministero dei Progetti e degli Investimenti Europei

"Affinché ciò avvenga, in teoria bisogna presentare le fatture entro la fine dell'anno (...) C'è un'altra cosa che può succedere, ovvero detrarre alcune tipologie di spese effettuate e riclassificarle come spese in fondi europei", spiega Pâslaru.

La Romania, ad esempio, spiega l'eurodeputato, ha ottenuto dalla Commissione europea che una buona parte del risarcimento per le bollette energetiche venisse saldato con i fondi europei a sua disposizione. E ora sta cercando di spostare quanta più spesa possibile verso il denaro europeo per aumentare artificialmente il tasso di assorbimento dei fondi.

"Con i tre anni in più che avremo a disposizione per finire i nostri progetti, utilizzeremo poco più dell'80% dei fondi, ma attenzione, non in sette, ma in dieci anni", spiega Rudnițchi.

Secondo l'esperto, la parola che meglio descrive il rapporto della Romania con i fondi europei è "ritardo".

"Tutte le volte partiamo con circa due, tre anni di ritardo nell'anno di bilancio. È quanto ci vuole per accreditare le istituzioni, per preparare l'amministrazione, i progetti, i bandi. Diciamo che nel 2007 ci abbiamo messo un po' per abituarci ai rigori e agli standard europei, ma dal 2013 non abbiamo più avuto scuse. E poiché i progetti arrivano in ritardo, finiscono per essere prolungati", spiega Rudnițchi a PressOne.

Due programmazioni finanziarie sovrapposte

Ecco perché attualmente ci sono due esercizi finanziari sovrapposti: 2014-2020 e 2021-2027. Il primo è stato prorogato di tre anni per consentire di portare a termine il maggior numero possibile di progetti, mentre il secondo è appena iniziato, anche se sono già trascorsi due anni. Il motivo del ritardo? Solo nel luglio 2022 è stato firmato l’accordo quadro di partenariato con la Commissione europea, che costituisce la base per la distribuzione dei fondi della politica di coesione. Solo successivamente sono state accreditate le altre strutture coinvolte nella gestione dei fondi UE.

Per i prossimi anni la Romania disporrà di un budget di 46 miliardi di Euro, di cui quasi 31 proverranno dal bilancio europeo. Il denaro sarà disponibile attraverso sedici programmi operativi, otto nazionali e otto regionali.

Per la prima volta, i budget per gli investimenti nello sviluppo regionale sono stati assegnati alle otto agenzie di sviluppo regionale (RDA) e non saranno più amministrati da un’autorità centrale.

"Penso che il vantaggio della decentralizzazione sia, da un lato, che le RDA hanno esperienza e si muovono più velocemente di un'autorità a livello ministeriale. E sono più vicine alla regione. Possono vedere meglio cosa deve essere sviluppato a livello locale", spiega Rudnițchi.

Lo stato di attuazione dei progetti per i quali la Romania ha richiesto fondi europei nel periodo 2014-2020. Foto: Commissione europea

Lo stato di attuazione dei progetti per i quali la Romania ha richiesto fondi europei nel periodo 2014-2020.  Foto: Commissione europea

Se nel 2007 la digitalizzazione e la transizione verde non erano in cima alla lista delle priorità di investimento, ora sono i pilastri di tutte le linee di finanziamento europee.

"Stiamo parlando di settori come l'energia verde, la riduzione del carbonio, le infrastrutture ambientali, la conservazione della biodiversità, la creazione di spazi verdi, la gestione del rischio e le misure di mobilità urbana sostenibile", afferma l'eurodeputato USR Vlad Gheorghe.

Perché la Romania è in fondo alla classifica quando si tratta di attrarre fondi UE, anche se ne ha grande bisogno

Mentre il settore privato riesce molto bene ad assorbire tutti i fondi ad esso dedicati, con richieste di finanziamento che superano il 1.200% del budget stanziato, il pubblico non se la passa altrettanto bene.

"Da un lato, i grandi progetti infrastrutturali, dalle ferrovie alle autostrade, i progetti di ampliamento delle forniture d'acqua, delle fognature e dell'energia, per ragioni di cui sentiamo parlare in TV, non vengono realizzati. Ciò vale anche per gli ospedali regionali, su cui lavoriamo da 12-13 anni", afferma Icătoiu.

Un’altra spiegazione del basso tasso di assorbimento dei fondi UE si nasconde nei progetti finanziati dal bilancio nazionale.

"Anche se in teoria alla Romania non sarebbe permesso lanciare programmi nazionali, cioè con i fondi del bilancio nazionale, che cannibalizzino i fondi dell'Unione europea, cioè finanziando la stessa cosa, noi lo abbiamo sempre fatto. Quando lei, come sindaco o presidente di un ente locale, vede che i fondi europei hanno un livello di controllo molto alto, soprattutto nelle procedure di appalto, farebbe domanda per i fondi europei o opterebbe piuttosto per un PNDL (Programma nazionale di sviluppo locale), Anghel Saligny? [Anghel Saligny è stato uno dei più famosi ingegneri romeni, autore tra l'altro del ponte ferroviario sul Danubio a Cernavodă, N.d.R]", continua l'esperta.

La Romania, oltre a non attrarre tutti i fondi strutturali e di investimento europei ad essa destinati, rischia di perderli perché i progetti presentati per il finanziamento non sono stati completati in tempo.

Ad esempio, se non tutti i progetti dell’anno finanziario 2014-2020 verranno completati entro la fine di quest’anno [2023], ci sono due possibilità: o il denaro ricevuto viene restituito alla Commissione europea e i progetti vengono chiusi, oppure i progetti continuano, ma con i soldi del bilancio nazionale. Come nel caso degli ospedali cancellati dalla lista dei finanziamenti del PNRR, per i quali il governo ha promesso di chiedere un prestito alla Banca europea per gli investimenti.

Dettagli che riducono il budget per il 2021-2027

Per evitare ciò, ci sono alcune procedure a cui le autorità pubbliche possono ricorrere. Tra queste la cosiddetta procedura di introduzione graduale, secondo la quale i progetti non completati non vengono cancellati, ma semplicemente spostati da un esercizio finanziario all'altro.

"La procedura di cut-off è un classico che la Romania, poiché non fa mai le cose in tempo, ha già utilizzato due volte, ma questa volta è più complicata, perché solo i progetti che soddisfano le condizioni del regolamento 2021-2027 possono essere introdotti gradualmente. Ciò significa solo per quei progetti che non hanno un impatto dannoso sull'ambiente. In altre parole, invece di attirare nuovi progetti nei prossimi anni, dedicheremo parte del tempo al completamento di quelli vecchi", spiega Pâslaru.

Con due anni finanziari sovrapposti, diversi anni di ritardo nell'avvio dei progetti e la passione delle istituzioni per i fondi nazionali, abbiamo chiesto agli esperti quali possibilità ci sono che la Romania possa attrarre più denaro in futuro. Soprattutto quando in gioco ci sono anche i fondi NRDP, e lo Stato deve avviare riforme reali per attirarli.

"Se facciamo le cose esattamente come le abbiamo fatte, con le stesse persone e la stessa mentalità, non cambierà nulla. Voglio dire, torneremo nel 2030 a cercare di chiudere l'assorbimento dei fondi, ma è triste pensare che se l’UE si espande i fondi per la coesione che la Romania ha ricevuto così abbondantemente negli ultimi due cicli saranno molto inferiori", aggiunge l’eurodeputato.

Servono riforme

Nel 2007 la Commissione europea non si fidava dei meccanismi di controllo romeni sui fondi europei, come la Corte dei conti. È stato quindi creato un nuovo livello di istituzioni per garantire che i fondi UE fossero spesi nel rispetto della legge, istituzioni che non esistono in molti altri paesi europei.

"In Romania c'è un trattamento diverso tra i fondi europei e quelli nazionali. Per quelli europei c'è un ministero dedicato e procedure proprie di controllo. Noi abbiamo un trattamento diverso, con bonus salariali del 75% e ogni sorta di procedure. Con fondi nazionali non ci sono né bonus salariali, né procedure di valutazione e monitoraggio, e questo è un problema estremamente serio, è la prima grande riforma che dovrebbe essere fatta in Romania con i fondi europei: mettere tutte le risorse in un unico cassetto", spiega Pâslaru.

La logica a cui dovremmo arrivare, dice il deputato, è che le politiche pubbliche non dovrebbero più dipendere dai fondi europei.

"Il problema principale è che non abbiamo politiche che cambiano da un momento all'altro, o politiche che non sono necessariamente influenzate dai cicli finanziari, praticamente partiamo da zero ogni volta. Quindi facciamo politiche per ottenere fondi europei", è la conclusione tratta dall'eurodeputato.

 

Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "Energy4Future" cofinanziato dall’Unione europea (Ue). L’Ue non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto. La responsabilità sui contenuti è unicamente di OBC Transeuropa. Vai alla pagina "Energy4Future"


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