Paola Rosà 5 giugno 2020
L'immagine raffigura un paio di manette che simbolicamente chiudono una matita e un telefono cellulare. Una frase sopra il disegno dice journalism is not a crime

Attesa per la decisione della Corte Costituzionale italiana sulla legittimità delle pene carcerarie per diffamazione a mezzo stampa. La mobilitazione si allarga all'Europa e coinvolge le organizzazioni per la libertà di stampa e la federazione europea dei giornalisti

“Un cruciale passo in avanti”, “la possibilità di rafforzare quel tipo di giornalismo di cui la democrazia ha così bisogno”: così i partner internazionali del consorzio Media Freedom Rapid Response (MFRR) definiscono l'udienza della Corte Costituzionale di martedì prossimo, quando la Consulta sarà chiamata a decidere sulla legittimità della pena del carcere nelle condanne per diffamazione a mezzo stampa.

Che si tratti di una decisione storica per il giornalismo e per la legislazione in materia di libertà di espressione non vi è alcun dubbio: per la prima volta nella storia, dopo decenni di discussioni sempre abortite in Parlamento, dopo anni di dibattiti e proteste da parte della categoria, la questione del carcere per i giornalisti approda alla Corte Costituzionale e l'ordine dei giornalisti è interlocutore ufficiale.

Il giudizio di legittimità costituzionale era stato sollevato dal sindacato dei giornalisti della Campania un anno fa, e l'udienza del 9 giugno arriva dopo qualche polemica fra sindacato e ordine, e dopo diversi malintesi con il governo: se da un lato il memorandum governativo depositato alla Consulta chiede che le cose restino così, dall'altro diversi esponenti governativi hanno sostenuto pubblicamente che il carcere per i giornalisti va abolito. Ma l'attesa per la decisione di martedì sembra per il momento zittire i contrasti.

La pronuncia della Corte metterà in ogni caso fine alle polemiche e aprirà scenari molto interessanti; come spiega Raffaele Lorusso, segretario generale della FNSI, ci sono tre possibilità: se la Corte rigetta il ricorso, nulla cambia e l'ordinamento italiano continuerà a prevedere la pena del carcere nelle condanne per diffamazione, finché non andranno a buon fine i ddl di riforma attualmente in discussione al Senato; se la Corte rinvia alle Camere, si apre un nuovo capitolo parlamentare che si aggiunge ai progetti di riforma già in discussione; e infine, ipotesi caldeggiata anche a livello internazionale, se la Corte accoglie il ricorso, la pena del carcere cesserà di essere prevista nei casi di diffamazione a mezzo stampa. E l'ordinamento italiano, come sottolinea l'appello diffuso dal consorzio MFRR, si uniformerà alle altre democrazie europee: in diverse pronunce, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato che la previsione del carcere “per sua stessa natura, avrà inevitabilmente un effetto paralizzante” sulla libertà di stampa, “a prescindere dal fatto che la pena sia effettivamente scontata”.

In Italia intanto la mobilitazione lanciata da Articolo 21 sta raccogliendo centinaia di adesioni, e i firmatari dell'appello internazionale, tra cui la Federazione Europea dei giornalisti, l'Istituto Internazionale della Stampa, Free Press Unlimited, oltre a ECPMF e Article 19, ricordano come l'abolizione della pena del carcere sarà “un passo cruciale verso la riforma della diffamazione e una revisione generale del processo civile e delle cause pretestuose che colpiscono i giornalisti”.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del Media Freedom Rapid Response (MFRR), cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea.