Banja Luka (BiH) Sede del Parlamento della Republika Srpska © A. Fazlić

Banja Luka (BiH) Sede del Parlamento della Republika Srpska © A. Fazlić

L'Assemblea nazionale della Republika Srpska ha adottato giovedì 20 luglio la Legge sugli emendamenti al Codice penale, che prevede la criminalizzazione della diffamazione. Inascoltati gli appelli di attori internazionali e locali volti a proteggere la libertà di parola e ritirare lo scandaloso provvedimento che qualifica la diffamazione come reato

24/07/2023 -  Arman Fazlić Sarajevo

Lo scorso 18 luglio, prima dell’inizio della seduta dell’Assemblea popolare della Republika Srpska [in cui si doveva discutere anche degli emendamenti sulla reintroduzione dei reati di ingiuria e diffamazione], i rappresentanti dei media, gli attivisti e molti cittadini si sono radunati nella piazza centrale di Banja Luka in segno di protesta contro l’annunciata criminalizzazione della diffamazione. I manifestanti hanno poi sfilato per le vie della città fino a raggiungere il palazzo del parlamento, invitando i rappresentanti del potere a ripensare e a rinunciare all’intenzione di reintrodurre il reato di diffamazione.

Un attacco alla libertà di espressione in Republika Srpska e non solo

Negli ultimi mesi molti professionisti dell’informazione, attivisti, ong e partiti di opposizione in Republika Srpska, come anche diverse organizzazioni internazionali e rappresentanti dell’UE in BiH, in vari modi si sono opposti alla proposta di ripristinare il reato di diffamazione. Tuttavia, gli esponenti della leadership al potere sono rimasti sordi ai ripetuti appelli di chi metteva in guardia sui rischi legati alla criminalizzazione della diffamazione.

Come sostengono diverse voci critiche, le modifiche del Codice penale della Republika Srpska che reintroducono il reato di diffamazione sono in contrasto con i principi democratici e rappresentano un ulteriore attacco alla già fragile libertà di stampa, e più in generale alla libertà di espressione. Le forze di opposizione e le ong sottolineano inoltre che le nuove disposizioni normative altro non sono che un’arma nelle mani del potere per zittire il dissenso e restringere lo spazio pubblico e, come tali, rischiano, se non altro, di scoraggiare il lavoro giornalistico e investigativo, ma anche l’impegno degli attivisti e dell’opposizione.

I critici mettono in guardia anche sul fatto che un eventuale procedimento penale per diffamazione contro un individuo implicherebbe l’iscrizione di quest’ultimo nel registro degli indagati e, in caso di condanna, nel casellario giudiziale. Una procedura che rischierebbe poi di rendere più difficile l’esercizio di tutta una serie di diritti e libertà fondamentali della persona accusata o condannata per diffamazione, tra cui la libertà di movimento, il diritto all’istruzione e al lavoro.

Nel corso della manifestazione di protesta dello scorso 18 luglio, Siniša Vukelić, presidente del Club dei giornalisti di Banja Luka, ha dichiarato che negli ultimi due decenni la Republika Srpska era all’avanguardia tra i paesi della regione per quanto riguarda la depenalizzazione della diffamazione. “Quando, oltre vent’anni fa, abolimmo il reato di diffamazione, fummo i primi a farlo nell’intera regione, compresa la Federazione BiH. Ne andavamo fieri. Ora la leadership della Republika Srpska ha girato le spalle all’Onu, al Consiglio d’Europa, all’Osce e alla Commissione europea, facendo capire ai difensori dei diritti umani e alle associazione dei giornalisti e dei cittadini di infischiarsi di quello che stanno dicendo e di voler solo proteggersi dalla verità. Ecco perché qui è in gioco la libertà di tutti noi”.

I giornalisti hanno a più riprese respinto le accuse arrivate dagli esponenti del potere secondo cui ad opporsi alla reintroduzione del reato di diffamazione sarebbero i giornalisti diffamatori. La comunità dei giornalisti ha fatto sapere che, lanciando la campagna “Stop alla criminalizzazione della diffamazione”, i giornalisti non si battono per poter scrivere quello che vogliono, diffamare e infangare altri e restare impunti, bensì per evitare che la diffamazione sia un reato. I giornalisti hanno inoltre sottolineato che la diffamazione è già sanzionata in modo adeguato dall’attuale legge sulla protezione dalla diffamazione della Bosnia Erzegovina.

Anche i deputati del parlamento della Republika Srpska appartenenti all’opposizione hanno criticato duramente l’approvazione delle modifiche al Codice penale, invitando i rappresentanti del potere a ritirare le controverse disposizioni riguardanti la criminalizzazione della diffamazione, anche perché la RS dispone già di una legge sulla diffamazione che da anni ormai viene invocata e applicata anche dalla stessa leadership al potere. I deputati dell’opposizione, che hanno votato contro la reitroduzione del reato di diffamazione, ritengono che la criminalizzazione della diffamazione, vista come un attacco alle libertà in RS, sia motivata da ragioni politiche prescindendo dal parere degli esperti.

Il disegno di legge sulle modifiche del Codice penale della Republika Srpska che reintroducono il reato di diffamazione, annunciato da Milorad Dodik già l’anno scorso, è stato ufficialmente proposto dal ministero della Giustizia della RS. Dopo l’approvazione del disegno di legge a marzo, è stata annunciata una consultazione pubblica della durata di sessanta giorni, al termine della quale il parlamento della RS è stato nuovamente chiamato ad esprimersi sul testo di legge proposto.

Spiegando la proposta di legge sulle modifiche del Codice penale della Republika Srpska, Miloš Bukejlović, ministro della Giustizia della RS, ha dichiarato che l’opinione pubblica ha partecipato attivamente a discussioni aperte dopo l’adozione del disegno di legge. I rappresentanti dei media e delle ong hanno invece definito tali discussioni meramente formali, parte integrante di un processo che altro non è che una burla e un’offesa ai giornalisti. Interpellato dai media, l’Ufficio dell’ombudsman della RS ha affermato di non essere mai stato consultato sulle modifiche del Codice penale riguardanti il reato di diffamazione.

Una scelta incompatibile con il percorso europeo della BiH

L’impegno nel garantire la libertà di stampa e di espressione e nel proteggere i giornalisti è uno dei quattordici requisiti fondamentali che la Bosnia Erzegovina deve soddisfare per poter avviare i negoziati di adesione all’UE. La delegazione dell’UE in BiH ha a più riprese messo in guardia sul fatto che la proposta di legge sulla reitroduzione del reato di diffamazione in RS rappresenta un passo indietro nel percorso di integrazione europea. L’UE sperava che la legge sulla criminalizzazione della diffamazione venisse tolta dall’ordine del giorno dell’Assemblea popolare della RS poiché in totale contrasto con la strada europea della BiH.

Secondo quanto riportato da alcuni media, il ministero della Giustizia della RS, come proponente della legge, sul suo sito ufficiale avrebbe pubblicato un primo disegno di legge e poi un secondo, diverso dal primo, per confondere l’opinione pubblica e impedire ai soggetti interessati di inviare obiezioni e suggerimenti sulla proposta di reintrodurre il reato di diffamazione. I media hanno inoltre riferito che il ministero ha ridotto i termini per la presentazione di critiche e suggerimenti dai quindici giorni (previsti dalle Linee guida sulle consultazioni nell’elaborazione di regolamenti e altri atti di carattere generale della RS) ai soli sette giorni.

Benché i rappresentanti del potere continuino ad insistere sul fatto che la diffamazione è un reato anche in molti paesi membri dell’UE, gli esperti ritengono che tale spiegazione non possa essere utilizzata per giustificare il ripristino del reato di diffamazione in Republika Srpska, soprattutto considerando la totale sfiducia nella magistratura della RS.

Il presidente della Republika Srpska Milorad Dodik ha annunciato di voler introdurre anche una legge per consentire di proclamare i nemici della RS. Poi a marzo il governo della RS ha approvato un disegno di legge, anch’esso annunciato da Dodik, sulla trasparenza dell’operato delle organizzazioni no profit. Questa legge, come ha spiegato il presidente della RS, comprende l’obbligo per le ong finanziate dall’estero di dichiarare tutte le transazioni finanziarie e “tutto quello che fanno”. Tutte le leggi proposte dal governo della RS verranno indubbiamente approvate dal parlamento poiché la leadership guidata da Dodik gode di un’ampia maggioranza.

Dopo l’approvazione di una legge da parte dell’Assemblea popolare della RS i deputati dell’opposizione possono sollevare la questione di legittimità costituzionale della legge in questione o di alcune disposizioni in essa contenute. Occorre però tenere a mente l’attuale contesto che vede la RS contestare l’autorità della Corte costituzionale della BiH. Resta da vedere se questa situazione possa incidere su un’eventuale valutazione della legittimità costituzionale delle disposizioni che reintroducono il reato di diffamazione.

Nel luglio del 2001 l’Assemblea popolare della Republika Srpska aveva adottato la legge sulla protezione dalla diffamazione, spostando così la questione della diffamazione dall’ambito del diritto penale a quello civile.

MFRR

Logo del progetto Media Freedom Rapid Response (MFRR)

 

MFRR ha seguito il dibattito sulla reintroduzione della criminalizzazione della diffamazione nella Repubblica Srpska, mettendo in guardia sulle minacce che questi emendamenti pongono alla libertà di stampa e di espressione. Le leggi sulla diffamazione sono spesso utilizzate in modo improprio e come SLAPP con il fine di intimidire e ridurre al silenzio i giornalisti.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del Media Freedom Rapid Response (MFRR), cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea.

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