Minoranze

Ci sarà il ritorno? Alcuni giorni con i profughi dal Kossovo

20/11/2001 -  Anonymous User

La voglia di rientrare, la paura di farlo. Alcuni giorni passati in Serbia tra i serbi originari del Kossovo. Un racconto di Livio Vicini.

Rom città chiusa

20/11/2001 -  Anonymous User

Un anno passato tra una comunità di rom Rudari, di origine rumena ma già stanziali in ex-Jugoslavia, a Roma. Un documentario ne denuncia le condizioni di vita.

Elezioni in Kossovo: le opinioni degli operatori italiani

17/11/2001 -  Davide Sighele

Sembra regnare una strana atmosfera. Di disillusione rispetto ai cambiamenti che queste elezioni politiche potranno portare. Ed intanto vi è una sostanziale incertezza sulla partecipazione della comunità serba: le indicazioni di Belgrado verranno seguite?

In Kosovo è iniziato il silenzio elettorale

16/11/2001 -  Anonymous User

È iniziata questa notte, in Kosovo, la fase di silenzio che precede la votazione di domani 17 novembre. Il silenzio elettorale verrà mantenuto fino alla chiusura dei seggi (1.660 che saranno aperti dalle 7.00 di mattina), ossia fino alle ore 20.00 di sabato. Circa 1,2 milioni di elettori voteranno i 120 rappresentati del nuovo parlamento kosovaro. Secondo i dati dell'OSCE, degli oltre un milione di elettori i serbi registrati sono circa 170.000.
Da parte serba le elezioni saranno osservate dal Centro per le libere elezioni e la democrazia. Nella Serbia centrale, dove secondo un documento sottoscritto dal Commissariato della Repubblica per i rifugiati e dalla Organizzazione internazionale per la migrazione, verranno disposti 81 centri di voto con 177 seggi dove poter svolgere le elezioni, presso i quali sabato potranno votare gli oltre 98.000 serbi scacciati dal Kosovo. In Montenegro, su 30.000 profughi circa 20.000 hanno diritto di voto. Secondo i dati offerti dal Commissariato montenegrino per i rifugiati solo 7.000 hanno espresso il desiderio di votare alle elezioni kosovare. Nella repubblica del Montenegro verranno aperti 21 seggi dove si potrà votare in 19 comuni, che verranno scrutati dalle organizzazioni internazionali e dal Commissariato montenegrino per i rifugiati.

Profughi: il villaggio dove tutti sono tornati

10/11/2001 -  Anonymous User

Il caso particolare e ben augurante della cittadina di Busovaca, in Bosnia centrale, dove tutti i cittadini fuggiti a causa della guerra sono rientrati.

Bosnia-Erzegovina: fra rientri e volontà di partire

09/11/2001 -  Anonymous User

Sfollati e rifugiati serbi rientranti nella Bosnia centrale saranno assistiti da un nuovo ufficio aperto dalla Republika Srpska a Tuzla. Ma intanto il 70% dei giovani dell'entità bosniaca vorrebbe lasciare il suo paese.

Kossovo: accordo Haekkerup-Covic, i serbi andranno a votare

07/11/2001 -  Davide Sighele

A Belgrado UNMIK ed autorità federali yugoslave raggiungono un accordo per la partecipazione della comunità serba alle elezioni. Tra il malcontento dei partiti albanesi.

Prijedor: ritrovato probabilmente il corpo di padre Tomislav Matanovic

22/10/2001 -  Anonymous User

In un pozzo a pochi chilometri da Prijedor le autorità bosniache e quelle internazionali hanno rinvenuto cinque corpi, due donne e tre uomini. Uno è il corpo di una suora, un altro quello di un prete. Trovato seminudo ma con ancora il crocifisso al collo e con alcuni paramenti da messa. L'autopsia, che si è svolta oggi a Banja Luka, con tutta probabilità confermerà che si tratta di Padre Tomislav Matanovic, ex parroco cattolico di Prijedor, "scomparso" il 19 settembre del 1995. Secondo un'indagine condotta dall'IPTF, polizia internazionale che fa capo alle Nazioni Unite, il parroco fu arrestato dalle autorità serbe nella notte del 25 agosto del 1995. Nella stessa notte la sua casa fu saccheggiata e la chiesa distrutta. Padre Tomislav fu poi messo agli arresti domiciliari, nella casa dei genitori. Infine il 19 settembre, nella notte, due macchine prelevarono padre Tomislav ed i suoi genitori. Di loro non si seppe più nulla. Ora la tragica scoperta.
Le riesumazioni intanto continuano anche nelle altre fosse comuni rinvenute nell'area di Prijedor. In un clima di grande tristezza da parte dei musulmano e croato-bosniaci ritornati dopo essere fuggiti alle azioni di pulizia etnica e di sostanziale imbarazzo da parte della comunità serba.

Croazia-BiH: notizie sui rifugiati

18/10/2001 -  Anonymous User

I rifugiati serbi originari della Croazia hanno tempo fino al 31 dicembre per consegnare la richiesta per accedere ai programmi di ricostruzione delle proprie case in Croazia. Secondo il Governo croato questo termine ultimo deve essere rispettato essendo definitivo. L'Alto Commissariato per i Rifugiati ha ribadito che possono accedere ai diversi programmi coloro i quali risiedevano in Croazia nel 1991 e che lì possiedono un immobile. Possono accedervi inoltre anche le persone garantite da particolari contratti di affitto.
Le richieste possono essere consegnate in appositi uffici in Croazia, presso le sedi consolari e diplomatiche del Governo croato o negli uffici dell'UNHCR. Al modulo per la richiesta vanno allegati documenti che attestino le intenzioni della famiglia a risiedere nell'immobile ricostruito, che non si siano ricevuti altri aiuti e crediti per la ricostruzione dello stesso e che non si possiedano altri immobili in Croazia (iRADIO, 07.10).
Per quanto riguarda i ritorni delle minoranze interessanti notizie arrivano anche dalla Bosnia-Erzegovina. Le agenzie internazionali che si occupano di questa tematica hanno fatto sapere che, in base ai dati raccolti nell'agosto 2001, in sei mesi la percentuale dei casi risolti di reclami di ex-proprietari per ritornare in possesso di proprietà dovute abbandonare in seguito alle vicende di pulizia etnica durante la guerra è aumentata.
L'indice preso in considerazione da OSCE, OHR ed UNHCR viene calcolato in base alla percentuale di reclami accolti dai tribunali locali ed alla percentuale di proprietà ritornate effettivamente in mano ai legittimi proprietari in seguito a decisioni in tal senso degli organi giudiziari.
In generale è da notarsi un incremento dei casi risolti positivamente dell'11% in tutto il Paese. Come in passato le nuove leggi sulla proprietà, approvate su forti pressioni internazionali nell'ottobre del 1999, trovano più difficoltà ad essere implementate con successo in Republika Srpska che non in Federazione. Infatti in quest'ultima sono stati risolti il 42% dei casi di reclami su proprietà abbandonata mentre la percentuale scende al 22% per quanto riguarda la Republika Srpska.
I miglioramenti nell'implementazione delle leggi sulla proprietà sono costanti ma troppo lenti, affermano le Agenzie internazionali. Per questo propongono ulteriori emendamenti alle leggi stesse in modo da diminuire le fonti di resistenza ed attrito rispetto ad un pieno ritorno delle minoranze e degli sfollati. La maggior parte degli emendamenti riguarderanno in particolare la diminuzione dei diritti di chi ha occupato illegalmente un immobile. Solo le famiglie più vulnerabili verranno tutelate potendo rimanere nell'immobile occupato fino a quando un'alternativa credibile è disponibile.

Il Presidente dell'Assemblea della Vojvodina: Belgrado si comporta ancora da padrone

17/10/2001 -  Anonymous User

Non appena è venuto a conoscenza della decisione della rete nazionale televisiva pubblica RTS in merito ai direttori della filiale di Novi Sad il Presidente dell'Assemblea della Vojvodina, Nenad Canak, si è recato presso gli studi della Radio Televisione della Vojvodina ed ha platealmente strappato dall'entrata la targa della rete nazionale. Calpestandola ha poi dichiarato che non avrebbe permesso più a Belgrado di calpestare i diritti della Vojvodina.
Su suoi ordini il logo della RTS è stato rimosso da entrambe le reti televisive di Novi Sad. Nenad Canak nello specifico contesta che i direttori editoriali della televisione vengano ancora nominati dall'ufficio centrale della RTS a Belgrado e non dall'Assemblea regionale della Vojvodina. Dopo il cambio di governo, che ha portato alla presidenza della Federazione Kostunica, ci si aspettava infatti che l'autonomia della sede locale di Novi Sad della RTS venisse ristabilita ma invece, secondo le dichiarazioni di Canak "Belgrado si comporta ancora da padrone". I diritti che originalmente spettavano all'Assemblea della Vojvodina, fondatrice della NS TV (Radiotelevisione della Vojvodina), erano stati trasferiti all'Assemblea della Serbia quanto la rete locale era stata integrata nella RTS (rete nazionale). Canak ha di fatto dichiarato che la NS TV non farà più parte della RTS e che sarà compito dell'Assemblea della Vojvodina discutere e decidere sul futuro dell'emittente.
Le reazioni a questa dura presa di posizione, che si inserisce in un ampio dibattito in merito all'autonomia, se non indipendenza, di questa relativamente benestante provincia della Serbia, non si sono fatte attendere.
Zoran Zivkovic, uno tra i leader della coalizione DOS, ha affermato di aver trovato strano che la reazione così significativa di Canak avvenga adesso e non quando è stato nominato il consiglio d'amministrazione della RTS. "Avessero scelto il candidato sostenuto da Canak, ha aggiunto, certamente tutto questo non sarebbe accaduto". Si è poi soffermato sulla questione dell'autonomia della Vojvodina: "La Vojvodina ha pieno diritto nella propria autonomia, cosa che tra l'altro è anche prevista dalla Costituzione. Certo è che questo tipo di comportamento rischia di compromettere e render più difficoltoso il cammino verso l'autonomia sulla quale, in generale, siamo tutti d'accordo" (Glas Javnosti, 11.10).E' meno moderata invece la posizione del Partito Democratico della Serbia (DSS) guidato da Vojislav Kostunica. Secondo il Presidente Federale, Canak si sta comportando come se tentasse i primi passi verso un colpo di Sato. La medesima opinione è ribadita in un comunicato da parte del DSS fatto in seguito alla "rumorosa" entrata di Canak nella sede dell'NS TV ed alle minaccie da parte dello stesso di portare parte della compagnia petrolifera nazionale sotto il diretto controllo dell'amministrazione provinciale della Vojvodina.( B92, 10.10).

Kossovo: i serbi per ora non andranno a votare

17/10/2001 -  Anonymous User

La campagna elettorale per le elezioni generali del 17 novembre è definitivamente iniziata senza però che alcun partito o coalizione che rappresenta la comunità serba abbia ad oggi confermato la propria partecipazione. Questo anche dopo l'inaspettata registrazione per votare di 178,000 serbo-kossovari, avvenimento che aveva fatto ben sperare. Dopo l'insuccesso della Comunità Internazionale nel convincere la componente serba della popolazione a prendere parte alle ultime amministrative molti temevano che il totale fallimento si sarebbe infatti ripetuto. Per ora non è ancora così e la situazione permane statica e nessuno conferma in modo definitivo la propria partecipazione.
Nebojsa Covic, a capo dell'apposita commissione creata dalle autorità serbe per gestire la "questione Kossovo", si è recato questa settimana in Italia dove è stato esortato ancora una volta a fare in modo che la comunità serba del Kossovo prenda parte a queste elezioni. Per rassicurare la autorità serbe sono state anche in quest'occasione ribadite le garanzie delle quali la Comunità Internazionale si farà carico: libertà di movimento, accelerare il ritorno degli sfollati ecc.
Ma la comunità serba rimane del tutto indecisa. In un incontro di protesta a Mitrovica, il segretario dell'espressione locale del DSS di Kostunica, Marko Jasic, davanti ad una folla di 4,000 persone ha dichiarato che "...i serbi non dovrebbero partecipare alle elezioni se per muoversi in Kossovo devono farlo all'interno dei blindati della KFOR e se vengono ancora assassinati per le strade...se parteciperemo perderemo tutto, non partecipando ci rimarrà almeno qualche speranza...". Jaksic ha poi terminato chiedendo ai politici di Belgrado di spendere un po' più tempo in Kossovo in modo da rendersi conto delle terribili condizioni di vita alle quali è costretta la comunità serba (Tanjung, 13.10). Intanto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha esortato, dopo un briefing con i responsabili dell'amministrazione internazionale del Kossovo, i leader albanesi a sostenere gli sforzi per garantire la sicurezza e combattere l'estremismo e gli atti terroristici nei confronti delle minoranze e, come ha affermato l'Ambasciatore irlandese Richard Ryan, ad assumersi "la responsabilità di assicurare delle elezioni pacifiche, democratiche ed inclusive".

Prijedor: la scuola ed il ritorno delle minoranze

17/10/2001 -  Anonymous User

Da Prijedor Annalisa Tommasi

Prijedor, seconda città della Republika Srpska, BiH, se in passato era il simbolo della pulizia etnica inizia ora ad essere riconosciuta come uno dei luoghi in tutta la Bosnia-Erzegovina dove maggiore è stato il rientro delle minoranze, nello specifico dei musulmani-bosniaci. Secondo la stima della Fondazione per la ricostruzione di Prijedor, associazione bosniaco-musulmana che promuove il processo di rientro di sfollati e rifugiati, sono rientrati circa 15.000 bosniaci su una popolazione totale di Prijedor di circa 100.000 abitanti. Quindi oggi circa il 15% della popolazione della municipalità è costituita da bosniaci rientrati. La maggior parte di essi sono anziani o pensioniati in quanto, probabilmente, essi hanno comunque assicurata la pensione, hanno in genere più difficoltà ad inserirsi in un nuovo ambiente e non sentono l'esigenza di cercare migliori condizioni di vita come spesso accade a famiglie con bambini.
Interessante è analizzare il settore scolastico alla luce di questi rientri e della convivenza delle diverse comunità nella municipalità. La scuola è infatti uno degli strumenti principali attraverso il quale la convivenza si costruisce ed una società multietnica e democratica può radicarsi.
Partiamo da alcuni dati sulla percentuale di studenti ed alunni appartenenti a minoranze rientranti rispetto alla popolazione scolastica totale. Tra gli 8099 alunni delle scuole elementari di Prijedor 242 sono sfollati o rifugiati che hanno fatto ritorno in città. Meno quindi del 3% del totale. In alcuni villaggi periferici, come ad esempio Ljublja, dove forte era la presenza della comunità croata e bosniaca vi sono invece circa 80-90 alunni su di un totale di 500 alunni e quindi la percentuale si fa sicuramente più significativa. Nelle scuole superiori di Prijedor la percentuale cala ulteriormente. Su 3832 alunni i 58 rientrati rappresentano meno dell'1,5%. A titolo di esempio nella scuola di economia di Prijedor su circa 800 studenti, 30 sono quelli rientrati e ben 282 appartengono alla comunità serba ma sono sfollati interni da altre zone della Bosnia-Erzegovina o rifugiati dalle Krajne.
L'integrazione scolastica delle minoranze che rientrano non è per nulla scontata ed è spesso un processo difficile. La situazione è particolarmente problematica in alcune aree dove oramai la popolazione è costituita per la maggior parte da bosniaco-musulmani ritornati. E' il caso di Kosarac, ad aluni chilometri dal centro di Prijedor.
La scuola di Kosarac è utilizzata oramai da più di sei anni come centro collettivo per ospitare famiglie serbe originarie delle Krajne, della Bosnia centrale o dell'Erzegovina. Per poter riutilizzare l'edificio come scuola i genitori dei bambini bosniaci si sono organizzati per trovare una sistemazione alternativa ai profughi e rifugiati che stavano ancora vivendo nel centro collettivo. Questo è sicuramente un fatto da giudicare in modo positivo. In tal modo la struttura è stata liberata per gli alunni della scuola dell'obbligo (solo quelli bosniaci nelle loro intenzioni, non anche quelli serbi che vanno attualmente a scuola in un villaggio vicino). Poi si sono trovati i fondi per la ristrutturazione dell'edificio. I lavori dovevano essere terminati per il mese di settembre, cosa non avvenuta proprio per incoprensioni su chi potrà poi frequentare la scuola di Kosarac. I genitori degli alunni bosniaci si sono inoltre organizzati per chiedere l'uso di libri di testo bosniaci (e non quelli in dotazione della RS) e per l'utilizzo del solo alfabeto con caratteri latini. Attualmente i bambini di Kosarac stanno seguendo lezioni condotte da insegnanti bosniaci, pagati dalla Federazione e non sottoposti, per loro scelta, al responsabile didattico di Prijedor. Si stenta quindi ad affermare il principo dell'integrazione scolastica per le reticenze di entrambi i gruppi etnici.
Non sempre per fortuna è così. E' il caso delle due scuole dell'obbligo di Hambarine (Hambarine e Rizvanovici), villaggio a sud di Prijedor, distrutto totalmente dalla pulizia etnica serba durante la guerra, dove vi sono in totale circa 30-40 bambini. Sono totalmente organizzate dal direttore didattico di Prijedor con un'insegnante serba e due bosniache e tutto sembra procedere bene.
La ADL sta lavorando su questo aspetto
L'Agenzia per la Democrazia Locale (ADL) con sede a Prijedor sta lavorando anche su queste tematiche. In particolare il Congresso dei poteri locali e regionali d'Europa sta finanziando un progetto, elaborato dall'ADL in base al suggerimento del gruppo multietnico di donne di Prijedor, con lo scopo di promuovere occasioni di riflessione nelle scuole superiori con insegnanti, genitori e soprattutto studenti, su temi quali i diritti dell'uomo, i diritti delle minoranze, pace, giustizia ed infine il rientro e la questione dei profughi. Tale progetto coinvolgerà 20 insegnanti/animatori giovanili e almeno 500 studenti sia di Prijedor che di Sanski Most, cittadina della Federazione a pochi chilometri dal "confine" con la Republika Srpska nella quale vivono molti degli sfollati bosniaci originari di Prijedor e dove alcuni serbi stanno rientrando (circa 6.500 dei 25.000 che vi abitavano prima della guerra).

E' stata già organizzata una prima tavola rotonda per mettere in evidenza quali siano i problemi dei ragazzi rientrati. Dal confronto è emerso:

1. rispetto ai rientrati sono pochi i ragazzi che frequentano le scuole superiori questo soprattutto per l'età media alta dei rientrati (anziani) ;

2. i programmi didattici diversi e soprattutto l'uso del cirillico rappresentano la maggiore difficoltà per i ragazzi;

3. il rientro in un ambiente dove i ragazzi sono gruppo di minoranza rappresenta in ogni caso una causa di stress per i ragazzi/adolescenti che professori e responsabili dovrebbero tenere in considerazione e sulla quale dovrebbero lavorare. Ma per fare questo a loro volta dovrebbero essere preparati;

4. una novità importante è rappresentata dalla introduzione nelle III e IV superiori (cioè ultimo e penultimo anno) della materia "diritti umani e democrazia";

5. questione insegnanti di etnia non serba: in pochi lavorano a Prijedor ed i direttori, che hanno discrezionalità esclusiva in termini di scelta dei docenti, tendenzialmente non assumono non serbi;

Questi sono quindi alcuni degli aspetti cruciali emersi durante questo primo seminario. Solo se nei prossimi anni verranno positivamente discussi ed affrontati si potrà finalmente fare qualche passo avanti verso una società che ritorni ad essere multietnica.

Bosnia-Erzegovina: a Prijedor tragico ritrovamento di altre fosse comuni

16/10/2001 -  Davide Sighele

Prijedor, una delle città simbolo della pulizia etnica, tristemente famosa per i campi di concentramento di Omarska, Keraterm e Trnopolje. Descritti dai responsabili serbo-bosniaci per crimini contro l'umanità quali campi di "smistamento" e di "passaggio" di croati e bosniaco-musulmani che venivano poi espulsi dai territori del nord della Bosnia, furono nella realtà luoghi dove si compirono i più efferati crimini della pulizia etnica. Moltissime persone tra quei reticolati di filo spinato vennero seviziati, torturati ed uccisi.
I fatti di Prijedor furono descritti da un'indagine illuminante dell'Human Rights Watch/Helsinki pubblicata nel gennaio del 1997 dove si denunciava come molti dei responsabili delle pulizia etnica fossero ancora in città e non solo restavano impuniti, ma addirittura ricoprivano cariche importanti e di potere. Seguirono una serie di arresti da parte della IFOR/SFOR e Prijedor iniziò a vivere in un'atmosfera diversa e più favorevole al cambiamento dove i moderati poterono iniziare a governare a scapito dei partiti nazionalisti.
I tragici fatti di Prijedor, descritti in modo drammatico da testimoni e sopravvissuti, continuano ad avere pesanti conferme. Secondo informazioni avute dalla Commissione per il ritrovamento di scomparsi della Bosnia Erzegovina, negli ultimi mesi sono state identificate nella municipalità di Prijedor altre fosse comuni contenenti i corpi dei molti non-serbi vittime della pulizia etnica nella primavera-estate del 1992. Tre di esse sono state rinvenute nel complesso minerario di Ljubija, una presso il cimitero principale di Prijedor, una a Kozarac ed una nella Lijeva Obala, quartiere di Prijedor prima della guerra abitato quasi esclusivamente da bosniaco-musulmani e raso letteralmente al suolo durante le operazioni di pulizia etnica. La più grande è quella trovata presso la miniera di ferro di Ljubija dalla quale sono stati estratti i resti di 372 vittime.
Si tratta dei corpi delle vittime delle esecuzioni nei villaggi di Kozarac ed Hambarine e dei campi di concentramento di Omarska, Keraterm e Trnopolje che al termine della guerra, per evitare fossero scoperti dalle organizzazioni internazionali, vennero sotterrati in fosse comuni. I lavori di riesumazione sono durati circa tre settimane. Gli esperti hanno trovato anche una quarantina di documenti personali in buono stato che faciliteranno l'identificazione delle vittime.
E ritornano alla mente i racconti di alcune donne di Kozarac, divise dai loro figli e mariti li videro allontanarsi stipati su alcuni autobus. Per l'ultima volta. Gli stessi autobus secondo dichiarazioni di alcuni cittadini di Omarska furono visti dirigersi verso le miniere di Ljubija e tornare vuoti. Questi nuovi ritrovamenti non sono che una tragica conferma.

Studenti serbo-kossovari ritornano in Kossovo

16/10/2001 -  Anonymous User

L'Università di Pristina, spostata nel sud della Serbia dopo la crisi del 1999, verrà trasferita nuovamente in Kossovo. E' stato infatti deciso dal governo serbo che la maggior parte delle Facoltà, a parte quella di Belle Arti che avrà sede a Zvecan, saranno riaperte a Kosovska Mitrovica. Il Governo ha inoltre previsto per chi rifiutasse di continuare i propri studi in Kossovo di poter automaticamente spostarsi in uno degli altri cinque centri universitari del Paese.Alcune agenzie governative hanno già destinato alcuni edifici adeguati a sede della futura Università: per i corsi, per il rettorato e per i dormitori studenteschi.
Le lezioni dovrebbero cominciare nella seconda parte del mese di ottobre ma aleggia molto scetticismo e preoccupazione tra gli studenti, nonostante KFOR ed UNMIK abbiano garantito l'assoluta sicurezza delle locazioni prescelte.
Inoltre le università serbe si sono fino ad ora dimostrate a dir poco riluttanti ad accettare numeri troppo ingenti di studenti provenienti dall'Università di Pristina. Ufficialmente questo è dovuto alle difficoltà, prevalentemente finanziarie, che tutte le università hanno avuto quest'anno ad accogliere un numero accettabile di studenti. Situazione messa ancor' più in crisi dagli studenti provenienti dal Kossovo (in particolare all'Università di Nis).
In via meno ufficiale questa riluttanza è anche da ricercarsi nella scarsa preparazione contestata agli studenti dell'Università di Pristina. Quest'ultima era infatti conosciuta in passato per la corruzione, la mancanza di criteri seri di selezione e per dare rifugio a studenti che non erano stati in grado di terminare i loro studi nelle università di Nis, Belgrado o Novi Sad. Molti ad esempio a Nis temono che l'ammissione di questi studenti potrebbe seriamente danneggiare la qualità dei corsi di studio (Beta, 11.10).

Istria: tra Croazia ed Europa

08/10/2001 -  Anonymous User

La regione istriana rappresenta fin dall'inizio della storia della neonata Repubblica Croata, un caso politico, sociale e culturale molto particolare.

Kosovo: le elezioni dell''indipendenza'

08/10/2001 -  Anonymous User

E' iniziata la campagna elettorale per le elezioni generali in Kossovo , che dovrebbero tenersi il 17 novembre, senza che vi siano sostanziali divergenze tra i principali contendenti. Tutti vogliono che la loro provincia diventi uno Stato sovrano. Gli elettori dovranno solo decidere chi sarà a guidare i kossovari su questa strada.
A differenza del clima di violenza che ha caratterizzato le elezioni locali dello scorso anno, i partiti politici, in particolar modo i più militanti, hanno favorito un'apparenza più liberale e progressista, rendendosi conto di avere maggiori probabilità di raggiungere il potere dimostrandosi convinti sostenitori dei valori della democrazia.
Nonostante sia quasi scontata la vittoria dell'Alleanza Democratica di Ibrahim Rugova, LDK, sembra probabile che quest'ultimo sarà costretto a governare in coalizione.L'uomo che durante gli anni '90 e la lotta di resistenza passiva a Milosevic godeva praticamente del supporto della totalità della popolazione albanese, ora è appoggiato solo dalla metà di questi ultimi.
Ma i suoi principali rivali, Hashim Thaqi e Ramush Haradinaj, ritengono il suo tempo sia passato e il suo approccio ritenuto debole e troppo aperto al compromesso rischi di bloccare, se non impedire, l'indipendenza del Kossovo.
Molti consensi da Rugova sono passati ai due partiti nati dall'UCK, l'esercito di liberazione del Kossovo: il Partito Democratico del Kossovo di Thaqi, PDK, e l'Alleanza per il futuro del Kossovo di Haradinaj, AAK. I sondaggi prevedono che questi due partiti si attestino rispettivamente sul 30% ed il 10% dei consensi. I loro sostenitori sperano in una continua ed inesorabile erosione della popolarità ed influenza di Ibrahim Rugova.
L'LDK invece sosterrà con tutta probabilità durante questa campagna elettorale che è merito di Ibrahim Rugova, e della sua lunga opposizione al regime, se la questione kossovara è assurta a fondamentale nell'arena internazionale. Il suo carisma e la sua esperienza, ritengono i suoi sostenitori, garantiscono basi maggiori per la richiesta dell'indipendenza, che non le dichiarazioni di Thaci e Haradinaj, da loro visti come violenti, nervosi e soprattutto privi della necessaria esperienza politica.
Ma Thaqi e Haradinaj, entrambi famosi ex-comandanti dell'UCK, si stanno preoccupando di raffinare la loro immagine proponendosi come alternativa politica di valore piuttosto che opzione "militante" per l'elettorato.
Oltre a criticare Rugova per la sua tendenza al compromesso, il PDK ha sottolineato più volte come egli abbia fallito nel creare una piattaforma comune dei kossovaro-albanesi per l'autogoverno del Kossovo in seguito alla fine del conflitto nel 1999.
In questo processo di "make-up" l'AKK sta tentando invece di riformare la sua immagine di coalizione di sinistra composta da radicali e militanti. Per protesta molti sostenitori della linea dura hanno lasciato il partito.
La coalizione ha cercato di avvicinare i partiti liberali ed è riuscita addirittura a reclutare tra le proprie file Mahmut Bakali, ex-leader comunista, fuori dallo scenario politico negli ultimi due decenni ma stimato intellettuale il cui arrivo porterà all'AKK un significativo numero di voti.
Sia Bakali che Haradinaj sostengono che in questo specifico momento storico per il Kossovo, così vicino all'indipendenza, si dovrebbe proporre la formazione di una coalizione governativa che comprenda tutti i partiti sulla scena politica e non tanto permettere che le scelte in merito al futuro della provincia possano essere prese da un unico partito o dalla coalizione da esso guidata.
Ed è proprio la questione dell'indipendenza che sta causando molti dubbi sulla partecipazione dei circa 170.000 serbi-kossovari. Nonostante più della metà di questi ultimi si sia registrata per votare non è chiaro quanti effettivamente si recheranno al seggio. Visto che, per ragioni demografiche, il parlamento della provincia sarà dominato da kossovari-albanesi che spingeranno per ottenere un loro Stato sovrano, i leader della comunità serba ritengono ci sia il rischio di legittimare il processo di indipendenza recandosi alle urne il 17 novembre prossimo.
La comunità internazionale sta tentando di convincere i serbi a partecipare al voto argomentando che questo garantirà loro un'influenza sulle decisioni in merito all'indipendenza della Provincia. Dieci posti del parlamento kossovaro sono riservati alla comunità serba. Se prendessero parte alle elezioni potrebbero riuscire ad ottenere fino a 27 deputati.
Sembra che queste elezioni si terranno in condizioni molto migliori rispetto a quelle locali dello scorso ottobre, oscurate dalla violenza. Mentre i partiti albanesi tentano di migliorare la loro immagine si ha la percezione che la spigolosa rivalità tra moderati e militanti si sia attenuata. Sono diminuite le intimidazioni, le minacce ed i pestaggi.
I leader kossovari sembrano aver capito che devono essere pazienti ed adattarsi inizialmente ai poteri limitati che i vincitori acquisiranno con queste elezioni. Hanno compreso che il Paese continuerà ad essere governato dall'Alto Rappresentante delle Nazioni Unite e che, nel breve periodo, i poteri della nuova assemblea saranno limitati.
Detto questo, vi è anche la convinzione che chi sarà eletto giocherà un importante ruolo nelle negoziazioni sul futuro status del Kossovo e come conseguenza che la provincia ha bisogno di un'amministrazione efficiente ed una squadra politica forte in grado di condurre quelle stesse negoziazioni.


di Shkelzen Maliqi
IWPR (traduzione a cura dell'Osservatorio sui Balcani);

Presidente della RS in visita alla comunità serba di Bocinja (FBiH)

04/10/2001 -  Anonymous User

Il Presidente della Republika Srpska, Mladen Ivanic, ha visitato il 21 settembre scorso la comunità serba residente nel villaggio di Bocinja, nella Federazione BiH. Prima della guerra vi vivevano circa 3000 serbi. Fuggiti durante le ostilità ne sono ritornati solo 300 che ora si trovano ad affrontare condizioni di vita difficili. "Solo 21 delle nostre case sono state ricostruite grazie a fondi del Governo olandese" hanno denunciato ad Ivanic. Le altre rimangono distrutte, come distrutta è la scuola elementare locale tant'è che i bambini nel villaggio non stanno frequentando alcuna lezione. Tutto questo con un tasso di disoccupazione molto alto e con pochi investimenti fatti sul settore agricolo, quello dal quale la maggior parte delle famiglie di Bocinja trae i pochi mezzi che garantiscono loro la sussistenza.
Anche la sicurezza di questa piccola comunità è spesso messa a repentaglio e la permanenza di sette famiglie di Mujahedins nel villaggio certo non aiuta ad abbassare le tensioni. Sono stati denunciati infatti più volte attacchi ed intimidazioni da parte di questi ultimi alla minoranza serba.
Ivanic ha però voluto rassicurare i cittadini di Bocinja. "il Governo della Republika Srpska provvederà a finanziare la ricostruzione di 10 case - ha assicurato - e ritornerò il prima possibile, questa volta accompagnato dal primo ministro della Federazione BiH Alija Behmen e da rappresentanti della Croce Rossa Internazionale, per vedere cosa si possa fare per garantirvi maggiori diritti e condizioni migliori di vita".
Il Presidente della RS ha inoltre concordato sulla necessità che, per evitare ulteriori incidenti, le famiglie dei Mujahedins lascino il villaggio (Glas Srpski, 22-23/09).

Migranti e rifugiati:preoccupazione delle associazioni italiane

04/10/2001 -  Anonymous User

E' stato convocato per venerdì 12 ottobre a Perugia un incontro per riflettere e dibattere sulle recenti proposte di legge sull'immigrazione e l'asilo. In particolare l'ICS in un documento fa sapere di ritenere il recente disegno di legge allarmante ed ispirato da una cultura dell'intolleranza e del rifiuto, con il rischio di affossare ogni concezione di società aperta e multietnica.All'inconro, che si terrà nell'ambito della marcia Perugia-Assisi, sono invitate tutte le organizzazioni e persone interessate.
L'appuntamento è per le 17.30 presso la Casa dell'Associazionismo in via Viola n. 1.

Serbia: discriminazioni contro i Rom

02/10/2001 -  Anonymous User

Una trentina circa di Rom, dopo essere stati buttati fuori dalle loro abitazioni in via Zimonjic, hanno vissuto negli ultimi tre mesi in uno dei parchi di Kostunjak (un quartiere di Belgrado). Queste persone stanno vivendo senza alcuna delle normali condizioni di vita quotidiana.
La municipalità di questa parte della città ha ordinato loro di lasciare anche questo luogo entro il 1 di ottobre. Goran Stojkovic, membro di una di queste famiglie, ha detto che non hanno ricevuto alcun tipo di aiuto, aggiungendo che l'unica organizzazione che si occupa dei loro problemi è l'Humanitarian Law Center, che si è appellata alle autorità affinché facciano qualcosa, ma che comunque, da esse, non ha ricevuto alcun riscontro.
Tanja Pavlovic-Krizanic dell'Humanitarian Law Center ha ribadito l'importanza di trovare dei fondi appropriati per queste persone, in modo che vengano sistemate adeguatamente, e ha aggiunto che l'inverno è alle porte e queste persone e i loro bambini non dispongono di vestiti adeguati.
Sempre questa organizzazione non governativa di Belgrado, ha richiesto, nei giorni scorsi, al ministro della polizia l'identificazione immediata di due poliziotti di Novi Sad, che sono responsabili per le percosse fisiche inflitte a E. M. (14 anni) e ai sui amici, due giovani Rom.
L'Humanitarian Law Center dichiara che i due poliziotti sabato scorso appena dopo la mezzanotte hanno percosso tre giovani Rom, senza motivo e senza che ci fosse da parte dei ragazzi alcuna provocazione.
L'Humanitarian Law Center si anche appellata alla polizia affinché svolga correttamente le indagini, in particolar modo nei casi in cui le vittime delle torture della polizia sono bambini.

Croazia: sostituito il direttore dell'Istituto Nazionale di Statistica

02/10/2001 -  Anonymous User

Il direttore dell'Istituto Nazionale di Statistica, Ivan Rusan, è stato sostituito in seguito alle pesanti critiche da parte del Governo in merito alle informazioni catastrofiste rese note dall'Istituto sulla situazione economica del Paese. La notizia viene commentata da Sanja Kapetanic (Vjesnik, 24.9) la quale evidenzia come il Governo sembra coprire le proprie difficoltà, in particolare riguardanti l'incompetenza di numerosi dei sottosegretari di nomina governativa, accusando persone che ricoprono incarichi prevalentemente operativi.
Secondo il presidente del Comitato di Helsinki per i diritti umani, Zarko Puhovsnki (Jutarnji list, 27.9) le vere motivazioni alla base della rimozione dall'incarico di Rusan sarebbero le forti difficoltà del Governo nel chiarire i radicali cambiamenti della struttura etnica del paese negli ultimi dieci anni. I cittadini della comunità croata sarebbero infatti passati dal 76% al 93% a scapito soprattutto della comunità serba passata dall'11% al 4-5%. Gli appartenenti a minoranze sarebbero oramai in Croazia meno di 60.000.

Montenegro: la commissione per il referendum e le pressioni occidentali

25/09/2001 -  Luka Zanoni

La tensione politica in Montenegro sembra sempre più alta. La scorsa settimana la delegazione montenegrina non si è presentata al cospetto di Kostunica, facendo così saltare l'incontro previsto e organizzato dallo stesso presidente federale, con l'intento di definire i rapporti tra la Serbia e il Montenegro. Kostunica indispettito ha inviato ieri una lettera a Djukanovic, Vujanovic, Djindjic e Pesic nella quale rivolgendosi ai funzionari montenegrini scrive: "sembra che abbiano deciso di chiudere gli occhi di fronte alla realtà e di prendere una strada più tortuosa, difficile e incomparabilmente più costosa, ovvero la via del referendum" (Vijesti 25-9). Kostunica si riferisce in particolare alla seduta tenutasi ieri al Parlamento montenegrino, durante la quale è stata presa la decisione di formare una commissione per la creazione di una nuova legge sul referendum.
La commissione è stata proposta ed accettata dai partiti che compongono il governo di minoranza: DPS, SDP e LSCG, ossia il partito del presidente Djukanovic, i Socialdemocratici e il Partito Liberale. Insieme a questi si è trovato anche Ferhat Dinosa della DUA (Unione Democratica Albanese), mentre i membri della coalizione "Zajedno za Jugoslaviju" (Insieme per la Jugoslavia), ovvero l'SNP di Predrag Bulatovic, l'NS di Dragan Soc e il Partito Popolare Serbo (SNS), hanno abbandonato la seduta (la coalizione pro-Jugoslavia ritiene infatti primaria la definizione dei rapporti tra le due repubbliche che compongono la Federazione, e crede che solo in un secondo tempo si possa preparare la legge sul referendum e il referendum stesso).
La commissione composta da due rappresentati di tutti i partiti parlamentari avrà il compito, nell'arco di 15 giorni, di preparare e di consegnare al Parlamento la proposta della nuova legge sul referendum. Secondo il portavoce del DPS, Igor Luksic, "più volte gli appartenenti alla coalizione pro-Jugoslavia sono stati invitati alla formazione di tale commissione, purtroppo però i posti loro riservati ieri al parlamento sono rimasti perlopiù vuoti" (Vijesti 25-9).
Invece secondo il vicepresidente del SNP, Zoran Zizic, la decisione di dare il via alla commissione per il referendum, conferma la prova che il DPS non ha intenzione di procedere con il dialogo. Zizic in sintonia con la coalizione "Insieme per la Jugoslavia" ha insistito sulla formazione di un governo di concentrazione, accordo che era stato in parte formulato durante l'incontro tra Bulatovic e Djukanovic a Podgorica nel mese di agosto. La reazione di Zizic è racchiusa in queste parole "formate voi la commissione senza l'opposizione e vedrete cosa vi diranno gli ambasciatori degli Stati Uniti e della Gran Bretagna che arrivano domani a Podgorica" (Vijesti 25-9).
È risaputo infatti che le diplomazie occidentali non hanno mai visto di buon occhio la secessione del Montenegro. Infatti alcune speculazioni riguardanti la visita dell'ambasciatore inglese, Charles Croford, e di quello statunitense William Montgomery, a Podgorica vertono proprio sulla pressione che i due eserciterebbero sul Montenegro al fine di condurlo ad un dialogo con Belgrado.
Croford che si è incontrato ieri con i rappresentati del Partito Liberale e con il presidente del NS, Dragan Soc, mentre l'incontro con il presidente del SNP ha preceduto di poco la seduta parlamentare, ha dichiarato che l'Occidente non ha nulla contro il referendum per l'indipendenza del Montenegro, ma ha sottolineato che la maggioranza a questo referendum deve essere significativa. Secondo le parole dell'ambasciatore inglese: "il mondo non ha creato problemi durante la creazione della Slovenia indipendente perché la maggior parte della popolazione ha voluto l'indipendenza" (B92, 25-9), mentre dopo le ultime elezioni in Montenegro di certo non si può dire la stessa cosa. Infatti le scorse elezioni montenegrine, che in parte hanno funto da banco di prova per determinare il desiderio popolare di indipendenza, hanno dimostrato che gli indipendentisti arrivano a mala pena al 50% dei votanti.
In un'intervista per il quotidiano montenegrino "Dan", Croford ha ripetuto che l'Occidente vede la soluzione degli attuali problemi nella regione in uno stato unitario e ha valutato che è possibile creare un accordo strategico tra il Montenegro e la Serbia. Secondo Croford per la Federazione di Jugoslavia è molto importante che si risolva soprattutto il problema dei debiti esteri, affermando che la lentezza delle riforme crea una certa insicurezza e instabilità politica.

Macedonia: dialogo a Skopje

24/09/2001 -  Anonymous User

..."Gli albanesi e i macedoni in Macedonia vinceranno la battaglia solo se saranno abbastanza coraggiosi per guardare se stessi allo specchio. Per vedere non cosa gli altri hanno fatto a loro, ma bensì per vedere cosa loro hanno fatto agli altri...".

Rapporti Croazia-FRY

18/09/2001 -  Anonymous User

Il ministro degli esteri croato, Tonino Picula, ha dichiarato che giunto il tempo che venga nominato l'ambasciatore croato nella FRY, a Belgrado. Picula ha espresso la sua credenza che la FRY farà la stessa cosa.Ad ogni modo ha commentato le relazioni tra la Croazia e la FRY, dicendo che non saranno semplici comunque. "Il problema di nominare l'ambasciatore non è certo l'unico problema esistente tra i due paesi, penso che abbiamo un'intera serie lista di problemi che attendono la sluzione, e su ciò dobbiamo lavorarci" ha ribadito Picula.
Nel frattempo secondo quanto scrive il quotidiano di Zagabria, Vjesnik, il presidente del Forum democratico serbo, Obrad Ivanovic, ha annunciato il ritorno di un certo numero di serbi nel territorio compreso da 16 contee della Slavonia Occidentale, si parlerebbe di 5.150 persone. Tuttavia questo numero rappresenta solo il 10% dei cittadini che lasciarono la Croazia dopo l'azione armata denominata "Bljesak", nel maggio 1995.
Attualmente il numero di queste persone che sono in attesa di riavere le proprietà è di circa 1400, mentre quelli che stanno aspettando ancora le riparazioni necessarie delle proprie abitazioni è di circa 5.000.

E' online la nostra guida tematica sulle minoranze nei Balcani

14/09/2001 -  Anonymous User

Lo studio, curato da Slavica Dimitrievska e Steve Degenève dell'Accademia Europea di Bolzano inizia con una breve introduzione in cui si sofferma sui concetti di minoranza e di autonomia, nonché sulla tutela che le norme internazionali garantiscono ai diritti delle minoranze. In seguito i ricercatori prendono in considerazione ciascun paese dell'area, monitorando per ognuno i temi della partecipazione alla vita pubblica, della lingua, dell'istruzione e dei media. Il testo è in inglese ed è stato realizzato nell'ambito di MIRIS, il Minority Rights Information System dell'Accademia Europea di Bolzano.

Campagna d'informazione per uscire legalmente dal Kosovo

12/09/2001 -  Anonymous User

Per prevenire l'immigrazione illegale da parte almeno da parte degli albanesi del Kosovo e soprattutto cominciare a scardinare il traffico di persone che lucra sopra, la sede di Pristina dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha indetto una campagna di informazione per tutto il Kosovo. Lo scopo è istruire gli abitanti sul modus operandi per una emigrazione legale. Secondo un recente sondaggio Oim, infatti, il 70 per cento della popolazione, non conosce le procedure per ottenere un visto valido per l'espatrio. Per il> 78 per cento invece è più facile lasciare il paese illegalmente. L'Oim quindi ha ha deciso di girare per i vari municipi di tutta la regione, organizzando degli incontri e diffondere dei "radio show" con un vademecum sui canali legali con cui raggiungere i paesi europei. La campagna punta a istruire in particolare le persone tra i 16 e i 30 anni, ovvero la fascia d'età più disposta a lasciare il paese in cerca di fortuna e quindi capaci di pagare somme esorbitanti a trafficanti e scafisti per uscire dai confini. Recentemente è stato pubblicato il rapporto sui rientri e la reintegrazione in Kosovo.

Montenegrini e albanesi, convivenza a rischio o semplici giochi politici?

04/09/2001 -  Luka Zanoni Kotor

Mentre in Macedonia e' iniziata l'operazione di raccolta delle armi dei guerriglieri albanesi, in Montenegro e' salita la tensione e la paura che questi ultimi possano spostare in questa parte dei Balcani un nuovo conflitto interetnico. Tutti i quotidiani montenegrini, in questi ultimi giorni di agosto, riportano in prima pagina la situazione di alta tensione sviluppatasi dopo l'incidente della scorsa settimana nel nord del paese, presso il villaggio di Cakor, nel comune di Plave. Il villaggio di Cakor, nei pressi di Plav, si trova molto vicino al confine con il Kosovo, a circa una quarantina di chilometri da Pec.
Il 24 agosto un gruppo di lavoratori stagionali dei servizi forestali, originari della Bosnia, e' stato attaccato da tre uomini vestiti di nero e col capo coperto da un cappuccio. Come confermano i testimoni oculari i tre uomini parlavano albanese ed erano armati. Dopo aver chiesto ai lavoratori la consegna della motosega che stavano utilizzando e il tentativo di questi di darsela a gambe, i tre uomini armati hanno sparato alcuni colpi d'arma da fuoco. Un ragazzo di 21 anni, Nenad Markovic, e' rimasto ucciso, mentre il suo compagno, Damljen Bozic di 25 anni, e' stato ferito piuttosto seriamente. I tre uomini armati se ne sono poi andati convinti che entrambi i ragazzi fossero morti. La ricostruzione dell'accaduto e' stata fatta dal ragazzo sopravvissuto e da un altro lavoratore che ha assistito alla scena e che sembra sia stato maltrattato dai tre uomini mascherati. Ancora non e' ben chiaro il motivo per cui i tre uomini hanno aperto il fuoco contro i boscaioli, sta di fatto che la tragedia ha suscitato una forte preoccupazione sia tra i cittadini della regione dove si e' verificato l'incidente, che in tutto il Montenegro.
Il timore che possa accadere un conflitto sul tipo di quello macedone o della Serbia meridionale viene alimentato anche dai media locali. Tra i partiti Politici,l'SNP e' tra quelli che credono all'esistenza di "piani segreti per una totale dominazione degli albanesi in Montenegro". Come riporta il quotidiano Vijesti (28-8) in prima pagina, il portavoce del SNP, Dragan Koprivica, ritiene che il Montenegro potrebbe godere dello stesso destino riservato alla Macedonia. Secondo Koprivica i molti turisti di nazionalita' albanese giunti quest'anno in Montenegro non sono solo semplici turisti. Molti comprano case e pianificano una dominazione del Paese. L'SNP non perde tempo nel rinfacciare al governo di non riconoscere tale possibilità e chiede le dimissioni della presidentessa della Camera, Vesna Peovic (Partito Liberale).
Decisamente differenti sono le reazioni del partito di governo, l'SDP. I socialdemocratici, per voce del vicepresidente Ranko Krivokapic, ritengono che gli albanesi non abbiano mai manifestato l'intenzione di dividere il Montenegro. Krivokapic ha aggiunto, inoltre, che il Montenegro e' un ambiente sicuro per tutti coloro che desiderano viverci e lavorare. Il paese, secondo il vicepresidente dell'SDP, e' pronto a scusarsi con coloro che sono rimasti vittime dei conflitti, ma al tempo stesso e' anche pronto a perseguire coloro che gettano odio tra la gente. Parole rassicuranti provengono anche dal ministro per la difesa dei diritti dei gruppi etnici e nazionali, Gzin Hajdinaga. Il ministro ha, infatti, rigettato la possibilita' dell'estensione del conflitto dalla Macedonia al Montenegro, affermando che gli albanesi in questo paese sono fedeli cittadini. Hajdinaga ha ribadito che non esiste alcuna informazione riguardo la premeditazione di un attacco di albanesi kosovari verso il Montenegro e ha aggiunto infine che gli albanesi "cercano di ottenere i propri diritti solo attraverso le istituzioni legali" (Vjiesti 28-8).
Nonostante ciò, una certa preoccupazione tra i cittadini per la propria sicurezza rimane. Soprattutto in quei comuni come Plav e Murino, molto vicini alla frontiera col Kosovo. Secondo quanto riporta il quotidiano "DAN" (28-8) parecchi abitanti ortodossi avrebbero, durante gli ultimi mesi, venduto le proprie abitazioni ad acquirenti di fede musulmana, per scappare dal pericolo imminente. Tuttavia come spiega il sindaco di Plav, Orham Rezepagic, in tutto ciò non vi e' nulla di strano e poi gli appartamenti (del valore di circa 1.000 marchi al metro quadro) non vengono venduti per la paura o per la difficolta' della convivenza interetnica, bensì si tratta di appartamenti che un tempo erano statali. Secondo il sindaco di Plav non esiste alcun problema di carattere etnico. Di parere decisamente contrario e' il presidente dell'OO SNP di Plave, Branislav Otasevic, che ritiene la vendita degli appartamenti una causa diretta della paura che i cittadini provano riguardo la propria sicurezza e la possibilità che possa accendersi un conflitto tra la popolazione di nazionalità differente. La cosa più probabile rimane tuttavia la vendita degli appartamenti per motivi personali, come la ricerca di un luogo migliore, con ovvie maggiori possibilità di lavoro e occupazione. Come si potrà intuire, spesso sono i media e i partiti che li sostengono, che tendono ad enfatizzare ed esasperare la situazione, alimentando la paura e i sentimenti di rivalsa tra la popolazione. Da tempo infatti gli albanesi vivono in Montenegro, soprattutto in quei luoghi di confine con il Kosovo e l'Albania. Vero e' che durante le scorse elezioni presidenziali (1997) molti albanesi votarono per Djukanovic e tuttora molti albanesi appoggiano l'idea indipendentista della coalizione di governo. Pertanto e' forse proprio per questo che il maggior partito di opposizione l'SNP appunto, strilla a viva voce il pericolo di una Grande Albania e la totale destabilizzazione del Montenegro.
Un'ultima nota riguardo questa questione viene offerta dal numero del 17 agosto del settimanale Monitor, il quale riporta una ampio articolo proprio sulla paura che si sta sviluppando nel paese e sui connessi sentimenti anti-albanesi. L'equipe di Monitor che ha svolto il reportage nelle zone abitate dalla popolazione albanese, quali Plave, Gusinje e Ulcinj, non sembra aver trovato alcuna traccia dei terroristi, ma piuttosto una normale situazione di convivenza tra montenegrini e albanesi. Così per alcuni la presenza degli albanesi e' insidiosa e viene percepita come fonte di minaccia, mentre per altri non crea affatto alcun problema. I giornalisti di Monitor hanno deciso di fare questo sopraluogo dopo che i quotidiani "Glas Crnogoraca" e "DAN" avevano pubblicato alcuni articoli riguardanti l'esistenza di graffiti sui muri indicanti la presenza dell'UCK. Di queste scritte l'equipe di Monitor non ha trovato alcuna traccia, ciò che invece i reporter hanno visto, nella parte nord del paese, e' stata una scritta sul muro che dice "questa e' Serbia", mentre nei pressi della moschea un'altra scritta dice "questa e' turca". Le tensioni anti-albanesi sembrano pertanto una sorta di montatura (e cosi' vogliamo sperare!), che si verificano in particolari momenti di incertezze politiche, alla vigilia delle elezioni per esempio o durante decisioni politiche di un certo rilievo. In questi giorni e' in corso un serrato dibattito tra il governo e l'opposizione, in particolare tra il presidente Djukanovic e il leader dell'SNP Bulatovic, sulla definizione della legge per il referendum sull'indipendenza del Montenegro.
Occorre infine considerare che ad alcuni la presenza di turisti albanesi ha dato particolarmente fastidio e come dice un edicolante di Ulcinj: "per alcuni terroristi e turisti sono la stessa cosa, solo che siano albanesi". Purtroppo però dopo l'incidente a Cakor la situazione potrebbe anche compromettersi ulteriormente, minacciando una convivenza pluriennale. Speriamo si sia trattato di un semplice episodio isolato che non avrà ulteriori conseguenze e sviluppi.

Macedonia: riprendono i lavori

04/09/2001 -  Anonymous User

Il presidente macedone Boris Trajkovski rivolgendosi venerdì ai membri del Parlamento macedone per spiegare la proposta di modifica all'attuale costituzione ha ricordato che "nella storia di tutti i paesi arriva il momento in cui ci si trova di fronte a delle decisioni difficili e che, in una democrazia, queste decisioni sono di competenza dei rappresentanti eletti dai cittadini". Ha spiegato che i lavori di riforma a cui è chiamato il Parlamento, come conseguenza degli accordi di Ohrid, sono di fondamentale importanza per assicurare un futuro di pace, stabilità e prosperità alla Repubblica macedone.Dopo l'improvvisa sospensione della settimana scorsa, che ha costretto i rappresentanti dell'Alleanza atlantica e dell'Unione europea ad esercitare fortissime pressioni sulle autorità macedoni perché riprendessero il dibattito parlamentare, il Parlamento ha finalmente ripreso lunedì i lavori per la riforma della Costituzione che dovrebbero garantire maggiori diritti alla minoranza albanese.
Intanto c'è chi, criticamente, si interroga sul ruolo esercitato dalla stampa e sul tipo di informazioni che vengono divulgate riguardo agli avvenimenti macedoni. Rilanciamo qui un commento dello studioso danese Jan Oberg da tempo voce fuori dal coro nel commentare le vicende del sud est Europa.

Una vita senza casa. La situazione dei rom in Bosnia-Erzegovina

06/08/2001 -  Anonymous User

La privatizzazione minaccia anche i Rom. Questa volta è il turno dei Rom di Mostar, città in cui fin dalla sua fondazione esiste un quartiere - Bisce Polje - abitato da nomadi. E' stata una grande sorpresa per Zarif Ahmetovic tornare a casa pochi giorni fa, e trovare le ruspe che gliela stavano radendo al suolo. Il Comune di Mostar est ha venduto la terra abitata dai Rom ad un imprenditore, Camil Zuharic, che su quel terreno ha in progetto la costruzione di un piccolo centro commerciale. L'accordo tra l'imprenditore e la municipalità di Mostar non ha però preso in considerazione la sorte di Zarif e dei suoi sei figli. La prima notte successiva alla distruzione della casa, la famiglia ha dormito nella casa di amici, ma all'indomani sono dovuti andar via da Mostar, per sempre. "Noi Rom siamo fatti cosi, adesso siamo qui, domani chi lo sa. Quando andiamo via una volta, non torniamo più". "Adesso nessuno della nostra tribù sa dove siano finiti" dice Ramadan Haziri, presidente dell'associazione "Neretva" che raduna i Rom di Mostar.
Sembra che l'accordo con l'imprenditore Zuharic sia ormai una cosa fatta e che una trentina di famiglie Rom dovranno andarsene, mentre il rappresentante del municipio di Stari grad (Città Vecchia) di Mostar - Zijad Hadzionerovic - ha promesso di trovare una soluzione per tutti i Rom di Bisce Polje. In realtà, in passato venne già individuata una località in cui spostarli, ma durante l'inverno scorso la zona venne inondata dal fiume Neretva. Ancora meno fortunati i Rom di Kiseljak (ad ovest di Sarajevo), che durante le inondazioni di luglio si sono ritrovati senza casa. Le famiglie sono state evacuate, ma fino ad ora non è stata trovata per loro ancora nessuna sistemazione definitiva. Sono state proprio queste due storie ad attirare l'attenzione sulla situazione attuale dei Rom in Bosnia.

I Rom in Bosnia Erzegovina

Ad oggi non esistono stime ufficiali sul numero dei Rom presenti in Bosnia ed Erzegovina, anche perché con lo scoppio dell'ultimo conflitto gran parte di essi sono scappati, alcuni diretti verso l'Italia, altri verso la Macedonia e la Serbia.
Prima della guerra vivevano in Jugoslavia circa 850.000 Rom. Esistevano rom di quasi tutte le confessioni religiose presenti sul territorio, ortodossa, cattolica e musulmana, mentre l'intera comunità Rom, senza distinzione di appartenenza religiosa, festeggiava il "Djurdjevdan", che cade ogni sei maggio. Secondo il censimento del 1981, risulta che nella Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia il 47% della popolazione rom con più di 15 anni era analfabeta., il 29% aveva frequentato solo i primi quattro anni di scuola dell'obbligo, appena il 4,6 % aveva frequentato la scuola superiore, e la percentuale di coloro che avevano concluso gli studi superiori si abbassava ad un misero 0,2%.
I Rom vivono da sempre in quartieri separati dal resto della popolazione, cosa che avviene tutt'oggi sia in Bosnia sia nelle altre repubbliche della ex Jugoslavia, come ad esempio a Suto Orizario nei pressi di Skopje. In Bosnia i Rom vivono nelle periferie delle grandi città come Sarajevo, Mostar, Tuzla, o in piccoli quartieri "ghetto" di altre cittadine come Kakanj, Bihac o Zavidovici. La loro posizione sociale li relega quasi sempre in ruoli alquanto inferiori rispetto al resto della popolazione.
Dopo la guerra i Rom rimasti in Bosnia Erzegovina sono molto pochi. Come ci riferisce Haziri, a Mostar prima della guerra vivevano 120 famiglie (per una media di circa 10 membri per famiglia), mentre oggi ne sono rimaste solo 30. Tra i loro membri quasi nessuno lavora in modo stabile, e nessuno beneficia dell'assistenza sociale. Solo ultimamente l'Ufficio affari sociali di Mostar ha deciso di erogare delle sovvenzioni rivolte ai cittadini Rom disabili (invalidi, cechi ecc.).

Le organizzazioni Rom: deboli e divise

L'organizzazione Rom "Neretva" di Mostar è nata pochi mesi fa, e si è data il compito di rapportarsi con le istituzioni nella ricerca di soluzioni definitive ai problemi che sono emersi ultimamente nella zona. Ma purtroppo le organizzazioni locali di Rom non hanno tra loro rapporti molto buoni, cosa che si ripete anche in altri paesi dell'area. Non esiste un coordinamento nazionale per l'intera Bosnia (ed è anche per questo che non è possibile avere dati certi e aggiornati sul numero dei Rom ancora presenti nel paese), e pare non esserci nemmeno una reale volontà di collaborazione.
Tra le tante organizzazioni Rom oggi presenti sul suolo bosniaco, quelle che hanno i maggiori contatti con la comunità internazionale - e quindi anche maggiore accesso a finanziamenti - sono quelle guidate da Rom con una preparazione universitaria. Ma pare esistere un scollamento tra questi e il resto della comunità Rom, perché incapaci di comprendere la tendenza di gran parte dei propri membri a scegliere il nomadismo come impostazione di vita. E così, il disaccordo tra le varie organizzazioni che radunano i Rom della Bosnia Erzegovina non fa che aggravare la situazione, già di per sé difficile, dell'intera comunità. Forse la storia emblematica di Zarif Ahmetovic e della sua famiglia ha attirato l'attenzione pubblica sulle grandi problematiche di questo popolo, che da sempre ha fatto parte della storia bosniaca. Ma intanto nessuno sa dove sia andata la famiglia Ahmedovic...

La situazione dei Rom in Croazia

25/07/2001 -  Anonymous User

I dati

Secondo dati forniti dalle associazioni dei Rom, in Croazia vivono tra le 60 e le 150 mila persone appartenenti a questa comunità. Il primo dato è confermato anche da una ricerca dell'Istituto per le Ricerche Sociali applicate di Zagabria, coordinata da Maja Stambuk, mentre il secondo emerge dalle dichiarazioni di Nusret Seferovic, presidente del Consiglio delle associazioni Rom croate. Diversi invece sono i dati ufficiali: al censimento effettuato nel 1991 risultava che sul suolo croato vi erano soltanto sei mila cittadini Rom, e secondo le previsioni fatte dal gruppo di ricercatori della Stambuk, dall'ultimo censimento effettuato poco più di un mese fa - i cui dati definitivi verranno resi pubblici nel prossimo autunno - dovrebbe emergere un numero di Rom dichiarati tra le 12 e 18 mila. Numeri molto bassi, se si considera che lo stesso Seferovic indica in 12 mila i rom che vivono nella sola città di Zagabria. Questa vistosa differenza tra i dati reali e le cifre che emergono dai censimenti è da porre in relazione alla tendenza della maggioranza della popolazione rom a dichiararsi "croata" se appartiene alla religione cattolica oppure "bosniaca" se di religione musulmana. Il motivo non è concretamente dimostrabile, ma è verosimile che molti non si dichiarino espressamente "Rom" per paura del razzismo latente - ma a volte anche esplicito - e dei forti pregiudizi che gran parte dei cittadini croati mostrano nei loro confronti. Un esempio? Il portiere della squadra nazionale di calcio medaglia di bronzo ai Campionati Mondiale del 1998, Drazen Ladic, si è sempre dichiarato "croato", e con lui tutti i membri della sua comunità che tutt'oggi vive nella contea di Medjimurje, al confine con Slovenia ed Ungheria, semi-isolata dal vicinato croato.

Le organizzazioni rom

La popolazione Rom si è organizzata in circa 40 organizzazioni non governative, e in un partito chiamato "Partito Rom" il cui presidente è Stevo Djurdjevic, imprenditore di Bjelovar nella Croazia settentrionale. Le 40 organizzazioni si raggruppano in tre associazioni nazionali: l'Associazione delle organizzazioni Rom croate, il cui presidente è Vid Bogdan di Pitomaca presso Koprivnica (Croazia settentrionale), che collabora anche con il Partito Rom e raggruppa le tribù Bajasi, provenienti dalla Romania, e i Rom autoctoni croati sopravvissuti allo sterminio ustascia nel periodo della seconda guerra mondiale. Vi è poi il Consiglio delle associazioni Rom croate del già citato Seferovic, che raggruppa i Rom bosniaci e croati. In ultimo c'è il Consiglio di coordinamento delle associazioni Rom in Croazia, presieduto da Sead Hasanovic Braco di Kozari Bok (un sobborgo di Zagabria), che raggruppa prevalentemente Rom provenienti dalla Macedonia e dal Kosovo.
Le tre associazioni nazionali sono divise tra loro, e questo è uno dei problemi più acuti della comunità Rom. Sono in corso tuttavia degli sforzi per un riavvicinamento, anche se il lavoro è difficile. L'unico personaggio di rilievo che forse potrebbe guidare questa riconciliazione pare essere Veljko Kajtazi, atleta famoso (ex-campione internazionale di jiu jitzu) e professionista molto stimato. Kajtazi si è laureato all'università e oggi lavora come ingegnere elettronico; da lui dipende la riuscita dell'iniziativa di riavvicinamento, perché è l'unico tra i personaggi di rilievo della comunità Rom che non appartiene a nessuna delle tre fazioni concorrenti.
Rispetto ai funzionari di queste associazioni, circa il 90% è attivista di professione, cioè ricava il suo reddito esclusivamente dal lavoro nel settore non governativo. I finanziamenti provengono in primo luogo da donazioni estere, ma anche il governo eroga contributi attraverso l'Ufficio per le minoranze etniche. In particolare poi il Comune di Zagabria sostiene le associazioni Rom nel settore della cultura, dell'assistenza sociale e in misura minore dell'educazione.

Il lavoro e la casa

Circa il 25% della popolazione Rom ha un posto di lavoro fisso, la maggioranza in imprese statali. La manodopera non qualificata lavora nei cantieri navali, soprattutto nel cantiere "3 maj" di Fiume, e nei servizi comunali. Tra i pochissimi che hanno una formazione professionale (tecnici, ecc) la disoccupazione è praticamente inesistente. Kasum Cana, dell'Associazione Bogdan e presidente della sezione di Zagabria della Federazione del Partito Rom, parla addirittura di "discriminazione positiva" in questo contesto (pur statisticamente non significativo). Un altro 20% circa della popolazione è rappresentato da piccoli imprenditori - in particolare nell'ambito del commercio e dei servizi - a conduzione familiare e spesso senza operai dipendenti. Il resto della popolazione (circa il 55%) sopravvive grazie al commercio "in nero" e ad altre attività semi-legali o illegali, e una metà di essa si dichiara disoccupata. Per quanto concerne gli alloggi, il 30% dei Rom vive in case di proprietà, il 10% in appartamenti - in genere modesti - presi in affitto, il restante 60% in baracche e casupole per la maggior parte abusive. La differenziazione sociale nella popolazione Rom è enorme, e non esiste praticamente un ceto medio: i Rom o sono estremamente ricchi, secondo gli stessi criteri di valutazione utilizzati per la maggioranza della popolazione croata, oppure fanno parte della scala sociale più bassa e vivono ai margini della società.

L'educazione e i giovani

Soltanto il 10% dei giovani Rom frequenta la scuola dell'obbligo fino alla fine del corso di studi, che in Croazia dura otto anni. Ancora meno - 6-8% della popolazione giovanile - sono quelli che frequentano un corso di studi medio superiore, e in genere privilegiando gli istituti professionali. Sono rarissimi i Rom che frequentano il liceo e poi proseguono negli studi superiori. L'università è frequentata solo da qualche decina di giovani membri della comunità Rom croata.
D'altronde, il livello di integrazione dei giovani Rom nelle scuole è molto basso, e gli atteggiamenti di discriminazione a volte sono aperti, altre volte molto sottili. La discriminazione si rivolge soprattutto verso i bambini appartenenti al ceto più basso, che spesso hanno grandi difficoltà a esprimersi in lingua croata. Ad eccezione di un'iniziativa privata avviata a Kozari Bok (sobborgo di Zagabria) e in alcuni istituti nella Croazia settentrionale, nelle scuole non è previsto l'insegnamento aggiuntivo della lingua e della cultura Rom.

La condizione sociale dei Rom in Croazia

L'assistenza sociale è relativamente ben organizzata, e non vi sono casi ufficialmente registrati di discriminazioni nei confronti della popolazione Rom in questo settore, anche se va detto che pochi di loro rientrano tra le categorie dei beneficiari ammessi alle sovvenzioni statali. L'assistenza sociale in Croazia, infatti, viene offerta ai disoccupati con più di vent'anni di contributi alle spalle, e solo nei primi dodici mesi di disoccupazione...In alcuni casi le autorità mettono a disposizione delle famiglie Rom un'abitazione popolare, ma questa prassi non è molto seguita nemmeno nei confronti del resto della popolazione. A questo proposito il Sindaco di Zagabria, Milan Bandic, ha espresso l'intenzione di costruire nuove case per i Rom e risolvere così la situazione di coloro che attualmente vivono in casupole illegali. Moltissimi membri della stessa comunità Rom si sono dichiarati però contrari all'iniziativa, perché ciò li metterebbe in un'ulteriore condizione di ghettizzati.
Kasum Cana spiega questo atteggiamento anche con la violenza interna alla popolazione Rom: recentemente si è registrato un caso brutale di stupro di una minorenne di nazionalità Rom commessa da parte di vicini di casa, appartenenti alla stessa nazionalità. Questo ha provocato il rifiuto da parte della famiglia a cui la ragazza appartiene di vivere in prossimità della famiglia dei responsabili della violenza.

I rapporti con il resto della popolazione croata

Ci sono stati dei casi di discriminazione anche pesante nei confronti di cittadini Rom croati, e in particolare sette casi di violenza neonazista tuttora irrisolti tra il 1999 e il 2001. Rispetto a ciò il comportamento della polizia ha mostrato due volti: da un lato solo in un caso recente a Pola gli skinheads responsabili delle violenze sono stati arrestati, e solo per iniziativa della stessa comunità Rom che li ha segnalati alla polizia. "Al contrario - afferma Cana - quando qualche persona di nazionalità Rom commette un reato è subito scoperta ed arrestata". Dall'altro lato però, dopo le gravi aggressioni sempre da parte di skinheads nella scorsa primavera a Zagabria, la polizia ha iniziato a mostrare una certa efficienza. Ora infatti gli skinheads sembrano neutralizzati, e non attaccano più la comunità Rom.
Ciò nonostante, secondo Cana resta inaccettabile ad esempio che non si proceda contro un noto gruppo neonazista responsabile mesi fa di aver picchiato un ragazzo Rom, nel quale "milita" anche il figlio di un generale dell'Esercito croato. Cana sostiene che il Ministero degli interni dovrebbe essere più attivo nel fornire sicurezza alla popolazione Rom, e nell'isolare la destra radicale che minaccia i fondamenti della democrazia e dei diritti umani di tutta la popolazione croata.
Durante l'intervento della NATO in Kosovo, in Croazia è arrivato un gruppo di profughi di nazionalità Rom provenienti da quella regione. Tra loro vi sono una ventina di persone che hanno chiesto e ottenuto lo status di rifugiati, ma nel frattempo hanno già lasciato il paese e ora si trovano accolti in Svizzera. Soltanto uno di loro vive ancora a Zagabria, e riceve un aiuto sociale erogato dal quartiere comunale Maksimir. Recentemente sono arrivati a Zagabria anche alcuni membri della comunità Rom macedone, sistematisi poi presso famiglie di conoscenti o di parenti. Nessuno di loro ha chiesto lo status di rifugiato, in parte perché arrivati in modo illegale - cioè senza aver ottenuto il visto - e in parte perché sperano di avere un futuro nel proprio paese di origine o in occidente. Tutti - racconta ancora Cana - sperano di partire per l'Italia o la Svizzera, perché in Croazia non si può vivere con i soli aiuti umanitari.

Vedi anche:

The CHC Representatives Visit to the Roma Settlements in the County of Medjimurje

Zamir Association

Roma people in south Serbia

24/07/2001 -  Mihailo Antović Nis

It is today three years since Mr. Sait Balic, known as 'baro manush', which in Romany means 'a great man', died. Mr. Balic was the most famous Roma person in Nis, the man who fought for the rights of Roma people for almost 3 decades, and he was also the President of World Roma Congress. In the seventies and eighties, Nis (which hosts one of the largest Roma populations in the entire former Yugoslavia, about 30,000 people altogether), became a centre of Roma life: it hosted the first (and unique) manifestation known as 'The Meetings of Roma of Serbia" (still active), and it organized the first Roma professional organization known as "Pride". Thanks to Mr. Balic's efforts, in the eighties the first Roma kindergarten was also founded in Nis. But during the life of this great man, the rights of Roma were largely neglected, partly because of the lack of care of Serbian population, and partly because of the attitude of Roma themselves.
Nowadays, at least officially, the situation is slightly better. Romany technically have the same rights as the rest of the population. They are educated in the same schools as the others. They have their political parties, NGOs and regular participation in the media. Until recently, there was a TV show on the local Nis Television every Sunday known as 'Akaja Rat Si Romani', sponsored by the Fund for Open Society and devoted to Roma people exclusively. In the last six months, a radio station in Romany language has been active in Nis. Mr. Balic's son, Osman, has followed his father's footsteps: he is today probably the most active Roma politician in Serbia, currently at the position of Assistant to the Republic Minister of National Minorities, probably the first time in the Serbian history that a Roma person occupies a relatively important political position.

It is the ordinary man on the street and his attitudes, however, that are ultimately relevant when assessing Roma position. Apart from minority militant groups, such as skinheads (virtually nonexistent in Nis, but pretty active in Belgrade and Vojvodina), who often attack Roma people in the streets, excessive physical violence against the Roma is rare. But, there is a general undertone among the Serbs which shows that nobody takes the Roma very seriously. They are seen as petty thieves and smugglers, average musicians or simple labour force, and this conception is enhanced by the fact that in reality they seldom take any upper positions in the society. Misconceptions are sometimes all-present. For example, popular Roma jokes often describe them as 'dirty', which is not only racist but also physically untrue, since their worldview implies the cult of purity, both spiritual and physical, unknown to most Serbs. Needless to say, any mix between the two populations is rare, which is shown by a recent poll where the percentage of Serbs willing to marry a Roma was 0 (strangely, knowing the situation, even Albanians were more suitable prospective marital partners, although that figure was also very low).
The Roma, on the other hand, do not generally do much to improve their position. Many seem to be satisfied with living in semi-ghettos (residential areas known as 'Gypsy-Towns'), sometimes in very harsh conditions. Their education often stops after primary schools, they usually get married early and have a lot of children, whom they cannot fully support, so they are themselves married young, and so on. Crime rates among the Roma are very high, although their offences are usually minor. Their political life, apart from some NGO activity in the recent years, is very modest. In the middle of the 'cast your vote, participate in the elections' campaign last autumn, a large part of which was aimed at the Roma, posters put up in Roma-town in Nis contained an additional inscription: "Whoever tears the posters, let his mother die soon!" - which aimed at the traditional superstition of the Roma, and seemed to be the only way for the posters to stay in one piece and communicate their message. In Vranjska Banja, a spa near Vranje, south Serbia, almost exclusively inhabited by Roma people, almost the entire population of age has joined the currently ruling Democratic Party of prime minister Djindjic. The explanation to this sudden interest in political life came after a local party official, also a Roma person, boasted in front of the foreign journalists that "the Roma are always with those in power, which today means Democratic Party, and that everybody will join. Those who do not, will be 'located'". Someone might call this a new reading of democracy.

However, the funny stories of the local Roma people and their clumsiness when they are to somehow integrate into society are replaced by very grim stories of Roma IDPs from Kosovo. While ethnic Serb IDPs had somewhere to go to, or at least were given some attention, the Roma were left to wander on their own. No one was willing to accept them (in Nis there was one (only one!) family ready to accept Roma population). There was virtually no organized care for the Roma once they crossed the administrative Kosovo border. On the other hand, it would be fair to notice that Roma NGOs, in spite of such a neglect of their compatriots, always make programmes which help all IDPs, irrespective of their ethnicity.

The Roma from Kosovo were put up in some camps where conditions were generally worse than those camps hosting Serbs. There is a large camp known as Salvatore in Bujanovac. From June 1999 to June 2000 the Roma there were put up in tents. Only last summer were they allowed containers donated by the Japanese government. The most terrible story was the one from Kursumlija, in the southwest, were a number of families settled downtown, in the open air, under the bridge. Some had to survive through the winter in unfinished buildings with no windows, no heating, and bad roofs - such as the Cultural Centre building in Kursumlija. In Kragujevac, their situation was slightly better - they were allowed to enter small bungalows with joint kitchen and toilet, shared by eight families. There are some situations where the Roma are settled within Kosovo, also as IDPs: such is the case in the camp in Plementina, a virtual ghetto a few miles from home, where there are about 700 IDPs (mostly Roma, with some Kosovo Serbs and a couple of Serbian families earlier settled from Krajina, Croatia). They are taken care of by the Kosovo branch of ICS.
It is rather difficult to work with Roma population and most NGOs avoid this activity. Repatriation programs still do not exist, and integration is almost impossible. The social habits of many are extremely low, so they are usually taught the most basic things by NGO activists: literacy, basic hygiene (for which they often get small packages with soap and toiletry weekly) etc. Some are trained in workshops, where they choose activity according to their wishes: they are taught some English, music, rap, folklore, even karate - virtually anything to get them socialized as much as possible. ECHO and ICS have started up the project "Evropako Rom" (European Roma), which consists of making the Roma population, especially the youth, active in preparing their own magazine. It is published every two months, and it covers the topics in Roma legends, history, culture, but it also offers some news and interviews.

The overall situation of the Roma, however, remains grim. Generally treated with disrespect, not well organized and not determined to fight, they have remained on the fringes of society for centuries. Among them, those displaced from Kosovo have probably generally been through the most humiliation and neglect of all ethnic groups since the break up of the former Yugoslavia.