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Disfunzionalità politica, crisi istituzionale, febbre bancaria e elezioni anticipate. È questa la fotografia della Bulgaria dopo il voto per le europee dello scorso maggio. Nostro approfondimento

18/07/2014 -  Francesco Martino Sofia

Le elezioni per il Parlamento europeo – tenute lo scorso 25 maggio – hanno segnato una svolta nella scena politica in Bulgaria: la sonora sconfitta rimediata dal Partito socialista bulgaro (BSP) ha chiuso ogni speranza dell'esecutivo guidato dalla primavera del 2013 dall'economista Plamen Oresharski di continuare la propria avventura, consegnando il paese ad una fase di transizione delicata e gravida di rischi.

Nel complesso periodo apertosi con la crisi di governo, la Bulgaria si è trovata effettivamente al centro di varie faglie di tensione, che hanno messo alla prova la capacità di tenuta del paese. Improvvisa, è scoppiata la peggiore crisi bancaria degli ultimi anni, dopo quella drammatica che sconvolse la Bulgaria nell'inverno 1996-97. Una crisi scatenata dallo scontro senza esclusione di colpi tra oligarchi in lotta, i cui contorni rimangono ancora da chiarire.

E come se non bastassero crisi politica e incertezze finanziarie, Sofia è rimasta coinvolta nello scontro Russia e Unione europea sulla realizzazione del gasdotto South Stream, che dovrebbe transitare sul territorio bulgaro, e ha visto ancora una volta bloccati i fondi europei – questa volta quelli diretti all'agricoltura - a causa dell'ormai cronica mancanza di trasparenza nella gestione dei finanziamenti.

Dalle consultazioni europee a nuove elezioni anticipate

Nonostante i sondaggi della vigilia avessero a lungo preannunciato un testa a testa, con lo spoglio delle schede le consultazioni europee si sono presto rivelate una pesante battuta d'arresto per i socialisti al governo, surclassati dall'ex premier Boyko Borisov e dal suo GERB (Cittadini per uno Sviluppo europeo della Bulgaria) principale forza d'opposizione [vedi box].

Dati definitivi in mano, il Movimento per i Diritti e le Libertà (DPS) espressione delle istanze della minoranza turca in Bulgaria e junior partner dell'esecutivo, ha deciso di staccare la spina a quello che, in poco più di un anno di vita, si è rivelato uno dei governi più contestati e discussi della recente storia democratica bulgara. “I risultati elettorali rendono impossibile giungere a fine mandato. Questa non è la strada per la stabilità”, è stato il breve e sibillino epitaffio per il governo pronunciato ad inizio giugno da Lyutvi Mestan, leader del DPS.

Anche la liquidazione del governo Oresharski si è rivelata però un percorso a ostacoli. Un po' di chiarezza è arrivata solo dopo il 17 giugno, quando i leader politici, riuniti dal presidente Rosen Plevneliev nel Consiglio consultivo per la Sicurezza nazionale, hanno raggiunto un accordo di massima per fissare elezioni politiche anticipate in autunno (ulteriori negoziati hanno portato al 5 ottobre come data definitiva). Oresharski dovrebbe ora dimettersi tra il 23 e il 25 luglio, mentre il parlamento verrà ufficialmente sciolto il prossimo 6 agosto. A traghettare il paese verso il voto sarà quindi un governo di transizione, nominato da Plevneliev.

Difficile pronosticare oggi la composizione del prossimo parlamento di Sofia. I sondaggi più recenti danno un largo vantaggio di GERB sui socialisti, che ora devono riorganizzare le proprie fila in vista dell'appuntamento elettorale.

Di sicuro, dal congresso straordinario del BSP convocato per il 27 luglio, emergerà un nuovo leader. Sergey Stanishev, che ha guidato i socialisti negli ultimi tredici anni, ha infatti annunciato di non voler rinnovare la propria candidatura, preferendo invece accettare il seggio al parlamento di Bruxelles conquistato durante le europee.

Banche, oligarchi e giochi sporchi

Mentre gli occhi di tutti erano puntati sulle laboriose evoluzioni politiche, il sistema bancario veniva portato in fibrillazione dalla disputa tra due delle figure emblematiche dell'oligarchia economico-politico-mediatica bulgara.

A scontrarsi - senza esclusione di colpi - da una parte il banchiere Tsvetan Vasilev, azionista di maggioranza della “Banca corporativa commerciale” (KTB), dall'altra il suo ex-alleato Delyan Peevski, deputato del DPS e tycoon mediatico, salito alle cronache internazionali quando la sua (abortita) nomina a capo dei servizi di sicurezza aveva generato interminabili proteste contro il governo Oresharski.

Mentre gli ex alleati si accusavano a vicenda di ogni nefandezza, compreso il tentato omicidio, il 19 giugno la KTB di Vasilev, quarto istituto bulgaro in ordine di grandezza, denunciava un “attacco mediatico” scatenato dai media di Peevski nei suoi confronti. Nonostante le ripetute assicurazioni sulla stabilità dell'istituto, a fine giugno la KTB chiudeva gli sportelli veniva messa sotto controllo dalla Banca nazionale bulgara (BNB).

A inizio luglio la KTB veniva dichiarata insolvente e la sua licenza ad operare ritirata. Una revisione dei conti, targata BNB, mostrava la mancanza di documenti relativi a prestiti per 3,5 miliardi di leva (quasi 2 miliardi di euro) e la misteriosa sparizione di 200 milioni di euro in contanti, su cui si sta ora indagando.

Il 27 giugno, a una settimana di distanza, era la “First Investment Bank”, terza banca bulgara, a tremare. Una campagna diffamatoria, fatta di sms, email e code “fasulle” agli sportelli provocava un'ondata di panico tra i correntisti, che in una sola giornata ritiravano circa 800 milioni di leva (400 milioni di euro). Solo il deciso intervento da parte delle autorità bulgare ed europee riusciva a calmare le acque e a far rientrare l'emergenza.

Secondo le ricostruzioni giornalistiche, la crisi della KTB è stata provocata dalla decisione di Peevski di ritirare i fondi da lui controllati dalla banca, quella della “First Investment Bank” dall'azione di rappresaglia di Vasilev, che avrebbe tentato di colpire l'istituto su cui Peevski avrebbe fatto confluire il denaro in questione.

Politica disfunzionale

Crisi istituzionale e febbre bancaria hanno confermato quanto già noto: il sistema politico bulgaro continua ad essere disfunzionale, ostaggio di corruzione, conflitto di interessi ed affari troppo spesso poco o per nulla trasparenti.

Una situazione che non viene scalfita dall'emergere continuo di nuove forze politiche di stampo populista (l'ultima, in termini temporali, è il movimento “Bulgaria senza censura”, guidata dall'ex giornalista Nikolay Barekov), che più che sfidare il sistema finiscono – se volontariamente o meno è tema di dibattito – per consolidarlo, raccogliendo e disinnescando il malcontento.

I movimenti di protesta che nell'ultimo anno e mezzo hanno sfidato prima il governo Boyko Borisov e poi quello Plamen Oresharski non sono riusciti a coagulare energie fresche e a formulare proposte politiche nuove e convincenti. Alle prossime elezioni politiche, la Bulgaria corre seriamente il rischio di replicare un film già visto.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea, nel quadro dei programmi di comunicazione del Parlamento Europeo. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto BeEU - 8 Media outlets for 1 Parliament


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