Una vista del Bosforo

(saucy_pan /Flickr)

L'idea di progressiva inclusione di tutto l'Est è impopolare tra i cittadini Ue. Ancor di più l'adesione della Turchia. Perché crisi economica e deriva populista dei partiti maggiori hanno reso l'immigrazione un tema tabù. Lo spiega l'analisi Transatlantic Trends in 8 Stati. Con l'Italia in evidenza per scetticismo e poca informazione

03/02/2011 -  Laura Delsere Roma

“L’opinione pubblica europea è da anni contro l’allargamento, come evidenziato da Eurobarometro e da diversi sondaggi sul campo. Se i governi decideranno di proseguire comunque su questa strada, lo faranno contro i propri cittadini”. C’è di che far rabbrividire politici attenti solo ai sondaggi e incapaci di vision nelle parole di Pierangelo Isernia, docente di relazioni internazionali e metodologie di ricerca all’università di Siena, scientific advisor di Transatlantic Trends – Immigration 2011, lo studio più recente sulla percezione della questione migranti in 8 Paesi occidentali (Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna, Paesi Bassi, con Usa e  Canada), presentato pochi giorni fa a Roma.

Giunte alla terza edizione, e considerate dagli addetti ai lavori scientificamente solide, le rilevazioni di Transatlantic Trends Immigration rischiano di diventare ancora più nette davanti alle rivoluzioni a catena nel Mediterraneo, “l’89 arabo” come già viene chiamato.

Pierangelo Isernia, docente di relazioni internazionali e metodologie di ricerca all’università di Siena e scientific advisor di 'Transatlantic Trends – Immigration 2011'

Pierangelo Isernia, docente di relazioni internazionali e metodologie di ricerca all’università di Siena e scientific advisor di 'Transatlantic Trends – Immigration 2011'

Intanto, appena prima dello showdown tunisino, egiziano e libico, gli europei vengono ritratti - a partire dalle loro risposte - come sempre più insofferenti nei confronti dell’immigrazione. In un generale vade retro, in cui i neocomunitari vengono omologati agli immigrati extra Ue.

Sempre più difficile una Ue fino alla Turchia

L’allargamento accende ancora più gli animi quando si tocca il dossier Turchia. “Diverse ricerche, tra cui il recente Transatlantic Trends.Turkey and West: Drifting Away o i dati del Circap (Centro interdipartimentale di ricerca sul cambiamento politico) dell’università di Siena, mostrano che aumenta la freddezza reciproca sull’adesione di Ankara alla Ue - spiega Isernia - I cittadini dei 27 per lo più non ritengono che sul Bosforo ci siano valori comuni con l’Occidente. E tra i turchi, gli euroentusiasti sono scesi dal 73% del 2004 al 38% del 2010”.

La svolta? “Quando i politici, e di riflesso i media, hanno rinunciato a mediare e legittimato posizioni sull’immigrazione che vent’anni fa erano inammissibili - chiarisce Isernia - Dichiarazioni che in passato erano esclusivo bagaglio dei partiti etnoregionalisti e xenofobi, ora arrivano dal mainstream della rappresentanza parlamentare, a destra in maggior misura, ma anche a sinistra”.

In una fase di crisi economica, “nella percezione comune, gli immigrati dal Sud del mondo e quelli dal fronte interno est europeo sono una doppia minaccia, senza sfumature - aggiunge Isernia - tra l’altro, dello spazio ex sovietico fino al Caucaso, il cittadino medio europeo ha un'idea vaghissima”.

Gli immigrati "percepiti" e il populismo dei partiti maggiori

Così, nonostante dal 2008 la crisi economica abbia rallentato i flussi migratori, l’onnipresenza del tema immigrazione - e la sua manipolazione - nel discorso di politici e media fa sì che in tutti i Paesi monitorati da Transatlantic Trends (in base ad un campione di mille cittadini per nazione, maschi e femmine, over 18, nell’ambito di un progetto congiunto di German Marshall Fund Usa, Lynde and Harry Bradley Foundation, Compagnia San Paolo e Barrow Cadbury Trust, in collaborazione con la Fundaciòn BBVA), gli immigrati vengano percepiti come molto più numerosi di quanti siano in realtà. Talora oltre il doppio. In Usa, ad esempio, nel 2007 gli interpellati ritenevano che la componente immigrata nella società fosse il 35%, nel 2010 che toccasse il 39%. In realtà è il 14%.

La copertina della ricerca 'Transatlantic Trends Immigration 2001'

Anche gli italiani sono ansiogeni sugli immigrati: ritengono siano troppi, “un quarto della popolazione attuale” è il dato percepito, mentre si tratta in media del 7,5%, dunque metà o tre volte inferiore (a seconda di grandi città o province). E comunque ben al di sotto delle percentuali nordeuropee, rispetto a cui l’Italia è Paese di recente immigrazione. “C’è dunque un problema di innumeracy’, cioè di analfabetismo quantitativo - spiega Isernia - Il termine ancora manca nella lingua italiana. Indica che, attorno al dato percepito, un’informazione migliore potrebbe fare la differenza”.

Occasione persa per i media italiani

“In Italia la linea politica è fondata sulla costante produzione di allarme. I partiti prosperano su questo” ha denunciato Ferruccio Pastore, direttore del Fieri-Forum internazionale ed europeo di ricerche sull’immigrazione, nella tavola rotonda di presentazione di Transatlantic Trends Migration. Nel confronto con l'UE, il campione italiano interpellato è il meno istruito, quello con meno amici immigrati (gli spagnoli per esempio ne hanno il doppio), e il più disperso, residente cioè nelle piccole città. E’ record UE perché non fa neppure la differenza tra regolari e clandestini. E’ meno informato in materia di islam, e meno capace di vedere negli immigrati dei professionisti, potenzialmente concorrenti, in una prospettiva di mobilità sociale, più che degli eterni subalterni”.

“Lo dobbiamo alla bassa qualità del sistema dei media, controllati da pochi, e dove spesso il contraddittorio tra le parti si sostituisce ai fatti - ha aggiunto Mario Morcellini, preside della facoltà di Scienze della Comunicazione, all’università La Sapienza di Roma - Se l’Italia oggi è un Paese in recessione culturale è anche per la cattiva informazione, che raccontando male la realtà migratoria ha reso l’Italia più individualista e fragile”.

"Chi ha più scambi con gli immigrati, ha meno paure"

Ovunque in Europa, chi convive con una realtà multietnica, ha meno fantasmi. Ad esempio, il referendum sui minareti in Svizzera (destinazione di una forte immigrazione kosovara e albanese) ha visto le percentuali più nette di oppositori nei cantoni rurali, con meno immigrati, piuttosto che nei centri urbani dove esistono da tempo moschee. “Il contatto diretto modifica la percezione - conferma Transatlantic Trends - Il 68% di europei che nel 2010 dichiara di avere molti amici tra gli immigrati, ritiene che i nuovi ingressi arricchiscano la cultura nazionale, opinione condivisa solo dal 40% di chi non frequenta che connazionali”.

Francia, dietro il no a Schengen per romeni e bulgari

Transatlantic Trends indica che il 2010 è stato un anno di svolta, specie in Stati paladini dei diritti di libertà, come la Francia. “Parigi registra il cambio più vistoso di opinioni sugli immigrati in soli 12 mesi, tra i Paesi monitorati”. A poco più di un anno dalla possibile riconferma all'Eliseo di Nicolas Sarkozy, il 2010 ha visto l’hyper-président in prima fila nell'UE per l’espulsione dei rom romeni e bulgari, per il blocco dell’ingresso di Bulgaria e Romania nello spazio Schengen, per il sì al muro anti-immigrati al confine greco-turco, oltre al divieto di velo per le donne nei luoghi pubblici, all’espulsione più facile per gli immigrati che delinquono, anche in caso di furti e reati minori.

Appena il 26 febbraio ad Ankara, in una visita quanto mai contrastata, Sarzoky ha confermato la posizione francese (allineata a quella tedesca) sui negoziati di adesione UE per la Turchia: "Penso sia meglio chiarire subito le cose che finire un giorno in un vicolo cieco - ha detto il titolare dell'Eliseo - Tutti i Paesi hanno delle linee da non varcare, tutti i Paesi hanno un'opinione pubblica. Servono discussioni per arrivare a un accordo, continueremo a cercare delle modalità per il futuro".

Registra Transatlantic Trends: “Nel 2010 lo scetticismo della Francia verso l’immigrazione è balzato in avanti, pur essendo stato da sempre un Paese tra i più ottimisti dell'UE sulla questione. Se nel 2009 il 50% dei francesi la considerava un’opportunità, solo il 36% lo pensa ancora nel 2010. Cultura diversa, concorrenza occupazionale e criminalità le ragioni più citate” spiegano gli analisti.

Ma ovunque, sui due bordi dell’Atlantico, alle urne l’immigrazione resta l’ago della bilancia: il record di chi dichiara che il suo voto è influenzato dalle scelte del partito in materia di immigrazione è in Gran Bretagna (63%) e USA (67%, dato in aumento rispetto al 56% del 2008). La media europea è del 45%.

Svolta sull’immigrazione anche per Cameron e Merkel

Elettoralmente dunque il giro di vite sull’immigrazione paga. Da quello contro il multikulti della cancelliera Angela Merkel, alla pietra tombale sulla Big Society da parte del premier inglese David Cameron.

In crescenti difficoltà alle urne regionali, la Kanzlerin è stata criticata dalla stampa tedesca, che ha ritenuto in larga parte, da Tageszeitung, alla Frankfurter Allgemeine Zeitung fino a Financial Times Deutschland  “inaccettabile la retorica della Merkel nel dibattito sull’immigrazione”. La cancelliera aveva definito il multiculturalismo “totalmente fallito”, aggiungendo “è un’illusione pensare che tedeschi e lavoratori immigrati possano vivere felicemente fianco a fianco”. Anche se condizionata dal tentativo di rimonta nei sondaggi, in un Paese con il 18% di immigrati, “si assume rischi assegnando legittimità sociale a posizioni della destra estremista - ha scritto un commentatore - puntando alle reazioni nel bar locale, piuttosto che al ruolo di investitori kuwaitiani, specialisti hi-tech indiani o giapponesi, e dei lavoratori stranieri qualificati di cui la Germania ha bisogno per il suo sviluppo”.

(gatolopez/Flickr)

Quanto a Cameron a febbraio 2010 ha pronunciato il fallimento della società multiculturale. “Il premier intercetta insoddisfazioni sempre più forti verso gli immigrati nella società inglese” spiega Isernia. Il suo governo conservatore/lib-dem ha fissato tra l’altro un tetto temporaneo per lavoratori specializzati extra-Ue, con limiti al numero di visti per le famiglie, ma che diventerà permanente da aprile 2011.

A sua volta, “l’Olanda è un caso emblematico di come un Paese ideale per benessere e welfare, sia stato travolto in pochi anni dal fenomeno immigrazione, con un ruolo crescente in parlamento del Partito per la libertà di Geert Wilders, xenofobo e anti-islamico” ha detto nella tavola rotonda Piero Fassino, presidente del Forum esteri del Pd. Sì a politiche più restrittive e scetticismo verso l'effettiva integrazione, sono i tratti salienti individuati da Transatlantic Trends nelle risposte 2010 degli olandesi.

L'eccezione italiana, cresce la paura verso i regolari

L'Italia fotografata nel 2010 somiglia alla Francia. In evidenza lo spostamento massiccio di opinione in un solo anno in entrambi i Paesi, dove pressoché raddoppia - cifre alla mano - l’intolleranza verso gli immigrati regolari e comunitari: dal 24% (2009) al 40% (2010) in Francia pensa che aumentino la criminalità, e dal 34% (2009) al 56% (2010) lo pensa in Italia. Solo un'offensiva politico-mediatica poteva ottenere questo scarto in una dozzina di mesi. Paradossalmente gli italiani sono diventati nell'ultimo anno più propensi ad assolvere i clandestini (è scesa dal 77% del 2009 al 55% del 2010 la percentuale di chi addebita loro l’incremento della delinquenza). Per gli analisti, "l’Italia è in assoluto il Paese europeo con l’immagine più negativa di regolari e comunitari. Non sa ancora molto dell'immigrazione e non vuole saperne di più".

L'opinione pubblica della Penisola è piuttosto benevola - tra quelle UE - nel considerare ben assimilate le seconde generazioni (65%, intermedio tra il 78% della Spagna e il 50% della Germania). Non percepisce fratture con i musulmani, ritenuti 'ben inseriti' da italiani (60%), inglesi (59%) e francesi (50%), ma non da spagnoli e tedeschi (36%). Si dichiara per il 52% a favore del voto amministrativo agli immigrati (in linea con spagnoli al 62% e francesi al 58%). Olandesi e britannici a livello UE apprezzano più di tutti lo spirito imprenditoriale dei nati all'estero, ritenendo "contribuisca a creare posti di lavoro". Non gli italiani. Chi riconosce questi effetti positivi sul PIL è diminuito nell'ultimo anno dal 50 al 44%.


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