All'interno del Miksalište (foto L. Moreni)

All'interno del Miksalište (foto L. Moreni)

Prosegue il viaggio del nostro inviato in compagnia dei profughi che attraversano la Rotta balcanica. Belgrado è per molti un momento di riposo, dopo le fatiche del lungo viaggio. Sesta puntata

17/09/2015 -  Giovanni Vale Belgrado

Gli abitanti del treno Preševo-Belgrado si svegliano verso mezzogiorno, quando sono ormai in viaggio da sei ore e a sole quattro dall’arrivo. I bambini cominciano a scorrazzare tra i compartimenti, mentre i padri guardano assonnati dal finestrino, fumando impunemente.

Hadiza esce di rado nel corridoio. Come molte altre mamme, questa giovane donna dai capelli chiari raccolti dietro la nuca e dal portamento elegante sta tenendo sott’occhio i suoi figli, che al momento si contendono un barattolo di pringles. Sorride e, forse per fare una pausa dai giochi dei figli, mi racconta il suo viaggio. Viene da Kobane, è partita tre settimane fa con la sua famiglia e quella del fratello, dieci persone in totale. Sono tutti kurdi di Siria diretti verso la Germania.

“Com’è stato il tragitto finora?”. “Duro, soprattutto a Mitilene. Siamo rimasti per quattro giorni senza nessun aiuto”, risponde Hadiza. Uno dei maschietti si avvicina, impressionato dal microfono. “E con loro non è per niente facile - riprende la mamma - spesso, ad esempio, non si riesce a trovare il latte quando serve”.

Quando anche la figlia si sveglia e il tubo di pringles finisce per terra, Hadiza mi fa capire che è meglio che rientri nel compartimento. Manca poco a Belgrado e i bagagli da radunare non sono pochi. Mi volto allora verso Amara, una studentessa di Pančevo che rientra da Salonicco, dove partecipava ad un corso estivo di greco moderno. “I Serbi non hanno problemi con i rifugiati - afferma, mentre fa le smorfie ai bambini - Anche a Belgrado, la situazione è tranquilla”. Non è stata lei ad incollare l’adesivo “Refugees welcome” sulla parete del treno, ma ne condivide chiaramente il messaggio.

Quando scendiamo nella capitale serba, tra la stazione dei bus e il parco adiacente c’è un via vai di persone stanche, ma senza animosità. “Belgrado è la prima tappa della rotta dei Balcani in cui i rifugiati si riposano”, mi dirà più tardi Stéphane Moissaing, il coordinatore di Medici senza Frontiere in Serbia. In questo piccolo spiazzo alberato, in effetti, i rifugiati aspettano con calma l’arrivo del proprio autobus. Per chi ha bisogno di abiti, acqua, cibo o cure mediche, a qualche passo c’è il Miksalište, un luogo convertito quest’estate da cinema e teatro all’aperto a centro di raccolta e distribuzione di beni di prima necessità.

All'interno del Miksalište (foto L. Moreni)

All'interno del Miksalište (foto L. Moreni)

Ma nonostante questo clima più disteso rispetto a Preševo o alla frontiera greco-macedone, non tutti i presenti sono in un buono stato di salute. Alì, ad esempio, se ne sta sdraiato da un giorno nella sua tenda e non ha la forza per camminare. “Non so cos’è, non è la solita asma, penso sia lo zucchero. Ho dei problemi con lo zucchero”, spiega. Il giorno precedente, è andato a farsi visitare e il medico, dice, gli ha dato una bustina che l’ha fatto sentire meglio, ma solo inizialmente. Poco dopo, ha perso tutte le forze. Quest’iracheno di 44 anni ha già comprato il suo biglietto per Subotica e il suo autobus partirà tra un paio d’ore. “Che devo fare? Non posso mica tornare ad Istanbul adesso, sarebbe troppo complicato”. “Perché non riposarsi un giorno di più?”. “Non posso, sono in Serbia già da tre giorni, non ho più tempo”, risponde. Il permesso che viene rilasciato a Preševo dà 72 ore di tempo per attraversare il paese, dopodiché si è irregolari. Il fotografo spagnolo che mi accompagna riesce a convincere Alì a andare a parlare con uno dei medici del Miksalište, ad ogni buon conto.

Nel frattempo, è calata la sera e il parco si è trasformato. Alcune tende sono sparite e ne sono arrivate di nuove. Chi è in viaggio per la Vojvodina, chi è sbarcato dalla frontiera macedone. La rotta balcanica sembra continuare senza sosta, nella sua routine sfiancante di tappe da inseguire in fretta. Ma all’ultima frontiera, quella con l’Ungheria, questa logorante corsa sta per fermarsi.


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