Una città divisa, ma che, nonostante questo, mantiene un'anima "bastarda". E' Skopje, capitale della Macedonia. Katharina Urbanek e Milan Mijalkovic, le hanno dedicato un libro, alla ricerca del significato della profonda trasformazione, spaziale e simbolica che, attraverso il discusso piano "Skopje 2014", sta attraversando in questi anni. Nostra intervista

09/09/2011 -  Marjola Rukaj

Perché vi siete interessati al progetto “Skopje 2014”?

Il nostro interesse per la città di Skopje non è in realtà nato con il progetto “Skopje 2014”, presentato solo nella primavera 2010, ma da una curiosità generale per questa città.

Il primo interesse concreto è stato evocato dal bando per la progettazione di una chiesa ortodossa nella piazza principale di Skopje, nel 2008.

Nel contesto di una “città divisa”, che è la nostra visione della Skopje attuale, questo progetto toccava nervi scoperti. Chiese e moschee, croci e minareti sono parte integrante della costruzione delle identità, un processo attualmente in corso in Macedonia.

Vi fu una discussione molto accesa su questa “sacralizzazione” del centro di Skopje e in generale dello spazio pubblico. Un dibattito che alla fine portò anche alla violenza. Da architetti, era molto interessante seguire ciò che stava avvenendo, le intenzioni del governo e le reazioni dei cittadini.

Prendendo parte alle varie gare d'appalto mi sembrò in quell'occasione che questa giovane democrazia piena di conflitti offrisse un potenziale notevole di ri-definizione, da molti punti di vista. Io proposi una chiesa-temporanea, un progetto da una parte molto aggressivo nell'occupare la piazza e anche per molti versi monumentale, dall'altra vulnerabile e leggero. Lo spazio che il progetto propone non nasce tanto dall'idea di una chiesa ma da quello di un conflitto.

Abbiamo iniziato a vedere i conflitti come potenziale, nel caso in cui si riesca però ad affrontarli in modo produttivo e a definire degli spazi per riuscire a farlo. E' per questo che abbiamo scritto questo libro. Occorre conoscere i conflitti per poterli poi utilizzare in modo meditato.

Milan è cresciuto a Skopje ed ha quindi una relazione personale con la città. Io volevo invece avere un punto di vista più distaccato.

Quello che sta avvenendo a Skopje oggi è molto interessante, ma non se ne parla a livello internazionale. Noi volevamo fornire un tipo di conoscenza che potesse essere letta da chiunque. Il libro “Skopje, the world’s Bastard”, non offre delle risposte a quanto sta avvenendo, ai conflitti in città, cerca piuttosto di proporre alcune nuove interpretazioni.

Che tipo di conflitti intendete?

Da architetti, ci interessa la manifestazione dei conflitti sociali nello spazio urbano. E questi conflitti sociali emergono effettivamente in molti progetti che si stanno implementando attualmente nell’ambito del programma “Skopje 2014”.

I monumenti che si stanno costruendo dedicati ad esempio ad Alessandro Magno o Goce Delchev, hanno una valenza molto politica. Sono stati concepiti in uno stile molto realistico, ma raccontano solo una parte della verità.

Prendiamo in considerazione il monumento ad Alessandro Magno: è enorme e d’oro, ha una spada e materializza solo una piccola parte del conflitto. Non vi è segno di come i greci ad esempio guardino a questo personaggio, non di come lo vedano gli albanesi. Non vi è segno dei significati attribuiti a questi simboli da tutte le comunità che condividono lo stesso territorio e la stessa storia.

Ed allora ecco che, quando è stato innalzato il monumento a Goce Delchev e allo zar Samuil un ministro bulgaro ha dichiarato di essere molto soddisfatto del fatto che personalità bulgare fossero commemorate a Skopje. Quando è stato innalzato il monumento ad Alessandro Magno la Grecia ha denunciato il “furto” di parte della propria storia.

Volete dire che Skopje 2014 non rappresenterà la multiculturalità di Skopje, e della Macedonia?

La Skopje moderna è, in effetti, un prodotto dell’idea di multiculturalità. Dopo il terremoto del 1963, la città è stata ricostruita dalle Nazioni Unite (in cui l’URSS e gli USA hanno partecipato una a fianco all’altra) e dal governo jugoslavo. E’ stata dichiarata una città aperta, a culture differenti, a migranti da ogni dove.

In tempi di Guerra fredda Skopje, in quanto città aperta è divenuta un’idea originale e un esempio per il mondo.

Il problema di “Skopje 2014” consiste nella banalizzazione della cultura. Invece di optare per l’originalità e l’esemplarità della città, la politica ha seguito una strategia di imitazione.

Milan Mijalkovic ha studiato architettura a Skopje e Vienna. Lavora in cooperazione con vari architetti e artisti. Katharina Urbanek ha studiato architettura a Vienna e Stoccolma. Dal 2008 è membro dello studio uek architektur.

L’identità viene forgiata in base alla distinzione dall’altro – dentro e fuori la Macedonia. Un esempio? Come reazione alla proposta di costruire una chiesa ortodossa nella piazza principale di Skopje gli albanesi hanno proposto la costruzione, nella stessa piazza, di una moschea. I macedoni hanno contro-ribattuto affermando che sotto quella moschea c’era in realtà una chiesa.

Allo stesso tempo “Skopje 2014” sta cercando di stabilire una versione europea della storia locale. L’intero processo è legittimato affermando: è un modo di pensare all’europea. Tutte le città europee hanno sculture in centro, mentre noi no. Quindi occorre farle. Abbiamo bisogno di tutto questo per definirci europei.

Ma non si tratta di un fenomeno nuovo a Skopje. In realtà è un processo nato con la caduta dell’Impero Ottomano. Durante il periodo in cui la Macedonia era parte del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, la modernizzazione ed europeizzazione dell’architettura della città era un principio dominante in architettura, nel tentativo di costruire un’identità occidentale con cui rimpiazzare quella ottomana. Quello che sta avvenendo ora è qualcosa sostanzialmente simile a quella tendenza. E per certi versi, sembra che l’europeizzazione voglia sbarazzarsi dell’idea di multiculturalità.

Ma anche la comunità albanese è coinvolta nel progetto “Skopje 2014”. Alcuni monumenti albanesi saranno installati nella loro parte della città…

Le ricchezze si ottengono in larga misura anche grazie allo scambio. I punti, infatti, in cui comunità diverse e le loro culture si incontrano, anche in situazioni di conflitto (produttivo), sono i più fertili. Ma attualmente ogni gruppo sceglie i suoi eroi, ed erigendo i monumenti circoscrive il proprio territorio. Stanno cercando di dividersi, costruendo delle identità parallele, e storie altrettanto parallele. Quello che sta avvenendo ora, è un tentativo di banalizzare la storia e di evitare il contatto.

E’ interessante notare inoltre che entrambe e comunità siano alle prese con l'identità ma che i macedoni stiano cercando di identificarsi con il periodo antico, mentre gli albanesi con il periodo dell’Impero ottomano.

Quindi Skopje è e sarà una città divisa?

In reazione al tentativo della maggioranza di impossessarsi della piazza principale, ha preso piede da parte albanese un altro progetto. Nella parte settentrionale della città è stata progettata un’altra piazza principale.

Skopje sarà una città con due piazze principali. Dal punto di vista simbolico una città non potrebbe essere più divisa di così: ognuno con i propri spazi e le proprie statue. Lo spazio pubblico sarà diviso tra i macedoni e gli albanesi e sarà contrassegnato dalle rispettive figure storiche mentre gli altri gruppi, come la numerosa comunità rom ad esempio, saranno sottorappresentati.

Dopo il terremoto del 1963 con la ricostruzione della città, partendo da Kenzo Tange sino a “Skopje 2014” la piazza principale era uno spazio vuoto e disfunzionale, dove non avveniva nulla di rilevante.

Questo spazio ha rafforzato la divisione tra le due parti della città, ma era comunque uno spazio che non apparteneva a nessuno e apparteneva a tutti allo stesso tempo.

Nonostante le costruzioni massicce progettate e realizzate ora, non cambierà molto la sua funzione rispetto al passato: sovraccaricando l’ex non-spazio con storie selettive e simboli non si trasformerà questa piazza in uno spazio vitale. Al contrario, si contribuirà a sottolineare la linea di divisione.

Questo è un peccato perché questa ex terra di nessuno avrebbe potuto offrire terreno su cui lavorare con il conflitto in maniera produttiva. Dove la gente potesse percepirsi, esprimersi, interagire una vita urbana in comune.

Skopje è una città divisa ma negli ultimi anni sta avvenendo una fenomeno curioso. La čaršija/çarshija, che negli ultimi 20 anni è stata uno spazio per lo più musulmano (albanese), sta diventando sempre più attraente anche per i macedoni. I macedoni la stanno frequentando, stanno aprendo lì le loro attività commerciali. Come interpretare questa trasformazione?

E' un processo che sta semplicemente avvenendo - cosa molto normale nello sviluppo di una città. Alcuni processi semplicemente capitano, non tutto è controllato o pianificato. E spesso questo tipo di processi sono i più vitali.

Il vecchio bazar è in realtà l’unico spazio del centro città a non essere stato incluso nel progetto “Skopje 2014”. E non c’è una politicizzazione del vecchio bazar, che rimane più o meno com’era storicamente.

Infatti ora, mentre tutta la città è un grande cantiere, la čaršija/çarshija è l’unico spazio dove uno può trovare un po’ di pace. Quindi la gente tende a scappare dal resto del centro. Ma si tratta di un processo molto casuale, non pianificato dal governo.

Ritenete che le nuove costruzioni del progetto “Skopje 2014” siano compatibili con il centro di Skopje? Materiali, stili, coerenza con la storia architettonica della città...

Dal punto di vista architettonico “Skopje 2014” è una questione molto complessa. Tuttavia non vogliamo dare una risposta. Pensiamo che le questioni che fanno dibattere gli architetti – se sia lo stile giusto, se i materiali siano quelli giusti, se l’altezza degli edifici sia adeguata ecc. – non siano le più importanti in questo caso. Ci sembra di maggiore importanza la scelta e la concezione della funzione che sarà attribuita a questi edifici.

Quindi come trovate Skopje 2014 da questo punto di vista?

Abbiamo fatto una comparazione tra il nuovo archivio statale di Skopje e quello che è considerato il primo archivio occidentale, ad Atene, nella Grecia antica. Abbiamo notato che non è stato cambiato molto da allora.

Skopje 2014 sta quindi solo cercando di interpretare delle funzioni storiche degli edifici, senza porsi il problema o ripensando a cosa, ad esempio, significa essere oggi un archivio a Skopje.

I nuovi edifici diventeranno delle istituzioni nazionali, grandi facciate, la cui funzione è perlopiù quella di essere viste dal di fuori: per dimostrare potere, per essere ammirate. E non per essere vissute. Alla fine ciò significa che non sono di alcuna funzionalità per i cittadini. In particolar modo non funzioneranno come dovrebbero funzionare gli spazi di una nuova democrazia. Questa mancanza di funzionalità’ – in senso lato – non è solo il risultato dell’incompetenza ma l’annullamento, intenzionale, degli spazi dove la democrazia potrebbe essere praticata e sviluppata.

Ma qual è la reazione della gente a tutto ciò?

Le ultime elezioni hanno mostrato che il governo ha molto sostegno tra la popolazione. La gente è divisa sul progetto, ma la maggior parte pensa che dopo venti anni di transizione si meritino “Skopje 2014”, qualcosa di grande.

Noi riteniamo che la popolazione di Skopje meriti molto di più: sicuramente non di sentirsi inferiori passeggiando in città.

Sembra infatti che vi sia una sorta di complesso di inferiorità incluso in “Skopje 2014”: il timore di non essere sufficientemente europei. Questo timore, o complesso, è il risultato dell’interiorizzazione di un punto di vista esterno, occidentale, che vede i Balcani come qualcosa di incompleto.

Nonostante a prima vista “Skopje 2014” miri a rafforzare l’identità macedone e la fiducia della popolazione in essa, in realtà sta mettendo in discussione l’integrità di Skopje, e della Macedonia.

Da parte europea questo progetto è percepito come banale. Noi pensiamo che il governo di Skopje conosca questo tipo di percezione all’estero, ma stia cercano di approfondire questa banalità ancora di più, per ottenere attenzione. Un tipo di attenzione di cui si ha enormemente bisogno.

Come sarà, nel 2014, Skopje?

Il 2014 è solo una data, un numero. Si cerca di definire l’anno 2014 come un momento storico, qualcosa di unico e di indimenticabile. Si suggerisce che in quel momento Skopje avrà inaugurato una nuova era, sarà trasformata in una città nuova, la missione sarà compiuta.

Naturalmente si tratta di fiction. La città continuerà a svilupparsi e noi avremo di fronte una città esattamente come oggi: una città bastarda.

Perché avete intitolato il vostro libro “Skopje. The World’s Bastard?”

Il bastardo ha un carattere eterogeneo e molteplice. Ha la possibilità di scegliersi l’identità in base alle circostanze. Sicuramente il termine riconduce a un’anomalia ma d’altra parte parla di forza e indipendenza. Skopje ha la libertà di avere una moltitudine di identità. Invece cercando di europeizzarla in questo modo, e questo scegliendo un’identità molto definita, si fa sì che la città perda una parte della sua forza.

E’ cruciale, sviluppare una coscienza dell’essenza di Skopje, sulle sue qualità reali. Noi chiamiamo Skopje “bastarda” e ognuno può scegliersi il significato di questa parola.

Ad ogni modo ci dovrebbero essere gli spazi per dibattiti e discussioni, per scegliere e abolire, per inventare e trascurare le identità della città. La pianificazione urbana dovrebbe integrare questi spazi di conflitto e negoziazione e dovrebbe includere anche il bastardo!


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