Spugna mediterranea fotografata nei fondali dell'isola di Lèsina, Croazia - © Adam Ke/Shutterstock

Spugna mediterranea fotografata nei fondali dell'isola di Lèsina, Croazia - © Adam Ke/Shutterstock

Una vera foresta blu: l'Adriatico, a differenza del Mediterraneo, ha una straordinaria vitalità. Tra i pionieri nel raccontare questa varietà vi è stato Vitaliano Donati, nato nel 1717. Fabio Fiori racconterà il naturalista padovano il 4 marzo, a Wikiradio, su Radio3. Un'anteprima

02/03/2021 -  Fabio Fiori

L’Adriatico è un mare di straordinaria vitalità. È un’eccezione nel Mediterraneo, che genericamente è povero di vita. L’Adriatico è naturalmente un mare ricco di sostanze nutritive, almeno le lagune e le coste settentrionali italiane. “Adriatico selvaggio / che verde è come i pascoli dei monti”, scriveva Gabriele D’Annunzio agli inizi del Novecento. Una ricchezza che è stata fondamentale nello sviluppo della pesca, ma che è stata importante anche per la nascita e lo sviluppo della biologia marina, italiana e internazionale.

Un pioniere di questa scienza nuova è stato Vitaliano Donati, nato a Padova nel 1717, che ha viaggiato lungo la costa orientale dell'Adriatico, pubblicando nel 1750 “Della storia naturale marina dell'Adriatico”.

Il naturalista padovano è protagonista di quel fenomeno culturale tipicamente settecentesco che è il viaggio scientifico, di cui in modo diverso sono state figure fondamentali Humboldt e Goethe. Altri due esploratori che incarnarono lo spirito dei tempi furono il francese Louis Antoine de Bougainville e l'inglese James Cook, capitani di velieri attrezzati per la ricerca scientifica, ma comunque armati di cannoni. Cook sciolse le vele del suo brigantino nell'agosto del 1768, per concludere tre anni dopo il suo primo giro del mondo. Donati nel 1743 non attraversa gli oceani ma il piccolo Adriatico, spesso non meno infido; non approda in terre sconosciute, ma nell'Illiria per esplorare “le montagne, le pianure, le spiagge, l'isole e i mari (…) dell'Istria, della Morlacchia, della Bosnia, Dalmazia Erzegovina, ed Albania”. Cioè della costa orientale adriatica, trascurata “dagli altri, per l'incoltura de' luoghi, per la barbarie de' popoli, e pel pericolo delle ricerche”, scrive Donati nelle prime pagine.

In quegli anni il naturalista padovano compie cinque viaggi di ricerca in quei luoghi, raccogliendo informazioni e notizie di geografia, botanica e zoologia, descrivendo aspetti storici e sociali, soggiornando nelle città costiere di Zara, Sebenico e Spalato.

Passano cinque anni, prima che la relazione, corredata da nove tavole disegnate dallo stesso autore e incise su rame da Pietro Monaco, possa essere pubblicata. Un ritardo legato probabilmente alla morte di monsignor Leprotti. Il libro ha subito un certo riscontro internazionale, perché come sottolinea Srećko Jurišić dell'Università di Spalato, la sua fortuna originaria è correlata anche ad articoli scientifici pubblicati da Donati in quegli anni. Uno è raccolto negli Atti della Royal Society of London, di cui diventò membro.

Il libro è diviso in due parti: una introduttiva sulle caratteristiche fisiche del mare e le metodologie scientifiche, l'altra descrittiva di alcuni organismi. Dopo aver brevemente parlato della genesi del viaggio e delle difficoltà, Donati entra nel vivo con un paragrafo intitolato “Idea generale del fondo del Mare Adriatico”. Qui, oltre alla descrizione geografica c'è un interessante approfondimento sulle concrezioni organogene, che chiama “Crosta o Cotenna”, quella che i pescatori chioggiotti chiamano tegnùe (a cui dedica da anni grande attenzione l'omonima associazione, www.tegnue.it ), mentre quelli romagnoli e marchigiani chiamano sprèa. Scrive Donati: “Non vi è quasi alcun animale, o pianta su cui altre piante, ed animali non si propaghino; e qui finalmente gli stessi sassi anco più duri non solo esternamente, ma internamente ancora di moltissimi, e dissimili viventi sono popolatissimi”.

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Il naturalista padovano non trascura neanche il racconto del lavoro svolto dal biologo marino e dal suo staff, come lo chiamiamo oggi. “Allorché io debbo portarmi all’osservazioni marine, armo una barchetta con non più di quattro, o cinque uomini, e ben provveduto di stromenti adatti alle mie occorrenze mi stacco da terra fino a tanto, che ritrovo un fondo minore di quindici passa d’acqua”.

Ampio spazio dà alla descrizione del corallo rosso, dal vivo e con microscopio; argomento che attrae l'attenzione del mondo scientifico europeo. Se ne erano già occupati altri scienziati, tra cui Luigi Ferdinando Marsili, generale, esploratore e fondatore dell'oceanografia. Ma all'epoca, la natura del corallo era ancora incerta e Donati, dopo accurata descrizione, lo classifica come “vera, verissima Piantanimale”.

Vitaliano Donati è quindi uno dei primi biologi marini, scienza che fiorisce negli anni successivi, a partire dagli studi dedicati a due ambienti adriatici che potremmo definire le nursery di questa scienza nuova: la Laguna di Venezia e il Golfo di Trieste. Giovanni Antonio Scopoli, Giuseppe Olivi, Lazzaro Spallanzani e Stefano Chiereghin, sono i nomi più noti della ricerca settecentesca, svolta sulle rive adriatiche. Di Stefano Chiereghin alla Biblioteca Marciana si custodiscono gli originali di tre volumi e di oltre 1600 disegni, dedicati a più di 1000 animali marini e lagunari.

L'Adriatico era ed è una meraviglia, non solo per i pescatori ma anche per i ricercatori, ieri come oggi. Un ambiente prezioso da amare e conoscere, da vivere e proteggere. La nostra foresta blu, quella che ogni giorno ci regala anche inimmaginabili avventure.

 

 

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