I bosgnacchi del cimitero di San Giacomo a Bolzano

30 giugno 2022

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Al Cimitero militare austro-ungarico di San Giacomo, a Bolzano, si trovano diverse tombe di soldati bosniaci, contraddistinte da una mezzaluna. Si tratta di tracce presenti in diversi cimiteri della Grande Guerra del Trentino-Alto Adige/ Südtirol, testimoni della presenza tra le file austro-ungariche di reggimenti reclutati in Bosnia Erzegovina, all’epoca ormai annessa ai territori della Corona portata da Francesco Giuseppe.

A pochi passi di distanza, una vecchia croce ortodossa ricorda i prigionieri di guerra serbi seppelliti nel cimitero. Insieme a migliaia di soldati dell’esercito russo e di quello rumeno catturati dagli austro-ungarici sui fronti orientali, furono trasferiti in questo territorio di frontiera come lavoratori coatti, a sostegno dello sforzo bellico dell’Impero contro il Regno d’Italia.

In questo fazzoletto di terreno, si stringono tante storie individuali e collettive, generalmente marginalizzate nella memoria pubblica del conflitto a livello locale, ma testimoni della dimensione europea e transnazionale di quella tragica vicenda.

Le prossimità nell’esperienza di coloro che giunsero tra le Alpi dalla penisola balcanica non riguardano solo la sepoltura. I pregiudizi della popolazione locale verso “i serbi” erano diffusi, appesantiti da una propaganda che li dipingeva come responsabili dello scoppio del conflitto (anche se sono molte le testimonianze che ricordano l’aiuto offerto dai civili agli stessi prigionieri di guerra). I bosniaci, pur battendosi sotto la stessa bandiera di trentini e sudtirolesi, sommavano agli stereotipi legati alla provenienza balcanica, anche la curiosità e il timore che accompagnavano l’etichetta di “maomettani” e il consolidato immaginario di combattenti agguerriti. Tutt’oggi – per quanto ormai raramente - nella tradizione orale trentina si rintracciano espressioni quali “cattivo come un bosniacco”.

Gli intrecci riguardano anche le categorie identitarie associate ai simboli religiosi così chiaramente riconoscibili nel cimitero di San Giacomo. Con ben piantati in testa i fez che contraddistinguevano le truppe bosniache di Vienna, combattevano anche soldati dai nomi della tradizione cattolica e ortodossa (che oggi e forse anche allora si identificavano come croati o serbi). Come ad esempio Rado Ilić di Balatun, nei pressi di Bijeljina, e Božo Ćurić di Fojnica, caduti rispettivamente il 21 ottobre e il 1 novembre 1918 in Val Rendena, non lontano da Madonna di Campiglio, in divisa austro-ungarica.

Ma le correlazioni non finiscono qui. Le liste dei prigionieri di guerra “serbi” sepolti in Trentino restituiscono, invece, i nomi di caduti come Sado Osmanović (morto a Grigno il 17 gennaio 1918); Huska Nakićević (morto a Borgo l'1 gennaio 1918) e Bajram Jetiš (morto a Calliano il 26 ottobre 1916). Si trattava con ogni probabilità di musulmani che venivano dal Sangiaccato (che oggi si identificano come bosgnacchi), all’epoca già parte del Regno di Serbia.

Come hanno sottolineato Danilo Šarenac e Aleksandar Miletić in un recente volume dedicato all’esperienza di bosgnacchi e albanesi nell’esercito serbo durante la Grande guerra, si tratta di vicende poco note, in quanto “troppo complicate e inadatte ad essere inserito in una storia esclusivamente "serba" - come la lotta del Regno di Serbia nella Prima guerra mondiale è ancora percepita nella Repubblica di Serbia”. Sono considerazioni che possono valere in altri contesti e per altre situazioni, e che invitano ancora una volta all’attenzione alle vicende più marginali, anche passeggiando in un cimitero della Grande Guerra.


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