"Ziano di Fiemme, agosto 1917. Copyright Bildarchiv der Österreichischen Nationalbibliothek"

"Ziano di Fiemme, agosto 1917. Copyright Bildarchiv der Österreichischen Nationalbibliothek"

Furono migliaia i soldati bosniaci impiegati tra le fila austro-ungariche durante la Prima guerra mondiale. Un progetto ne rileva e racconta ora le tracce in Trentino

15/03/2023 -  Marco Abram

Chi si ritrovasse a passeggiare per il paese di Ziano di Fiemme, immerso in una delle affascinanti vallate dolomitiche, si imbatterebbe facilmente in una testimonianza piuttosto inedita. A partire dal 2021, la cartellonistica posta dal comune – volta a comporre un vero e proprio Museo a cielo aperto – ricorda tra gli episodi legati alla Prima guerra mondiale la permanenza in paese di soldati provenienti dalla Bosnia Erzegovina. Soprattutto, rivela al visitatore la presenza in quegli anni, a poche centinaia di metri dalla chiesa, di un minareto volto a soddisfare le esigenze dei militari di religione musulmana.

I tragici anni della Prima guerra mondiale rappresentarono anche un periodo di nuovi incontri e interazioni culturali. Allo scoppio del conflitto, l’umanità era già ampiamente in movimento. Da alcuni decenni, le grandi migrazioni avevano visto masse di donne e uomini intraprendere viaggi – spesso transoceanici - alla ricerca di condizioni di vita migliori. La guerra impose nuove forme di mobilità. Furono le iniziative delle autorità a determinare il trasferimento di milioni di militari, mentre milioni di civili vissero la profuganza o la deportazione. Nel 1915, all’apertura delle ostilità sul fronte alpino-dolomitico, dove Italia e Austria-Ungheria si confrontarono in una guerra “bianca” e “verticale”, seguì il trasferimento di decine di migliaia di trentini verso i territori interni della monarchia asburgica e, in misura minore, verso l’Italia.

Al contempo, tuttavia, il Trentino in guerra venne abitato in quegli anni da migliaia di persone provenienti dalla parte orientale del continente, dai Balcani e dai vasti territori dell’Impero zarista. Erano prigionieri di guerra, appartenenti agli eserciti che combattevano l’Austria-Ungheria, ma anche soldati e lavoratori militarizzati inquadrati nelle unità dell’Imperial-regio esercito asburgico. Tra gli incontri che hanno lasciato tracce più significative nelle memorie individuali e delle comunità locali, ma anche nella toponomastica popolare, rientra certamente quello con i “bosgnachi”, come venivano chiamati anche nel dialetto locale, ovvero i soldati provenienti dalla Bosnia Erzegovina.

La Prima guerra mondiale dei bosniaci in Trentino

La Bosnia Erzegovina, per secoli provincia ottomana, venne occupata dall’esercito asburgico nel 1878, in seguito alle decisioni prese al Congresso di Berlino. Vienna procedette con l’annessione vera e propria nel 1908. Quattro reggimenti bosniaci destinati a confluire nelle forze armate imperial-regie vennero però istituiti già nel 1882. Dopo l’assassinio di Sarajevo e lo scoppio del conflitto nell’estate del 1914, i bosniaci finirono – come milioni di coetanei europei e non solo – nelle trincee della Guerra Grande.

Tra le file austro-ungariche i bosniaci risultavano particolarmente riconoscibili per le proprie uniformi, contraddistinte in particolare dal fez. Si distinsero inoltre dal punto di vista militare, ottenendo onorificenze e riconoscimenti. Secondo i dati riportati in un articolato studio dello storico Zijad Šehić, professore ordinario dell’Università di Sarajevo, i mobilitati nel corso di tutta la guerra in Bosnia Erzegovina furono 291.498. Erano inclusi appartenenti a tutte le comunità religiose/etno-nazionali presenti nel paese, anche se gli ortodossi erano considerati potenzialmente meno affidabili, vista la guerra in corso con la Serbia e gli episodi di diserzione, ed erano impiegati con maggiori accortezze. Lo studio rivela come le percentuali potessero essere calibrate diversamente a seconda del tipo di unità e della sua destinazione al fronte o di riserva e nelle retrovie. Uno sguardo complessivo è offerto da un documento, presentato dallo stesso Šehić e datato marzo 1918, che rivela come tra gli invalidi di guerra bosniaci a quella data si contassero 4.413 “musulmani”, 5.371 “ortodossi”, 2.586 “cattolici”, 32 “ebrei”, 324 “altri”. Dati che, precisa lo studioso, "rappresentano all'incirca l'allora struttura confessionale della popolazione".

I reggimenti bosniaci furono utilizzati dall’Austria-Ungheria lungo l’intero fronte con l’Italia. L’ingaggio fu consistente sul fronte isontino, ma i resoconti militari raccontano anche di importanti battaglie su quello alpino-dolomitico. Sono tuttavia le testimonianze della popolazione nelle vallate trentine che contribuiscono a comprendere gli spostamenti e la presenza sul territorio dei soldati bosniaci, quando lontani dalle trincee. È certo che alcuni reparti furono acquartierati per lunghi mesi nelle vallate di Fiemme e di Fassa, ai piedi delle cime lungo le quali correva il fronte attestatosi nella primavera del 1915, all’indomani dello scoppio delle ostilità.

Le memorie di Ziano di Fiemme

Dopo la difficile fase di accomodamento seguita all’occupazione della Bosnia Erzegovina, Vienna aveva tentato di coltivare nuove relazioni con i proprietari terrieri e gli intellettuali bosniaco-musulmani. Dopo l’annessione del 1908, l’amministrazione asburgica concesse alla comunità islamica autonomia in materia religiosa e educativa. Il diritto di culto dei soldati, veniva garantito dalla presenza di imam militari, che vennero aumentati significativamente durante il conflitto. Secondo quanto ricostruito da diversi studiosi, nella stessa Vienna si discusse lungamente della realizzazione di una moschea. Sul fronte isontino, un luogo di culto per i soldati bosniaci musulmani venne effettivamente costruito a Bretto/Log pod Mangartom nel 1916: oggi diverse fotografie testimoniano l’architettura di tale moschea, prima della sua distruzione dopo la fine della guerra.

"La Moschea di Bretto/Log pod Mangartom durante la Prima guerra mondiale" - Wikimedia

Sul fronte trentino-tirolese non risultano costruzioni di simili fattezze e dimensioni. Tuttavia, tracce della presenza di luoghi di culto organizzati per gli stessi soldati bosniaci sono rimaste nella memoria di alcune comunità. A Gardolo, in quello che è oggi un popoloso sobborgo di Trento e spesso al centro dei dibattiti sull’integrazione della popolazione di origine straniera, le testimonianze raccolte negli anni ottanta che riferivano la presenza di “rudimentali minareti di legno” sono state richiamate più di una volta nel dibattito pubblico.

A Ziano di Fiemme dell’esistenza di un minareto si parla da decenni. Ne scriveva ad esempio nel 1986 Candido Degiampietro, maestro del paese e bambino negli anni della guerra, raccontando: “Tutti gli abitanti dei paesi attraversati dai bosniaci erano accorsi per vedere quei soldati dalla strana divisa, che al posto del solito berretto della divisa austriaca (die Mütze) portavano un inconsueto copricapo grigio: il “fez” dei mussulmani.[…] I Bosniaci erano omoni di alta statura, quasi gigantesca che, accantonati a Ziano, eressero subito un minareto in legno, da cui, tre volte al giorno, i loro “muezin” lanciava l'invito alla preghiera, fra lo stupore della popolazione, alla quale sembrava di vivere in un altro mondo. (errori nella citazione originale)

Nel 1993, Aldo Zorzi, appassionato cultore di storia locale, raccontava la curiosità, le cautele e l’umanità rintracciate nei racconti degli ultimi testimoni di tali incontri. Anche una testimonianza dai toni poco simpatetici nei confronti del multiculturalismo asburgico – apparsa in un’importante rivista trentina nel 1929 – confermava l’esistenza della struttura religiosa: “… nella primavera del 1916 si videro affluire truppe su truppe, una massa policroma di tedeschi, di serbi, di croati, di galiziani e ruteni. Fu allora che Ziano vide sorgere un minareto poco lungi dalla chiesa. La soldatesca penetrava in tutte le case, i tutti gli ambienti, in una ripugnante promiscuità lesiva di ogni senso morale. Si deve ai saldi principi religiosi e morali di quel popolo se le conseguenze non furono irreparabili”.

Secondo le informazioni raccolte a suo tempo da Aldo Zorzi, il minareto sarebbe stato eretto in zona “Parti del Cioto”, nella parte più occidentale di Ziano. La cartellonistica allestita recentemente in paese riporta una fotografia emersa dagli archivi della Biblioteca nazionale austriaca: l’immagine testimonia la presenza nella suddetta località di una struttura verticale piuttosto inedita. Walter Zorzi, uno degli appassionati locali che hanno contribuito a rintracciare il documento, rivela che una fotografia del minareto era apparsa in una mostra nel lontano 1976: “La cosa mi aveva lasciato molto impressionato. A seguito di questo mio ricordo, negli anni successivi ho avuto modo di visionare la fotografia dell’archivio austriaco, che riguarda la cerimonia tenuta in occasione del genetliaco dell’imperatore austriaco nella piazza Ziano nell’agosto del 1917, dove sullo sfondo della fotografia si nota chiaramente ancora quella torre che avevo avuto modo vedere nella prima circostanza, di molti anni prima”. Per quanto contraddistinta da forme distanti da quelle dell’architettura tradizionale di tali strutture religiose, si tratterebbe proprio del minareto bosniaco.

Un dettaglio che mostra la struttura del minareto

Esperienze ritrovate

“Un po’ di cose le sapevo, altre le ho pescate dagli scritti di papà, così sono stato chiamato a far parte di un comitato che ha gestito, con l’associazione culturale Ziano Insieme, la realizzazione del percorso del Museo a Cielo aperto […] e che racconta un po’ la storia di Ziano delle origini fino agli anni Settanta, con trasformazione dall’economia agricola a quella turistica”, racconta Carlo Zorzi, figlio di Aldo, spiegando lo sforzo collettivo che ha sostenuto il progetto. Ziano di Fiemme rappresenta certamente un esempio interessante di inclusione degli incontri portati dalla Prima guerra mondiale nella più ampia narrazione del territorio promossa dalla comunità. Come per i prigionieri di guerra degli eserciti russo e serbo, anche il ricordo dei soldati bosniaci è rimasto per molto tempo preservato soprattutto nella toponomastica e nelle memorie popolari. Per anni ha fatto eccezione solo un piccolo monumento in italiano, bosniaco e tedesco posizionato nel 1996 sul monte Fior (Melette), sull’altopiano di Asiago, a testimonianza di una sanguinosa battaglia combattuta durante l’offensiva austro-ungarica della primavera del 1916.

La pur ricchissima memoria pubblica del conflitto, aperta e inclusiva dei diversi vissuti della popolazione locale, ha quindi gradualmente iniziato a riconoscere il ruolo che le presenze “altre” ebbero nel plasmare complessivamente l’esperienza del conflitto sul territorio. OBCT, in partenariato con il Museo Storico Italiano della Guerra, Deina Trentino e Viaggiare i Balcani, e in collaborazione con Extinguished Countries, ha lanciato un nuovo progetto volto a proseguire gli sforzi in questa direzione, raccontando le esperienze di incontro che la Prima guerra mondiale portò in un territorio sconvolto dal conflitto come il Trentino. Storie che rivelano momenti di difficoltà e tensione, ma anche episodi di contaminazione e solidarietà. A presto, con ulteriori novità.

 

Ziano di Fiemme, pannello del Museo a cielo aperto - foto di Marco Abram

 

Pubblicazione prodotta nell’ambito del progetto “Grande Guerra: l’Europa in Trentino e l’incontro con l’Altro”, con il sostegno della Fondazione Caritro


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