Rossella Vignola 14 agosto 2014

Il Parlamento europeo offre maggiore spazio alla rappresentanza femminile rispetto ai parlamenti nazionali. Tuttavia, se si considera che le donne rappresentano circa il 50% della popolazione europea, esse sono ancora ampiamente sotto-rappresentate anche in Europa

Le donne rappresentano il 36,8% dei membri del nuovo Parlamento europeo (PE). Dal 1979, anno della prima elezione europea diretta e a suffragio universale, la presenza femminile a Strasburgo è costantemente aumentata, se si considera che nel Parlamento del '79 le donne rappresentavano soltanto il 16% del totale.

Quasi tutti i paesi appartenenti all'UE presentano una proporzione femminile al PE più alta rispetto alle assemblee nazionali: l'Estonia ad esempio, ha raggiunto il 50% di "gender balance" nelle liste europee, mentre a livello nazionale le donne costituiscono meno del 20% dell'assemblea parlamentare.

Il dato per cui il PE offre maggiore spazio alla rappresentanza femminile rispetto alle politiche nazionali è un dato certo, anche se non privo di ambiguità. L'esperta di questioni di genere Jane Freedman fa notare che la presenza femminile al PE può essere soggetta a due interpretazioni diverse, dalle implicazioni opposte. Da un lato, la maggiore presenza femminile in Europa, può essere il sintomo del fatto che il PE viene percepito dalle segreterie partitiche nazionali come un'istituzione dallo scarso potere per cui varrebbe l'assioma "dove c'è il potere non ci sono le donne, e viceversa". Dall'altro, a livello europeo potrebbe essersi sviluppata una cultura politica sopranazionale che pone grande attenzione alle questioni di genere.

Quel che è certo è che, se si considera che le donne rappresentano circa il 50% della popolazione europea, esse sono ancora ampiamente sotto-rappresentate anche all'Europarlamento. Dopo le elezioni di maggio, con un incremento dell'1,25% del numero di donne eurodeputate rispetto alla legislatura precedente, si è ancora ben lontani dall'obiettivo 50-50 per cui i movimenti femminili europei si sono mobilitati durante la campagna elettorale. Secondo le associazioni di donne citate da Euractiv , di questo passo "ci vorrà mezzo secolo per raggiungere la parità di genere" in Europa.

I movimenti femminili europei chiedono al PE politiche più radicali a favore delle donne, denunciano il progredire troppo lento della parità di genere in Europa e criticano aspramente le politiche di austerity per avere indebolito in modo preoccupante i diritti sociali ed economici delle donne europee. E' curioso notare che le recenti elezioni europee hanno visto per la prima volta l'ingresso al PE di un partito dichiaratamente femminista, la Swedish Feminist Initiative, guidato dall'attivista svedese di origini rom Soraya Post.

Il dato della rappresentanza femminile al PE nasconde significative differenze, sia a livello geografico e nazionale, sia per quanto riguarda l'atteggiamento dei partiti rispetto alla questione di genere. Così, se i paesi dell'Europa occidentale e scandinava si confermano i più avanzati, con la significativa eccezione di Malta che ha eletto al PE il 67% di donne, un evidente gap ideologico esiste lungo l'asse destra-sinistra rispetto alla sensibilità alla politica di genere. Tendenzialmente i partiti di sinistra risultano più attenti alla questione femminile, a partire dal gruppo delle Sinistre europee (GUE/NGL), l'unico a raggiungere pienamente la parità di genere tra i propri eletti con il 51,11% di donne. Al contrario, i partiti di destra e centro-destra registrano una presenza femminile nettamente inferiore: il minimo è costituito dal 21% di donne elette nel gruppo degli euroscettici guidati da Nigel Farage.

Le stesse attitudini sono confermate da una ricerca condotta dalla European Women's Lobby che ha analizzato i manifesti elettorali dei 5 maggiori partiti europei. Secondo l'organizzazione, nei manifesti programmatici del Partito popolare europeo (PPE) e dell'ALDE (liberali e democratici europei) i diritti delle donne e la lotta alla discriminazione non sono valorizzati adeguatamente. Se, infatti, nel manifesto del PPE le parole "donne" e "discriminazione" non vengono neanche nominate, nel programma dell'ALDE non si va oltre la generica menzione di "diritti umani", mentre Verdi, Socialisti e Sinistra europea collocano la parità e la lotta alle discriminazioni al cuore dei propri obiettivi programmatici.

La situazione della presenza femminile non è migliore nelle altre istituzioni dell'Unione, se si pensa alle difficoltà che Jean-Claude Juncker sta incontrando per rispettare la soglia minima di nove commissarie imposta dal PE per la composizione della nuova Commissione. E non si tratta meramente di numeri. Come fa notare la ricercatrice Máriam Martínez-Bascuñán sul blog della London School of Economics , i numeri della presenza femminile nelle istituzioni non sono una questione procedurale, ma riguardano la sostanza della democrazia europea. "Gli scienziati sociali - sottolinea la ricercatrice - sono consapevoli dell'importanza di questo dato nell'indicare la presenza di una struttura di diseguaglianza di opportunità e di potere nella società". In altre parole, il numero inferiore di donne nei luoghi di decisione non è legato a capacità individuali, al caso, o a forze misteriose, ma ad una "struttura sociale diseguale in cui le donne incontrano più ostacoli degli uomini nell'ottenere visibilità, riconoscimento e presenza". Secondo la ricercatrice, il 36,8% indica un fallimento nel sistema di eguaglianza e pari opportunità europeo, per cui "accrescere la presenza femminile in Europa deve essere una priorità chiave per la democrazia europea". Perché esserci, in fondo, vuol dire contare.

[Grafici per gentile concessione del Parlamento europeo, 2014 ]

 

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