© Gorodenkoff/Shutterstock

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In entrambi i Paesi le donne che scelgono questo settore sono poche ma molto determinate. Il loro esempio “cross border” mostra che, nonostante gli stigmi radicati, c’è una nuova generazione di ragazze che ha il coraggio di scegliere il percorso che ama, senza farsi limitare da confini mentali e geografici

22/04/2025 -  Marta AbbàArbjona Çibuku

Non si trova la giusta taglia per la divisa di lavoro obbligatoria, non si riceve il coupon all’ingresso delle fiere specializzate. Ma cosa è venuto in mente a questa “donna” di fare l’ingegnere ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione)? 

A volte pronunciata, a volte solo pensata, questa domanda è ricorrente sia in Albania che in Italia. Seppur posizionati rispettivamente al quarto e al nono posto nella classifica dei Paesi europei con una maggior percentuale di studenti STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) femmine, entrambi i Paesi sono infatti accomunati da pesanti stigmi culturali che trasformano incoraggianti percorsi STEM in un binario morto. O in una strada sconnessa e poco gratificante, per lo meno dal punto di vista economico. Questo trend risulta particolarmente visibile proprio nel settore dell’ingegneria delle telecomunicazioni.

Poche donne studiano ICT, un destino poco pagato 

Sul totale degli iscritti a questo percorso di ingegneria, in Italia solo il 22,9% è donna, e tra i laureati (laurea magistrale) il 13,7%. I dati della Fondazione Nazionale degli Ingegneri mostrano come sia una delle meno scelte, soprattutto rispetto a ingegneria edile e biomedica. Le poche donne che conquistano questa laurea sono poi “condannate” a percorsi di carriera più complessi di quelli dei loro compagni maschi e a salari sistematicamente più bassi. Dagli ultimi dati Inarcassa disponibili, il reddito medio della categoria passa da 44.459 euro a 26.083 euro, a seconda del genere, con un gender pay gap (la differenza di salario in relazione al genere) di quasi del 48% a svantaggio delle donne. Se poi vivono nell’Italia del Sud, queste ultime corrono anche un maggior rischio di restare senza lavoro: la probabilità aumenta di 15 punti percentuali rispetto al Nord.  (fonte dati Centro Nazionale Ingegneri

Con meno differenze geografiche, il panorama albanese si avvicina a quello italiano mostrando un settore ICT dominato dagli studenti maschi (58,5%), assieme a quello dei Servizi (68,8%) e dell’Ingegneria più inerente a produzione e costruzione (62,5%).

Dal punto di vista retributivo, nell’ICT si replicano in scala minore le dinamiche che colpiscono un mercato nazionale del lavoro albanese in cui il divario tra i professionisti altamente istruiti di diverso sesso è del 17,7%. Il dato è generale ma il grafico con dati INSTAT mostra che quello ICT è proprio uno di quelli in cui tale disuguaglianza emerge in modo indiscutibile.

Stereotipi simili, antichi ma attuali

Sia in Albania che in Italia si lanciano anche iniziative e appelli, alcuni sentiti e appassionati, ma senza esiti evidenti, per ora. 

“Le maggiori sfide restano e derivano dagli stereotipi e dai pregiudizi di genere ancora molto radicati, sia interni che esterni” secondo Orkidea Xhaferraj. In Albania frasi come "Le scienze dure non sono per le donne" e "Gli uomini e i ragazzi sono naturalmente più bravi nelle scienze" sono, a suo avviso, “percezioni dalle origini antiche ma che continuano a condizionare il presente, bloccando l'accesso e il progresso delle donne nelle STEM e rallentando la loro carriera”. Se in generale “le donne hanno livelli più bassi di fiducia in se stesse rispetto agli uomini”, secondo Xhaferraj nel mondo dell’ingegneria tale tendenza rischia di acutizzarsi per via della mancanza di modelli di ruolo femminili tra scienziati, inventori e innovatori. 

Orkidea Xhaferraj | © O. Xhaferraj

Esplorando le ragioni delle disuguaglianze di genere nel mondo ICT italiano, Barbara De Micheli, esperta di pari opportunità della Fondazione G. Brodolini, osserva un simile problema. “Gli stereotipi su quali siano i campi femminili e maschili sono ancora molto forti e la carriera in startup e, in generale, nel mondo delle nuove tecnologie, è ancora raccontata in modo univoco e solo al maschile” spiega. Anche in Italia, “la matematica non è cosa per ragazze” e chi si specializza in una materia come Ingegneria informatica e delle telecomunicazioni, considerate “estremamente da maschi” non ha problemi a laurearsi, ma a trovare lavoro. E, quando lo trova, secondo De Micheli “spesso deve imparare a gestirsi in un contesto organizzativo aziendale ancora ben lontano dall’essere equo. Non c'è stata alcuna evoluzione rispetto al passato e nei consigli di amministrazione ci sono ancora molti uomini”. 

In Italia “Sesso è potere” , come mostra il recente report stilato dalle associazioni Info.Nodes e onData e, anche se esiste una certificazione di genere, secondo De Micheli “rimane una misura ibrida”. Questa certificazione puramente di qualità, con una forte attenzione ai processi, ha il pregio di porre il problema, ma potrebbe essere più efficace il criterio della parità di genere inserito nei bandi per ricevere finanziamenti che utilizza la leva economica. Tempo al tempo, queste iniziative potrebbero dare qualche risultato nei prossimi anni, ma De Micheli evidenzia “una mancanza di pianificazione generale strategica chiara e significativa, soprattutto per gli investimenti, sia a sostegno delle start-up che dell'imprenditoria femminile in generale”. 

Anche in Albania gli sforzi ufficiali per aumentare la partecipazione e la rappresentanza delle donne nelle discipline STEM non mancano. Ce ne sono tracce nella Strategia per l'istruzione 2021-2026 e nella Strategia per l'uguaglianza di genere 2021-2030 ma Xhaferraj fa notare che “Tutti questi quadri strategici devono essere tradotti in misure pratiche e attuati efficacemente: questa rimane una sfida nel Paese, ancora in balia di norme sociali e percezioni culturali che svantaggiano le donne e pongono ulteriori ostacoli alle loro carriere scientifiche. “Non vedo queste sfide in modo isolato - conclude - sono sistemiche e interconnesse, e si rafforzano a vicenda”.

L’arte di insegnare STEM a tuttə

Per cogliere quei dettagli che possono sfuggire a chi guarda il quadro generale, è necessario ascoltare chi li vive sulla propria pelle, affrontando sfide nel quotidiano. Salvina Pëllumbi lo fa insegnando matematica in una scuola di Elbasan, città dell’Albania centrale a circa 50 km da Tirana, e se ha scelto questa materia è perché ha avuto come insegnanti di matematica “donne molto forti, in grado di fare tutto, sia la famiglia che la carriera” che le hanno mostrato come non fosse obbligatorio scegliere tra le due. Sa di essere stata fortunata, perché “in generale, le madri albanesi presentano spesso l'immagine di una donna dedita alla famiglia”. 

Nel suo lavoro a scuola incontra “ragazze albanesi molto intelligenti e laboriose, che è necessario motivare mostrando loro il mercato del lavoro, le opportunità di impiego e le prospettive salariali in campi STEM”. Lei lo fa in prima persona come mentor del progetto "Albanian Girls in ICT Academy" , organizzato da Albanian Skills, e con sue singole iniziative, incorporando nelle sue lezioni laboratori virtuali coinvolgenti e che facciano riflettere criticamente sul mondo che li circonda.

Pëllumbi snocciola una serie di iniziative che la vedono coinvolta sul campo e di cui va fiera, ma sa anche che servono interventi sistemici come sessioni di consulenza alla carriera dedicate, più modelli femminili a cui ispirarsi e campagne di sensibilizzazione sui social media. E sa anche che il vero problema è dopo l'università, “quando il percorso professionale diventa più difficile perché, nella cultura albanese, ci si aspetta che le madri si occupino totalmente e da sole della casa e poi, solo se il tempo lo permette, possono proseguire gli studi o la ricerca scientifica”.

Reti di reciproco incoraggiamento: non siamo poche

In questa fase, le giovani donne albanesi che si affacciano al mondo del lavoro STEM possono contare su Network of Albanian Women in STEM (NAW-STEM). Xhaferraj lo ha creato “per contribuire all'emancipazione economica e sociale delle donne aumentando la loro rappresentanza nel settore STEM, sia nell'industria che nel mondo accademico” spiega lei stessa. Prende di petto gli stereotipi e i pregiudizi di genere con  la serie di podcast STEMspresso , coinvolgendo anche donne albanesi in STEM della diaspora, perché una vera rete non ha confini. 

A proposito di confini, passando in Italia, c’è un’altra rete, tutta e sola dedicata alle donne ingegnere e architette: AIDIA . Esiste dal 1957 e oggi conta oltre 450 professioniste iscritte. Tre di loro hanno scelto di raccontarci le proprie esperienze che, nella loro diversità, regalano un ritratto piuttosto completo della situazione italiana. 

Giovanna Iannuzzi è un’imprenditrice del settore IT chimico-farmaceutico ormai affermata, ma ci è riuscita grazie alla famiglia, che l’ha aiutata a gestire la nascita di due gemelli, e a sé stessa che non si è mai fatta scoraggiare pur vedendosi spesso superare di grado da colleghi maschi in quanto maschi. “È tuttora difficile ottenere posizioni di gestione progetti o di commesse importanti, come donne si viene percepite come un rischio - racconta - resta difficile raggiungere posizioni gratificanti e con una prospettiva di crescita: bisogna sempre tirar fuori le unghie e non sempre si ottiene ciò che si merita”.  Neanche un posto in un panel: “Sono spesso l’unica donna negli speech in cui mi invitano, ma so che non sono l’unica donna nel settore” racconta Iannuzzi. 

L’esperienza STEM di Danila Ranieri nello sviluppo prodotti e linguaggi informatici in una grande società internazionale di consulenza è stata invece “un’avventura intrapresa per sfida e per caso, un percorso complesso fatto di crescita personale e professionale ma anche di resistenza”, come lei stessa la definisce. Non nasconde di avere incontrato stereotipi, pregiudizi e una mancanza di modelli femminili di riferimento nella sua carriera oggi approdata in una grande società di consulenza, ma vede un cambiamento, più che nell’intero sistema sopra di lei nella cerchia di colleghi più stretti. “Molti mi hanno confessato che alcuni atteggiamenti verso il team in generale sono cambiati da quando ci sono più donne. Meno cameratismo e più gentilezza ed educazione - racconta - e ne erano molto felici”.

Dal mondo accademico in cui è cresciuta, Antonia Russo nota “una certa timidezza da parte delle ragazze, stentano a non mettersi in gioco - afferma - dobbiamo vincere questa tendenza, raccontarci e unirci. Servono reti per fare emergere queste voci e far conoscere le esperienze delle altre donne. Non siamo poche nelle STEM, ma spesso non ci facciamo avanti”. Nel suo percorso personale non ha vissuto particolari discriminazioni in quanto donna, l’ha scelto perché lo ama e lo sta attualmente proseguendo nelle vesti di cyber security manager. “Porto a termine i progetti perché ci credo. È un settore molto stimolante e dinamico, è entusiasmo, tecnologia, innovazione, creatività”.

Verso il futuro, con passione e soft skills 

“Sono convinta che non esista sesso per le competenze”. Russo termina così il suo racconto e con la stessa frase Hygerta.T inizia il suo. Cambia solo la lingua, dall’italiano all’albanese. Questa giovane studentessa è “perfettamente consapevole dell'esistenza di disuguaglianze di genere nel settore che ho scelto, come in molti altri, ma non voglio che questa realtà mi freni o mi limiti” spiega. Mentre studia incontra già pregiudizi e a volte sente il bisogno di “lavorare ancora più duramente per dimostrare quanto valgo, ma non mi scoraggio. Se sarò competente e ben preparata, il mio genere non sarà un ostacolo al mio successo”. 

Gaia Bertolino | © Matteo Sportelli

Hygerta.T, finita l’università, vuole “creare soluzioni utili, soprattutto in un'epoca in cui la tecnologia avanza a ritmi serrati” ma ha scelto ICT “anche perché è uno dei settori più richiesti dai programmatori e offre stipendi competitivi”. Per far sì che il suo possa essere uguale a quello dei suoi colleghi uomini ha però già ben chiaro che dovrà “lavorare ancora più duramente per sviluppare le mie competenze e trovare il mio posto nel mercato del lavoro, nonostante sia donna”.

Questo “nonostante sia donna” ha accompagnato anche Gaia Bertolino nei suoi studi di ingegneria informatica con indirizzo “Intelligenza Artificiale e Machine Learning”, ormai quasi al termine. Lei ha “osato” scegliere questo percorso restando nell’Italia del Sud,  quella col gender gap e il gender pay gap più alti, perché “associava informatica e computer science e taglio applicativo”, supportata da una famiglia che desiderava solo valorizzare le sue doti matematiche.

Il contesto sociale e scolastico non era della stessa idea, ma Bertolino si è creata la sua e ha una strategia “per compensare la supposta mancanza di skill tecnologiche che ci attribuiscono: dobbiamo puntare anche su quelle soft e comunicative” spiega. Lei e le sue compagne di università si stanno preparando così ad affrontare il mondo del lavoro: “siamo poche ma molto motivate, ambiziose e convinte, al contrario di molti nostri compagni maschi spesso meno motivati, che si sono iscritti a ICT sull’onda del boom del settore o vittime di stereotipi”. Specularmente, ogni tanto colpiscono anche loro.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito della Collaborative and Investigative Journalism Initiative (CIJI ), un progetto cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina progetto


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