Lo scorso 10 maggio il vice primo ministro russo Dmitri Rogozin si è imbarcato su un volo per Mosca con due grosse scatole. Contenevano le lettere di circa 30mila cittadini transnistriani con la richiesta, rivolta al Cremlino, di accogliere la Transnistria nella Federazione russa. Le cose però non sono andate secondo i piani
La parata militare del Giorno della vittoria di Tiraspol quest’anno è stata un po’ speciale. Il presidente della Transnistria, Yevgeny Shevchuk, ha accolto la rappresentanza russa in un momento in cui la piccola repubblica separatista sta premendo sull’acceleratore dell’unione con Mosca. La delegazione era guidata da Dmitri Rogozin che, oltre a essere vice primo ministro di Mosca, ricopre da due anni l’incarico di rappresentante speciale per la Transnistria, a dimostrare come il Cremlino già da tempo abbia gli occhi puntati sullo stato de facto.
Già nel 2006, durante un referendum sullo status della Transnistria, il 97% degli elettori votò per l’unione con la Russia. Se però il cammino è stato intrapreso già da alcuni anni, è negli ultimi mesi che Tiraspol ha compiuto concreti passi avanti per l’ingresso nella Federazione russa. Già all’inizio di quest’anno, con una veloce riforma costituzionale per iniziativa dello stesso Shevchuk, la Transnistria ha fatto proprio l’intero corpus normativo della federazione, recependolo con un valore sovraordinato alla propria legislazione (cosa che già la porta a essere un ibrido simile a una repubblica autonoma nell’ambito della Federazione russa), mentre lo scorso mese di marzo il Soviet supremo ha inviato a Mosca e a diverse organizzazioni internazionali una formale richiesta di riconoscimento dell’indipendenza. Lo scorso 9 maggio, infine, alcuni attivisti dell’organizzazione per l’unione con la Russia hanno consegnato le firme raccolte durante la loro attività a Rogozin.
Piccoli passi
Nonostante i proclami però, le cose sembrano muoversi lentamente. “Il nostro paese adotta il metodo dei piccoli passi”, ha detto il presidente del Soviet supremo Mikhail Burla. “Abbiamo fatto un referendum che ci ha indicato una strada. Prima il riconoscimento internazionale della nostra indipendenza, poi l’unione con la Russia. Ora abbiamo compiuto il primo passo”.
L’imminente firma dell’Accordo di associazione con l’Unione europea da parte della Moldavia, cui de jure appartiene il territorio della Transnistria, e l’acuirsi della crisi ucraina hanno risvegliato le ambizioni di Tiraspol a diventare parte della Russia. Ma hanno anche fatto puntare i riflettori dei media internazionali su questo paese che non c’è e di cui molti si erano dimenticati. “Perché proprio ora?”, ha detto ancora Burla in un discorso diretto ai membri del Soviet supremo. “Pensavamo che una volta discussa la questione della Crimea, sarebbe stata presa un decisione anche per la Transnistria. Purtroppo non è stato così, quindi abbiamo dato impulso all’iter per il riconoscimento”.
La questione della Crimea di cui parla Burla ha infatti rappresentato un importante precedente per la Transnistria. Ma non solo. L’annessione della penisola sul Mar Nero è stata possibile anche grazie e una piccola riforma legislativa varata dalla Duma in gran fretta, che facilita l’unione con la Russia dei territori che ne facciano richiesta. Se, secondo la precedente legge, era necessario un accordo con lo stato cui il territorio apparteneva legalmente (nella caso sarebbe la Moldavia), con la nuova legge è sufficiente un referendum popolare in favore dell’unione con la Russia e una formale richiesta delle autorità locali.
La Transnistria ha votato in un referendum pro-indipendenza già nel 2006 e le firme consegnate a Rogozin potrebbero dare nuovo impulso al percorso di riavvicinamento, ma qui si apre un giallo: la chiusura dello spazio aereo della Romania e dell’Ucraina al volo di stato di Rogozin di ritorno dalla Transnistria, come effetto delle sanzioni Usa e Ue contro la Russia, ha costretto l’aereo del vice primo ministro a un atterraggio forzato all’aeroporto di Chişinău. “Le forze speciali moldave hanno perquisito l’aereo e confiscato le scatole con le richieste dei cittadini transnistriani per il riconoscimento del loro paese”, ha twittato l’assistente di Rogozin, Dmitri Lostukov. Le autorità moldave hanno confermato di aver confiscato le firme per effettuare dei controlli sulla loro legittimità, ma a questo punto delle scatole si sono perse le tracce.
Un'altra exclave
Firme a parte, fino a questo momento la Russia sembra aver risposto con un tiepido entusiasmo alle richieste di Tiraspol. Al di là delle dichiarazioni di Rogozin – che durante la visita ha detto: “Seguiamo la situazione e in base al suo sviluppo prenderemo le misure necessarie. Vi abbiamo aiutato e vi aiuteremo” – e delle dichiarazioni di Putin sull’intenzione della Russia di difendere i propri cittadini ovunque si trovino, finora alle parole non sono seguiti i fatti. Il fatto è che la Transnistria potrebbe non essere un boccone così appetitoso per il Cremlino. Il suo valore simbolico è decisamente minimo rispetto a quello della Crimea, e persino molti russi avrebbero difficoltà a trovarla su una mappa. L’estensione modesta del suo territorio, l’assenza di risorse, la mancanza di sbocchi e il fatto che – qualora diventasse parte della federazione – sarebbe un altro pezzo staccato dalla madrepatria (un’exclave come Kaliningrad), potrebbero far pensare a Putin che in fondo il gioco non valga la candela.
D’altro canto, continuare a mantenere un conflitto congelato proprio nel fianco di un partner orientale dell’Ue potrebbe rivelarsi una strategia più proficua di una definitiva annessione. L’utilità strategica di avere il controllo su aree ad alta instabilità, da “accendere” o “spegnere” al momento del bisogno, potrebbe spiegare l’immobilismo del Cremlino non solo in Transnistria ma anche nelle regioni orientali separatiste dell’Ucraina. Ciononostante, rimane alto il livello della minaccia all’unità territoriale della Moldavia e resta da capire fino a quando Putin riuscirà a non sentirsi messo con le spalle al muro dalla sua stessa propaganda.
Intanto, col suo aereo bloccato all’aeroporto di Chişinău, Rogozin non si è perso d’animo. Si è imbarcato su un volo di linea per Mosca. E le firme? “Sono a Mosca”, ha scritto Rogozin su Facebook. “I servizi moldavi ne hanno preso solo una piccola parte. Ci siamo presi cura del carico. Ora la provocazione di Chişinău avrà gravi conseguenze sulle nostre relazioni”. Per il momento, però, il Cremlino tace.
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