I richiami a principi vecchi di un secolo, la conflittualità tra il processo di integrazione e quello della costruzione delle istituzioni statali stanno complicando i rapporti tra l'Unione Europea e i Balcani. Rimane comunque irrinunciabile l'esigenza dell'integrazione "Euro-Atlantica" dei Paesi dell'area.

25/01/2005 -  Anonymous User

Ho preparato il documento che intendo leggere mentre mi trovavo ancora a Belgrado, ma è stato integrato anche durante gli interventi che ho potuto ascoltare a questa conferenza, che ho trovato molto interessante e che ritengo essere una delle migliori che l'Osservatorio sui Balcani abbia organizzato fin ora, lo posso dire perché ho partecipato personalmente, molto volentieri e con orgoglio a molte iniziative dell'Osservatorio.

Michele Nardelli mi ha lanciato una provocazione e desidero dire che attualmente condivido in maniera piena le sue preoccupazioni circa la stabilità e la sicurezza nel futuro prossimo e lontano dei Balcani, in relazione alla questione dei protettorati, in particolare ovviamente nel caso del Kosovo.

Temo che noi che veniamo dall' ex Yugoslavia, dopo quello che abbiamo passato, siamo diventati alquanto scettici riguardo la vita ed io personalmente non posso permettere a me stesso di ritrovare l'ottimismo che provavo 15 anni orsono alla vigilia dell'esplosione del conflitto e della disintegrazione della Yugoslavia. Oggi sono un po' più consapevole di tutti i pericoli potenziali che possono presentarsi nei prossimi due o tre anni, in particolare quelli riguardanti la definizione dello status del Kosovo.

Desidero porre a tutti voi numerose questioni. Purtroppo Fatos Nano oggi non è qui presente, egli ha dato una risposta definitiva a questa questione, tuttavia il problema non può essere risolto unilateralmente da un singolo punto di vista, ma deve essere dibattuto da tutti coloro che sono coinvolti.

La prima questione, alla quale peraltro è stata fornita una serie di buone risposte durante questa conferenza è questa: "Possiamo parlare della Bosnia e del Kosovo allo stesso modo e nel medesimo schema di lavoro?".

Io credo si debbano trattare molto diversamente, così come è stato fatto in molti interventi durante il nostro incontro e così come è effettivamente la situazione sul campo. Infatti ciò che vogliamo fare durante questa conferenza è discutere sul futuro status del Kosovo, che è l'argomento alla base di tutte le domande da porre riguardo l'Europa sud orientale. Tuttavia non credo si riproporrà la situazione degli anni Novanta, sono quasi sicuro che non succederà niente di paragonabile.

Ma l'incertezza riguardo al Kosovo potrebbe comunque destabilizzare la regione balcanica con ricadute negative su numerose situazioni dell' area e con effetti di ritorno di eccezionale gravità sulla situazione della Bosnia, che dalla fine del conflitto è molto stabilizzata. Questa è l'inevitabile serie di conseguenze interrelate che ci troviamo ad affrontare e dalla quale in qualche modo stiamo cercando di scoprire una via di uscita.

L'altra domanda è: "Su quali principi possono essere basate le nostre soluzioni per il futuro status del Kosovo e forse anche quello della Bosnia?". Purtroppo la situazione non è così chiara come non lo era 15 anni fa quando iniziava la dissoluzione della Yugoslavia. A quel tempo e anche adesso noi abbiano a disposizione principi contraddittori che ciascun attore coinvolto in questa questione può scegliere in un momento particolare, per poi sbarazzarsene più avanti.

Entrambe le nazioni - o volendo generalizzare e semplificare gli Albanesi, i Serbi e i non albanesi- in Kosovo stanno richiedendo oggi principi che sono vecchi di quasi un secolo. Mi riferisco in particolare a quello dell'autodeterminazione, come base per ottenere l'indipendenza dal resto del Kosovo: gli Albanesi per separarsi dalla Federazione Yugoslava, i Serbi e le altre minoranze per separarsi dal resto del Kosovo a maggioranza albanese.

Un altro principio attualmente interessante, che qualcuno ha tentato di riproporre con la pulizia etnica serba contro gli Albanesi nel 1998-1999, è quello per il quale uno Stato può perdere la sua legittimità, se non ha democrazia, se nel pericolo viola in maniera sostanziale i diritti umani della popolazione, degli stessi suoi cittadini. Questo è quello che successe in quel periodo nel Kosovo e allora gli Albanesi si richiamarono fortemente a questo principio come base per la separazione dalla Serbia.

Ora, alla stessa maniera, i Serbi del Kosovo o altre minoranze non albanesi possono decidere di ricorrere anch'essi a quello stesso principio. Il 2004 come sappiamo bene e come molti si rifiutano di riconoscere, ha significato e significa ancora la pulizia etnica contro i serbi e contro le altre minoranze non albanesi, e ciò rende il Kosovo un vero buco nero in Europa in termini di mancato rispetto dei diritti umani, delle procedure democratiche ecc.

Ora su quali principi possiamo basare la nostra proposta di soluzione riguardo il futuro del Kosovo?
La mia opinione è che ci stiamo avviando di nuovo, come nel caso dell'ex Yugoslavia verso l'esistenza di una combinazione di alcuni principi. La reale situazione sul campo, così come quella dell'equilibrio delle forze, che nel Kosovo sono abbastanza chiare non certo come quelle nell'Europa sud orientale ed occidentale e nel mondo intero, impediscono di nuovo alla legge di essere la guida suprema del nostro sforzo di risolvere questa questione, ma essa non lo è stata nemmeno in molti altri contesti non solo per quello dell'ex Yugoslavia, ma anche in situazioni in cui i paesi dell'Europa Occidentali sono stati coinvolti in precedenza.

Cosa può succedere se i principi non sono fermi, seri come vorrei che fossero? Io non vi so dare una risposta in merito alla questione di quale sarà il futuro del Kosovo, ma sono abbastanza sicuro di quale dovrà essere il contesto in cui questo problema può venire risolto, così come è stato detto in più interventi, mi riferisco alla prospettiva dell'integrazione nell'Unione Europea ma non solo. E' necessaria infatti anche l'integrazione "Euro-Atlantica" perché almeno per due nazioni nei Balcani, per i Musulmani, i Bosniaci e gli Albanesi essa potrebbe rappresentare la "soluzione finale", forse impossibile senza la piena partecipazione di un Paese moderno come gli Stati Uniti. L'integrazione "Euro-Atlantica" deve essere il contesto.

Lasciando da parte la Nato, che cosa possiamo imparare dall'esperienza dell'Unione Europea?
Un esempio ottimistico che forse potrebbe condurci nella giusta direzione è quello di Cipro, nel quale, con tutte le differenze rispetto alla situazione dei Balcani, vi è un aspetto molto importante: dopo più di cinquant'anni durante i quali la situazione è rimasta congelata, la sola soluzione attuale è apparsa nel contesto dell'integrazione nell'Unione Europea. L'Unione Europea è stata una grande occasione per i Greci e per la minoranza turca. Il processo è agli inizi ed è ancora lontano dalla conclusione, ma sono sicuro non ritornerà nella situazione iniziale. Quello di Cipro è uno schema di lavoro nel quale le cose possono mettersi in una maniera tale da permettere di trovare una migliore soluzione al conflitto.

Ma anche nel processo di integrazione non mancano i problemi. Attualmente il primo è quello che l'Unione Europea ha mostrato di volere dominare questo processo, proponendosi come una sorta di "guardiano", non il solo certo, ma il principale. Essa non ha grande esperienza nella attività di "state building" che è ancora in corso nei Balcani, senza il mantenimento di una presenza militare alleata nello scenario. Questo è un grandissimo problema. L'Unione Europea non conosce nulla in merito alla costruzione di uno Stato, il suo intervento arriva sempre in un momento successivo e presuppone l'esistenza di uno Stato, classicamente inteso ed essa tratta esclusivamente con questo tipo di istituzione. Questo è il più grande problema che potremmo definire "teorico".

Gli Stati balcanici dicono che per loro è necessario avere il pieno sviluppo delle relazioni con l'Unione Europea, per diventare partner responsabili dell'Unione Europea. Ma vi sono dei contesti in cui il ragionamento non è il medesimo, si tratta ad esempio del Kosovo, degli Albanesi del Kosovo ed anche del Montenegro all'interno della Federazione Yugoslava: essi non si considerano nel processo di costruzione di uno Stato, né in quello di integrazione europea, due processi che vengono visti come conflittuali. Anche l'Unione Europea crede ancora che siano inconciliabili.

Nel mio Paese, ma anche a Bruxelles, c'è chi ritiene che l'Unione Europea non è attualmente in grado di trattate con nazioni e stati in costruzione, come nel caso della Serbia e del Montenegro. Essa ha aumentato il proprio coinvolgimento nella zona, Bruxelles non ha avuto con la Serbia la medesima posizione che era solita mantenere con lo stato Federazione di Serbia e Montenegro all'inizio, durante il quale ha fortemente aiutato e guidato il processo di costruzione dello stato Federazione di Serbia e Montenegro.

Il disegno costituzionale progettato per Serbia e Montenegro è eccezionalmente pieno di norme europee e analizzando alcuni documenti costituzionali, senza per altro annoiarvi con i dettagli, si può vedere come nel caso della Serbia e del Montenegro l'Unione Europea ha imposto molte più regole, molte più responsabilità, molti più vincoli di quanto abbia fatto in ogni altro caso possibile ed immaginabile.

La mia tesi dunque è la seguente: si dovranno avere anche molte regole in Kosovo o in Bosnia, tanto quanto quelle previste per la Serbia e Montenegro se si continua ad affidare il lavoro a giuristi costituzionali delle isole del Pacifico che non conoscono nulla della Serbia, del Montenegro e dell'Unione Europea.

Si possono concludere molte cose: l'Unione Europea per questi Stati o unione di Stati è allo stesso tempo la mèta, lo standard, il garante, il controllore e l'arbitro.

Lasciatemi concludere spiegando i motivi per cui l'Unione Europea è diventata arbitro tra Serbia e Montenegro, perché si tratta di un fatto nuovo e davvero molto strano. Uno di questi documenti costituzionali che ho citato dice: "se uno degli stati membri ritiene che un altro Stato membro non soddisfa pienamente gli obblighi stabiliti nell'accordo, riguardanti il funzionamento del mercato comune, l'armonizzazione delle politiche commerciali e doganali, esso si riserva il diritto di sollevare la questione con l'Unione Europea nel contesto del Patto di Stabilità e di Associazione con lo scopo di ottenere misure adeguate."

Questo ricorda le parole dell'insegnante in un'aula scolastica con giovani alunni: "lui non mi ha obbedito e quindi tu hai il diritto di punirlo". Noi abbiamo infatti un insegnante in un'aula con due Stati, che rispetto a tutti gli altri possono vantare una più lunga storia costituzionale di indipendenza nei Balcani e che, lasciatemi dire, umiliano se stessi seguendo queste regole imposte dall'Unione Europea nelle loro mutue relazioni.

Loro avrebbero dovuto siglare invece un altro tipo di accordo a livello di unione tra Stati che, in caso di conflitti, prevedesse il ricorso alla Corte di Giustizia Europea e non al Commissario europeo Javier Solana. Ora, il ruolo dell'Unione Europea si è evoluto in ciò che potremmo definire un rapporto non tra uno Stato ed altri due, ma tra uno ed uno Stato ed un altro mezzo Stato. Da settembre noi abbiamo il cosiddetto "double" o "twin track approach" e tutta l'ideologia sulla quale l'Unione Europea basava le sue relazioni e le sue speranze circa i progressi della Serbia e del Montenegro sono oramai superati. Pensando al Kosovo le cose sono molto più complicate.

Per concludere vorrei condividere con voi una semplice considerazione: tenendo presente il processo infinito di "state building" nei Balcani, l'insoluta questione nazionale di Albanesi, Serbi e Montenegrini, l'Unione Europea e gli altri attori internazionali hanno una limitata e ripeto limitata capacità di influenzare il metodo di risoluzione di queste questioni nazionali ancora aperte. Questo è un avvertimento.

Nessuna di quelle popolazioni che ho citato nell'ultima considerazione segue le istruzioni che vengono da Bruxelles, le nazioni e i loro leaders saranno gli unici a potere decidere l'assetto territoriale, questo è quello che successe anche 14-15 anni fa, non vi erano e non vi possono essere limiti di sorta, non ci sono condizionalità economiche che possono infatti avere influenza decisiva sul processo di "state building". Questa è la lezione più importante che ho imparato all'inizio degli anni Novanta.

L'integrazione "Euro-Atlantica" è certamente un'occasione d'oro per tutti gli Stati, per tutte le nazioni, ma attualmente si tratta di una occasione molto lontana nel tempo.

La domanda da porre a voi che siete qui, all'Europa, ai nostri vicini, alle persone con le quali abbiamo lavorato in maniera eccellente come quelle dell'Osservatorio sui Balcani è: "Come riconsiderare i piani, talvolta contraddittori, della costruzione di uno Stato e quello dell'integrazione europea?" O più precisamente: "Come inserire il processo di costruzione dello Stato all'interno del processo di integrazione europea?"

Io qui ho lanciato un avvertimento: non solo a Belgrado o a Pristina, ma ovunque nei Balcani la gente deve pensare molto seriamente a queste questioni per discutere su di esse, per incontrarsi, per cambiare punti di vista. Questo deve essere un ulteriore obiettivo dell'Unione Europea, la quale non deve essere ancora una volta sorpresa dall'emergere dei conflitti.


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