Un'illustrazione che raffigura Vladimir Putin e Alexjandr Grigorevich Lukashenka - © Another77/Shutterstock

Un'illustrazione che raffigura Vladimir Putin e Alexjandr Grigorevich Lukashenka - © Another77/Shutterstock

Al punto di controllo Alexandrovka-Vilchha, al confine tra Ucraina e Bielorussia, si incontreranno oggi due delegazioni, quella ucraina e russa, in quello che si spera possa essere un momento di de-escalation del conflitto. Un terreno, quello bielorusso, non certo neutrale. Il perché in questo approfondimento

28/02/2022 -  Marilisa Lorusso

L’aggressione militare all’Ucraina ha riportato sotto i riflettori la responsabilità della Bielorussia e del suo leader Alexjandr Grigorevich Lukashenka. Il presidente della Bielorussia è noto per le sue esternazioni, per essere stato definito con l’epiteto di ultimo dittatore d’Europa , e dopo le ultime elezioni per i numerosi crimini contro l’umanità di cui si è macchiato lui e il governo che presiede. A proposito di esternazioni, il presidente aveva risposto alla definizione di ultimo dittatore d’Europa ironizzando tempo fa che invece lo era Putin.

I rapporti fra Minsk e Mosca sono sempre stati segnati da una certa eccentricità di comportamenti di Lukashenka, che non a caso aveva proprio accusato l’unico alleato e primo partner commerciale che ha, la Russia, di essere dietro ai disordini legati alla campagna elettorale del 2020. Al dipanarsi della profonda crisi politica però Lukashenka ha dovuto ridimensionare il proprio margine di manovra rispetto a Mosca.

Senza il sostegno e la legittimazione russa difficilmente Lukashenka sarebbe stato in grado di mantenere lo scranno presidenziale per il sesto mandato. La repressione è stata profonda e sanguinaria. In migliaia la stima delle vittime di torture, tutte le organizzazioni mondiali – governative e non governative – del mondo hanno dato l’allarme per il sistematico uso di violenza sproporzionata, lo stupro, misure estese arbitrariamente nei luoghi di detenzione e anche sui minori. Fra sparizioni, aerei fatti atterrare nelle loro rotte internazionali per arrestare oppositori politici , atleti che scappavano durante le olimpiadi , la Bielorussia ha dato la prova che i metodi da dittatura non sono caduti con l’Urss 30 anni fa.

Ora Lukashenka non esterna più contro l’alleato e protettore . Minsk ha subito varie tornate di sanzioni per violazioni dei diritti umani nel biennio 2020-2021 da parte di Unione Europea, Stati Uniti e altri paesi che hanno aderito ai regimi sanzionatori, di cui l’ultimo risale all’ignominiosa crisi dei migranti al confine bielorusso-polacco del dicembre 2021.

In questi giorni il presidente bielorusso sostiene che la Bielorussia non fa guerra all’Ucraina mentre è evidente che gli attacchi muovono dal territorio bielorusso.

Le esternazioni

Quando esterna Lukashenka si fa portavoce delle ambizioni russe, spesso in modo scomodo per la stessa Mosca, perché rivela di più di quanto il Cremlino non voglia far sapere.

È stato così per l’aggressione all’Ucraina, come lo è per i progetti neo-imperialisti del Cremlino.

Mentre ancora a Mosca si sosteneva che non ci sarebbe stata nessuna invasione in Ucraina e le forze militari russe ancora dovevano confluire lungo i confini, Lukashenka già esternava : se Putin andrà alla guerra la Bielorussia subito vi parteciperà. Ed effettivamente nelle settimane seguenti alle esternazioni di Lukashenka si è assistito a una militarizzazione della Bielorussia con soluzione di contiguità rispetto a quello che accadeva nei territori russi. Lukashenka ora dà il proprio supporto a tutte le guerre russe, anche quelle passate e che stanno lentamente erodendo i confini di un numero crescente di paesi post-sovietici.

Rispetto al conflitto russo-georgiano in passato la Bielorussia ha fatto un notevole tira e molla, a volte dichiarando di essere pronta al riconoscimento di Abkhazia e Ossezia del Sud, ma poi non facendolo mai. Nessun paese ex sovietico le ha riconosciute, cosa che rende molto difficile perseguire lo scopo moscovita di integrare le due entità nelle organizzazioni regionali che ha promosso, come l’Unione Eurasiatica. A parte la Russia, tutti i paesi post-sovietici riconoscono la de jure integrità territoriale della Georgia. Ma a inizio febbraio, mentre l’escalation intorno all’Ucraina continuava ad alimentarsi con nuovi afflussi di armi, anche nucleari, Lukashenka ha dichiarato che quando Putin gli dirà di farlo, riconoscerà l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud. Immediata la reazione positiva di Sukhumi, il cui ministero degli Esteri de facto ha espresso piena disponibilità a stabilire relazioni diplomatiche con Minsk. Molto meno entusiasta, e secca, la nota del ministero degli Esteri georgiano, che ha ricordato che Minsk ha rapporti bilaterali con Tbilisi saldamente ancorati ai principi di diritto internazionale .

Sull’eventualità di riconoscimento bielorusso di Abkhazia e Ossezia del Sud, e sul modo in cui ha esternalizzato Lukashenka, è intervenuto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov che ha limato uno scenario imbarazzante dicendo che “il nostro alleato e partner deciderà in autonomia, quando lo riterrà appropriato.”

I progetti neo-imperiali

Lukashenka si è lanciato in previsioni sul futuro dell’Armenia, alleato russo e per il quale ha sfoderato un progetto di notevole riduzione di sovranità. Secondo il controverso presidente bielorusso il futuro dell’Armenia è nello Stato Unito, con Russia e Bielorussia. Lo Stato Unito è nato nel 1997 con lo scopo iniziale di confederare i due firmatari, Russia e Bielorussia. Il progetto confederale è poi stato ridimensionato a un accordo bilaterale che intensifica l’integrazione dei due stati.

L’esternazione sullo Stato Unito di Lukashenka è specchio di un revanscismo sovietico che risuona in corridoi moscoviti. Interrogato sul futuro dello Stato Unito, Lukashenka ha dichiarato : “Il Kazakhstan ha appena ricevuto una bella lezione. Se parliamo di un lasso di tempo di una quindicina di anni, ne farà parte pure l’Ucraina, ne sono sicuro […]. L’Armenia non ha altro posto ove andare. Non servono a nessuno. L’hanno visto loro stessi. Nikol Vovajevich [Psashinyan] se n’è reso conto. L’Azerbaijan non ne può essere parte perché abbiamo fatto troppi errori nei suoi confronti […] La Turchia lo supporta molto. Le sue strade, il gas, il petrolio, passano per la Turchia… Invece il Turkmenistan, l’Uzbekistan e il Tagikistan, soprattutto per questioni economiche, ne faranno parte”.

Questa analisi del futuro dell’Armenia non ha trovato risonanze a Yerevan. Il portavoce del ministero degli Esteri armeno, Vahan Hunanyan ha liquidato questa profezia con un post : “Siamo convinti che la bizzarra analisi politica del Presidente della Bielorussia abbia motivazioni di politica interna e non abbia nulla a che vedere con l’Armenia e la sua politica estera”. Yerevan ha poi convocato l’ambasciatore bielorusso a Yerevan al ministero degli Esteri.

E di nuovo sulle esternazioni di Lukashenka è intervenuta la Russia. La portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ha sostenuto che Lukashenka è stato frainteso, che le sue parole siano state decontestualizzate e travisate, ma ha specificato che lo Stato Unito – secondo la posizione ufficiale di Mosca – è certo una entità non esclusiva e che può prevedere la partecipazione di altri stati.

Dossier

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