Un anziano in Bosnia Erzegovina

Bosnia Erzegovina, foto di Daniele Dainelli

Perché il nonno riusciva ad utilizzare insulti così originali? Ricordi di famiglia ci portano nel mondo della lingua slovena

20/07/2020 -  Edvard Cucek

Mio nonno era sloveno “costiero”. Oggi li chiamano così. A lui piaceva dirsi semplicemente istriano. Era originario di Postumia. 4 ore a piedi da Tergest, come scherzava con noi nipoti tanti anni fa. Da giovane insieme alla sua numerosa famiglia finì in Bosnia.

Aveva un senso dell’umorismo particolare. Punzecchiava in modo originale rischiando sempre di non essere compreso “dai locali” in quanto utilizzava una lingua che non era sua. Bilingue dalla nascita (parlava sloveno e italiano) il serbo-croato lo aveva imparato solo nella sua “nuova patria”.

I ricordi sono sempre più vaghi e sbiadiscono però il fatto che ci prendesse in giro in tutti i modi e che noi nipotini non eravamo mai certi se quello che ci raccontava, ci chiedeva o altro era una presa in giro, è un segno indelebile rimasto impresso nella nostra memoria familiare. Come con noi, spesso scherzava anche con la nonna: inventandosi qualche parolaccia, qualche “bestemmia leggera” oppure malediceva in un modo tutto suo. Era palese a chiunque che, nonostante i tanti anni trascorsi in Bosnia, non fosse nato lì. Quando la nonna infuriata lo rimproverava di smettere con i suoi “modi sloveni di maledire” lui ribatteva: “Ci avete insegnato voi (serbi, croati e bosniaci intendeva, nda) a dire le brutte parole. Noi non le abbiamo mai avute”. E lo diceva con lo sguardo da birichino. 

Da quegli anni nasce il mio desiderio, mai esaudito, di imparare lo sloveno. 

L’inno sloveno

Recentemente mi ha invogliato di nuovo una notizia del marzo di quest’anno. Zdravljica (in italiano “Brindisi”), la poesia di cui la settima strofa dal 1991 (l’anno della dichiarazione dell’indipendenza della Repubblica di Slovenia) costituisce ufficialmente l’inno sloveno, è stata proclamata dalla Commissione europea patrimonio europeo .

Il che significa che - indirettamente - anche l’inno sloveno da quella data è patrimonio di tutti gli europei .

Questa poesia, scritta da France Prešern nel 1844, mi incuriosisce molto perché sottolinea l’appartenenza ad un popolo, non grande e poco conosciuto agli stessi europei, senza però glorificare il nazionalismo. Anzi, orgogliosamente ribadisce l’apertura verso i popoli fraterni. 

Non per caso nella settima strofa, scelta per l’inno nazionale, non c’è nessun richiamo a radici, nazione o senso di appartenenza. Soltanto un desiderio universale di pace, fratellanza e convivenza. Tra gli inni che conosco quello sloveno è unico e bellissimo. Più un’ode all’umanità che un inno nazionale.

Vivano tutti i popoli

che anelano al giorno

in cui la discordia verrà bandita dal mondo

ed in cui ogni nostro connazionale

sarà libero

ed in cui il vicino

non un diavolo, ma sarà un amico

Standardizzazione della lingua e le prime traduzioni di opere in lingua slovena

Oggi come pioniere che ha posato le basi della lingua slovena letteraria e standardizzata si considera Primož Trubar, con diverse opere e traduzioni, pubblicate dal 1550 al 1564, l’anno in cui tradusse anche il Nuovo Testamento della Bibbia. La prima grammatica slovena esce già nel 1584, redatta da Adam Bohorić.

Gli sloveni vantano anche di aver avuto, primi tra i popoli slavi, l’intera Bibbia tradotta nella loro lingua sin dal 1584: fu la straordinaria opera di Jurij Dalmatin. In lingua croata ad esempio la Bibbia si potrà leggere soltanto dal 1831 tradotta dal francescano Petar Katančić e tra i serbi e in alfabeto cirillico ancora più tardi (nel 1847 Vuk Karadžić- Vecchio Testamento e nel 1865 Djura Daničić- Nuovo Testamento).

Considerando che all’epoca della nascita della lingua slovena moderna l’alfabetizzazione tra i popoli si diffondeva proprio tramite testi religiosi il fatto di essere la dodicesima lingua del mondo in cui la Sacra Scrittura è stata tradotta rende veramente onore a questo popolo alpino. Oltre ad occuparsi di letteratura religiosa i traduttori e letterati sloveni - in questo caso devo nominare Jeronim Megiser - hanno permesso ai connazionali di avere i primi dizionari di altre lingue europee, come quello tedesco-latino-italiano-sloveno del medesimo autore pubblicato addirittura nel lontano 1592.

I dialetti e le università

Lo sloveno è una lingua europea parlata - tra i residenti in Slovenia e le comunità slovene nei paesi confinanti, oltre alla diaspora - da non più di 2,3 milioni di persone. Nonostante questi numeri esigui ha 46 dialetti, riconosciuti e vivi derivanti da otto gruppi dialettali, ciascuno con particolari caratteristiche linguistiche. 

Oggi chi lo desidera può studiare questa lingua in 25 paesi diversi, presso 45 istituti tra cui alcune università di prestigio come quella nella città austriaca di Graz dove una cattedra per la lingua slovene esiste già dal 1811.

In Italia è possibile studiare sloveno presso le università di Padova e Napoli. In alcune università non in territorio sloveno era possibile studiare sloveno quando lo sloveno nella Slovenia occupata dai nazi-fascisti era proibito. Mentre per esempio nell’odierna provincia del Südtirol/Alto Adige durante il ventennio fascista era vietato l’insegnamento del tedesco, agli sloveni i fascisti proibirono anche di usare la loro madre lingua in pubblico.

Il nonno e le maledizioni

Tornando al nonno: modalità di maledire e di insultare radicate in tutta la ex-Jugoslavia da secoli (Bosnia, Croazia, Serbia e Montenegro) sono entrate nell’uso quotidiano tra gli sloveni soltanto all’inizio del 20mo secolo.

Ma tutt’oggi resistono anche dei modi tradizionali sloveni di maledire, ben distinguibili da tutti gli altri. Alcuni esempi - che riportiamo qui sotto nella loro versione originale e tradotti in italiano - fanno pensare agli sloveni come ad un popolo incapace di voler male.

Kršćen Matiček - Matteo battezzato.

Stotinu kosmatih medvedov - Cento orsi pelosi.

Naj te koklja brcne - Che la gallina ti becchi


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