Monumento a France Prešeren, Lubiana © Naeblys/Shutterstock

Monumento a France Prešeren, Lubiana © Naeblys/Shutterstock

La Slovenia può essere considerata una repubblica letteraria: uno stato che ha costruito la sua identità nazionale più con i libri e la cura della lingua che con richiami a grandi regni medievali, prodi condottieri e mitiche battaglie. Ogni 8 di febbraio il paese celebra la sua cultura

08/02/2024 -  Stefano Lusa Capodistria

L'8 febbraio la Slovenia è in festa: come ogni anno celebra la sua cultura con una giornata non lavorativa. Alla vigilia della ricorrenza è andata in scena la tradizionale cerimonia con la consegna dei prestigiosi premi Prešeren, con cui il paese rende onore ai suoi migliori artisti. Un riconoscimento importante, forse il più prestigioso, visto proprio il ruolo che la cultura ha assunto per la causa nazionale. Non a caso, quindi, lo stato assegna agli artisti importanti contributi e sovvenziona abbondantemente le loro opere.

L’idea di celebrare la cultura slovena era nata già durante la resistenza. L’intenzione era di farlo nel giorno della nascita del sommo poeta France Prešeren. Raffinato esponete del romanticismo, diede piena dignità letteraria alla lingua slovena. Ispirandosi ai canoni stilistici di Petrarca, regalò ai suoi connazionali versi memorabili, tra cui quelli dell’inno nazionale. Alla fine, si decise di scegliere la data della sua morte. Un fatto questo dettato probabilmente dalla contingenza del momento, visto che l'8 febbraio 1945 sarebbe stato possibile già celebrare la ricorrenza sul territorio liberato dalle truppe partigiane.

Una decisione strana, ma forse molto in linea con il pessimismo cosmico che spesso emerge nella letteratura slovena. Da Ivan Cankar a Prežihov Voranc, passando per altri grandi nomi della letteratura nazionale lo spazio per l’ottimismo e per il lieto fine è molto limitato. Proprio per questo il tratto distintivo della letteratura slovena sembra essere quello di farsi carico delle sofferenze del popolo, della nazione e dei suoi cittadini, mentre il compito dello scrittore sembra essere quello di incarnare la tragicità della condizione umana.

Lo si percepisce distintamente nella scrittura di Drago Jačar, uno degli scrittori più tradotti ed apprezzati. Con il suo stile allo stesso tempo laconico ed ironico ci porta in un cupo mondo centroeuropeo dove l’individuo deve fare i conti con la repressione delle autorità. Il suo ultimo romanzo tradotto in italiano per La nave di Teseo è “E l’amore ha bisogno di riposo”. Una storia ambientata in una Marburgo occupata dai nazisti, dove la protagonista ottiene da un suo compagno d’infanzia, diventato fervente nazista, la liberazione del suo ragazzo, ma a quale prezzo?

Di tutt'altro genere invece è la scrittura di Goran Vojnović. Salito alla ribalta con il suo libro “Cefuri raus! Feccia del sud fuori da qui”, pubblicato in Italia da Forum, con la magistrale traduzione di Patrizia Raveggi. L’autore ci porta nelle periferie di Lubiana, tra gli immigrati provenienti dal resto dell’ex Jugoslavia. Per farlo dà persino dignità letteraria allo slang delle periferie. Un libro divertente pieno d’ironia e forse anche di speranza. Accolto con entusiasmo da molti, ma anche con lo scetticismo dei puristi nel mondo della letteratura slovena, Vojnović è oramai entrato a pieno titolo nel novero dei migliori scrittori nazionali contemporanei, soprattutto dal momento in cui anche i suoi eroi sono diventati sempre più tragici e le loro storie sempre più senza speranza.

Una ricerca introspettiva nel complesso mondo dell’identità è invece quella che offre Veronika Simoniti con il suo romanzo “Ivana davanti al mare”, pubblicato da Morellini. Una vicenda che si svolge tra Parigi e la costa istriana. Uno stile delicato e allo stesso tempo crudo, per quello che è stato un vero libro di successo.

La storia di un bambino alle prese con la fine della Jugoslavia è invece raccontata da Sebastijan Pregelj ne “Il giorno in cui finì l’estate” edito da “La bottega Errante”. Un romanzo di formazione, uno spaccato di vita quotidiana sullo sfondo della disgregazione di un paese.

Il vero e proprio caso letterario però è quello di Tadej Golob. Dopo aver conquistato importanti premi per i suoi libri e venduto poco, lo scrittore istiriano ha deciso di cambiare decisamente rotta narrando le vicende dell’ispettore Taras Birsa. Oramai siamo al sesto libro della serie. Il primo è uscito recentemente anche nella traduzione italiana per Ronzani “Dove nuotano i pesci gatto”. Un successo incredibile che ha perfino ispirato una fortunata serie televisiva. Un “noir” che segue i canoni scandinavi e che forse proprio per questo inizia in mezzo ad una bella nevicata per poi condurre il lettore attraverso l’Europa centrale, i Balcani e le ossessioni nazionali degli sloveni.

Snobbato dagli ambienti culturali che contano, Golob è considerato esponente di un genere letterario minore. Lui sembra aver capito più e meglio di altri suoi connazionali il piacere dello scrivere e di farsi leggere. Il risultato è che all’uscita di ogni suo libro della serie salgono anche le vendite di quelli precedenti. In una produzione culturale che può contare su aiuti e sovvenzioni, non accade spesso che un autore riesca a ripetersi, a rimanere in testa alle vendite con tale costanza ed a ragionare anche in termini di mercato. Non a caso Golob è uno dei pochi che nel paese vive esclusivamente di scrittura. I suoi estimatori dicono che ha fatto più lui per rilanciare la lettura in Slovenia che tanti altri ed i venditori di libri raccontano che i lettori tornano entusiasti in libreria a chiedere libri simili ai suoi.

In fondo il modo migliore per conoscere la Slovenia è proprio quello di prendere in mano i libri dei suoi autori. Per gli amanti del giallo Golob sembra essere una tappa obbligata. Del resto, bisogna ricordare che la Slovenia può essere considerata una repubblica letteraria. Uno stato che ha costruito la sua identità nazionale più con i libri e la cura della lingua che con richiami a grandi regni medievali, prodi condottieri e mitiche battaglie.


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