Due mani a pugno una contro l'altra colorate rispettivamente con la bandiera kosovara e quella serba

© Moab Republic/Shutterstock

Riprende domani a Bruxelles il dialogo tra Belgrado e Pristina per la normalizzazione delle loro relazioni. A condizionarlo le proteste in Serbia, l’atteggiamento di Mosca e l’uscita di scena del presidente kosovaro Hashim Thaçi

15/07/2020 -  Dragan Janjić Belgrado

Secondo quanto annunciato dal rappresentante speciale dell’Unione europea per il dialogo tra Belgrado e Pristina Miroslav Lajčák, i negoziati sulla normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo dovrebbero riprendere il prossimo 16 luglio a Bruxelles. Così l’UE, dopo una pausa di 20 mesi, torna ad assumere il suo ruolo di mediatore nel processo di risoluzione della crisi kosovara, ma resta ancora da vedere quale sarà l’effettivo raggio d’azione dell’Unione in questo processo.

L’agenda dell’annunciato vertice a Bruxelles è stata concordata durante una videoconferenza tenutasi lo scorso 12 luglio tra il presidente serbo Aleksandar Vučić, il primo ministro kosovaro Avdullah Hoti e l’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri Josep Borell. Tuttavia, i dettagli dell’agenda non sono stati resi noti, mentre le dichiarazioni rilasciate dopo la videoconferenza dai rappresentanti di Serbia e Kosovo non promettono un granché.

“Dopo 20 mesi riprende il dialogo sotto l’egida dell’UE. Sono stati concordati i temi dell’incontro che si terrà giovedì a Bruxelles”, ha scritto Vučić sul suo profilo Instagram. Avdullah Hoti ha dichiarato che il dialogo con la Serbia non ha alternative e che durante la videoconferenza il governo kosovaro ha presentato le sue richieste, in primis quella di raggiungere un accordo definitivo che comprenda il riconoscimento reciproco tra i due paesi. “Un accordo definitivo deve comprendere il riconoscimento reciproco, la soluzione della questione delle persone scomparse, il pagamento delle riparazioni di guerra, la restituzioni dei documenti catastali e la regolamentazione dei rapporti economici”, ha affermato Hoti. La posizione ufficiale di Belgrado è diametralmente opposta a quella del governo kosovaro, ma è comunque importante che i negoziati siano ripartiti.

Alla videoconferenza dello scorso 12 luglio, oltre a Vučić e Hoti, hanno partecipato anche il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel che insistono fermamente sulla necessità di arrivare a un accordo tra Pristina e Belgrado. “La normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia è un presupposto imprescindibile per la sicurezza e la stabilità della regione ed è di grande importanza per una futura adesione dei due paesi all’UE”, si legge in una dichiarazione congiunta di Macron e Merkel, che hanno sottolineato che la normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo deve comprendere “un accordo definitivo legalmente vincolante” e “le misure volte alla costruzione di un rapporto di fiducia” tra i due paesi.

I precedenti tentativi di far ripartire il dialogo tra Belgrado e Pristina, con la mediazione di Washington, sono andati a vuoto. Secondo fonti ben informate, questi tentativi si erano focalizzati sull’idea di uno scambio di territori tra Serbia e Kosovo, ma questa ipotesi è stata definitivamente abbandonata perché nel frattempo le circostanze sono cambiate. Il presidente del Kosovo Hashim Thaçi, che è stato a lungo il principale negoziatore kosovaro nel dialogo con la Serbia, ha perso gran parte della sua influenza [dopo essere stato incriminato per crimini di guerra dalla Corte speciale sui crimini dell’UÇK, ndt], mentre i suoi oppositori politici in Kosovo, sempre più forti, sono contrari a qualsiasi idea di divisione del Kosovo e hanno praticamente escluso Thaçi dal processo negoziale. Anche la Germania è contraria a uno scambio di territori tra Serbia e Kosovo e un eventuale rilancio di questa idea, per come stanno le cose adesso, sembra impossibile.

Un vicolo cieco

Pristina conta sull’appoggio dei paesi che hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, mentre Belgrado sembra essere abbandonata a se stessa. Vučić ha dichiarato che “la Serbia è l’unica ad avere una posizione diversa” nell’ambito del processo negoziale. Uno dei motivi delle divergenze riguarda l’uso della dicitura “Serbia-Kosovo” in riferimento ai negoziati tra i due paesi. La delegazione serba ha insistito sull’uso della formula “Belgrado-Pristina” perché la Serbia non riconosce l’indipendenza del Kosovo.

“Per noi è importante garantire la libera circolazione di merci e servizi, garantire [il raggiungimento di] molti piccoli accordi che cambieranno le relazioni tra serbi e albanesi […] Ci sono innumerevoli piccoli passi che possiamo intraprendere per migliorare le relazioni, questa è una buona tattica”, ha dichiarato Vučić.

È possibile che una via d’uscita dal vicolo cieco in cui sono finiti i negoziati venga cercata nella regolamentazione di alcuni settori, come quello dei trasporti, e nel rafforzamento della cooperazione economica tra i due paesi, ma ciò non sarà sufficiente per garantire la stabilità permanente della regione, su cui insistono sia Bruxelles che Washington.

A Vučić, che si confronta con problemi legati alla gestione della pandemia di coronavirus in Serbia e con una crescente resistenza dei suoi oppositori politici, gioverebbe focalizzarsi su questioni pratiche nell’ambito del dialogo con il Kosovo, perché così la questione dell’indipendenza del Kosovo verrebbe messa in secondo piano. Bisogna però tenere presente che in Kosovo stanno aumentando le tensioni tra i principali partiti e leader politici, e questa situazione rende più difficile la posizione di Pristina. Nel tentativo di mantenere e aumentare il consenso degli elettori, le principali forze e leader politici kosovari cercano di ottenere al più presto il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo [da parte dei paesi che ancora non hanno riconosciuto il Kosovo come stato sovrano, ndt] e l’ingresso all’ONU.

Per quanto riguarda lo status del Kosovo, un ruolo importante vi gioca la Russia, per cui molto dipenderà dagli accordi tra Mosca e Washington. La Russia ha la capacità di incidere anche sulle vicende politiche in Serbia e potrebbe usare la sua influenza per destabilizzare la regione. Ma probabilmente non lo farà se riuscirà a raggiungere un’intesa con altre potenze militari ed economiche che soddisfi i suoi interessi. In tal caso, Belgrado e Pristina sarebbero sottoposte a forti pressioni affinché raggiungano un accordo bilaterale.

Gli oppositori di Vučić a Belgrado ritengono che il presidente serbo abbia già promesso di riconoscere l’indipendenza del Kosovo e che ora non resti che finalizzare un accordo. Ma anche se questo fosse vero, la messa in pratica di un eventuale accordo è una questione molto delicata.

Russia

Durante i preparativi per l’annunciato vertice a Bruxelles, Vučić ha fatto intendere che il mantenimento di buoni rapporti con la Russia non è più una grande priorità per la Serbia. Vučić ha infatti evitato di prendere chiaramente le distanze dalle speculazioni secondo cui Mosca starebbe alimentando le proteste a Belgrado per inviare un messaggio a Vučić e avvisarlo di non riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Anche i tabloid serbi, che sono sotto il controllo del governo, hanno cominciato a speculare su possibili interferenze russe nelle proteste scoppiate la scorsa settimana a Belgrado e in altre città serbe. Mosca ha prontamente smentito tali speculazioni, ma non vi è alcun dubbio che la Russia è perfettamente consapevole dell’influenza esercitata dal governo serbo sui tabloid e sicuramente non si fida molto di Vučić.

Qualche giorno fa Vučić ha dichiarato che non ci sono prove di un’eventuale interferenza russa nelle proteste in Serbia, aggiungendo però che non gli piace quello che stanno facendo alcuni media russi, tedeschi e statunitensi, il che praticamente significa che non ha escluso la possibilità di un’interferenza russa, ma l’ha messa sullo stesso piano dell’influenza di altri paesi, limitandosi a esprimere un generico malcontento verso l’operato dei media.

Le speculazioni sulle interferenze russe in questo momento giovano a Vučić, che potrebbe approfittarne per dimostrare ai suoi partner internazionali che si trova in una situazione molto difficile e che la Russia sta cercando di indebolire la sua posizione. Bisogna però tenere a mente che Vučić non gode dell’appoggio dell’Occidente perché le potenze occidentali vorrebbero “salvarlo” dalla morsa della Russia, bensì perché si aspettano da lui che prenda le distanza da Mosca e che risolva la questione del Kosovo. Lo scopo dell’Occidente è quello di creare le condizioni per una stabilizzazione della situazione nella regione che sia in linea con i suoi interessi.

L’opposizione serba crede che Vučić cercherà di sfruttare le proteste scoppiate in Serbia a causa del deterioramento dello stato di diritto, della repressione della libertà dei media e del modo in cui la leadership al potere si comporta nei confronti dei suoi oppositori, politici e non solo, per presentarle come un altro motivo per cui non può accelerare il raggiungimento di un accordo sulla normalizzazione delle relazioni con il Kosovo. Tuttavia, il Partito progressista serbo (SNS), guidato da Vučić, ha conquistato più di due terzi dei seggi del parlamento alle elezioni politiche del 21 giugno scorso, per cui Vučić non avrà alcuna difficoltà a mettere in pratica qualsiasi sua decisione politica. Una vittoria così schiacciante dell’SNS può solo aumentare le aspettative dell’Occidente nei confronti di Vučić, che ormai da otto anni domina le vicende politiche ed economiche della Serbia.

Tuttavia, non c’è da aspettarsi che le potenze occidentali pongano un ultimatum a Vućić, né tanto meno che la questione del Kosovo venga risolta entro la fine di quest’anno. Una nuova fase nella risoluzione della crisi kosovara potrebbe prendere slancio dopo le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. A prescindere dal fatto che vinca Donald Trump o il suo sfidante, la politica statunitense nei confronti della Serbia rimarrà sostanzialmente uguale, basata cioè sulla richiesta di una normalizzazione delle relazioni con il Kosovo che, in ultima analisi, comporta anche il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo.


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