Stepanakert (foto Blackwych, Flickr)

I problemi della libertà di stampa, le tutele legislative e la dura realtà dei fatti in un territorio non riconosciuto, dove la retorica della guerra è ancora molto diffusa, e la diffusione di internet è molto limitata

08/01/2010 -  Gegam Bagdasaryan Stepanakert

In seguito alla dichiarazione d'indipendenza del 2 settembre 1991, il primo atto legislativo a segnare l'inizio di una nuova era per il giornalismo nel Nagorno Karabakh è stata la legge costituzionale "Principi fondamentali dello stato indipendente del Nagorno Karabakh". La legge, entrata in vigore nel gennaio del 1992, sancisce il riconoscimento, da parte della Repubblica del Nagorno Karabakh, dei diritti e delle libertà fondamentali del cittadino, inclusa la libertà di parola e il diritto all'informazione. La legge "Mezzi di comunicazione di massa ", entrata in vigore soltanto il 31 dicembre 1999, è di carattere democratico e permette ai media di esercitare liberamente la propria attività. Tuttavia, la legge prevede anche alcune restrizioni alla libertà di stampa e impone limiti all'attività dei mezzi d'informazione in stato di guerra e in situazioni d'emergenza. Nella Repubblica del Karabakh non si può ancora parlare di pace definitiva, e lo stato di guerra non è stato ancora revocato. Alcune disposizioni di legge speciali emanate espressamente per lo stato di guerra sono state però sospese; tra queste, appunto, alcune restrizioni imposte ai mass media e, in particolare, la disposizione che prevedeva l'imposizione della censura.

Inoltre, sono entrate in vigore anche altre leggi che regolano l'attività dei mass media, come quelle denominate "Televisione e radio", "Libertà d'informazione", "Della pubblicità", ecc. Riassumendo, la legislazione del Nagorno Karabakh in materia d'informazione può dirsi sufficientemente democratica, ma questo non è che un lato della medaglia: la pratica è come sempre più ricca di sfumature rispetto alla teoria, e la realtà può rivelarsi anche molto diversa da quanto previsto dalla legislazione.

In Nagorno Karabakh sono circa 50 gli organi di informazione registrati; a fare la parte del leone è la stampa cartacea. Questo segmento dei mass media è caratterizzato al suo interno da un discreto grado di diversificazione: oltre agli organi di stampa "di stato" (statali, regionali e locali) ci sono i giornali di partito (in Nagorno Karabakh sono attivi circa dieci partiti politici), i giornali dell'Unione degli Scrittori e di altre associazioni, la rivista "Che fare" e diverse riviste di stampo commerciale. Inoltre, nel 1999-2000 ha visto la luce il quotidiano d'opposizione "Decimo governatorato" ("10-aja gubernija"), mentre tra il 2004 e il 2008 è stata pubblicata la rivista "Demo".

Tra i mass media elettronici invece tale diversificazione non esiste: a prevalere è infatti la compagnia radio-televisiva "Artsach". La televisione pubblica trasmette 3 ore al giorno. Per quanto riguarda la radio, ci sono solo alcune stazioni che trasmettono in FM dedicate a programmi musicali, messaggi pubblicitari e trasmissioni d'intrattenimento.

Il quotidiano di stato "Azat Artsakh", la televisione e la radio pubblica rappresentano i principali organi di comunicazione del Nagorno Karabakh. Una curiosità: la radio e la televisione del Karabakh insieme non contano 100 anni di esistenza. Il 22 dicembre 2008 a Stepanakert si è tenuta una cerimonia ufficiale per festeggiare l'80° anniversario dalla nascita della prima radio e il 20° anniversario dalla nascita della prima televisione del Karabakh. Come ha dichiarato il Presidente della Repubblica Bako Saakijan in occasione della cerimonia "Lo stato farà tutto ciò che è in suo potere perché le condizioni dei lavoratori della radio e della televisione pubbliche del Nagorno Karabakh e la strumentazione tecnica a loro disposizione migliorino sempre più. Da voi dipende soltanto una cosa: che la parola 'pubblica' non resti soltanto una definizione, ma che esprima la vera essenza dei nostri mezzi d'informazione, vale a dire essere sempre al servizio dei cittadini".

Tuttavia, tale auspicio per ora sembra ben lontano dal tradursi in realtà. Nel 2004 la televisione di stato del Nagorno Karabakh è divenuta ufficialmente una televisione indipendente. Pare tuttavia che si sia trattato soltanto di un cambiamento di facciata: la televisione era e resta un canale di comunicazione dello stato, che non offre all'opinione pubblica l'intero spettro di opinioni, idee e posizioni politiche presenti sia in Karabakh che all'estero.

Tra il 2004 e il 2008, con l'aiuto finanziario offerto dall'organizzazione britannica "Сonciliation Resources" è stato pubblicato il primo giornale indipendente del Karabakh: Demo. Dopo circa 5 anni di attività la redazione ha tuttavia deciso di sospendere la pubblicazione del quotidiano. Demo rappresentava davvero un'oasi di libertà di pensiero e una tribuna politica autenticamente libera; ma proprio per questo motivo i giornalisti si sono presto resi conto del rischio di polarizzazione. In un contesto che non offriva alternative e in cui la linea governativa era dominante, Demo, un giornale nato per essere indipendente, iniziò presto ad essere considerato un vero e proprio strumento dell'opposizione. Non solo: la redazione di Demo e chiunque vi gravitasse intorno venivano automaticamente bollati come dissidenti. I "Demo"-cratici (così si autodefinivano per scherzo i collaboratori del quotidiano) non ritenevano che questa fosse la propria missione; inoltre, questa situazione sembrava impedire il normale sviluppo della scena politica del paese e di una normale opposizione. "La chiusura di Demo obbligherà altre realtà ad emergere", hanno dichiarato i giornalisti nel comunicato che annunciava la chiusura del giornale.

Ma in Karabakh non è facile né emergere né restare a galla, visto che i principali problemi dei media cartacei sono lo scarso tiraggio e un sistema di distribuzione inadeguato (nei quasi vent'anni trascorsi dal crollo dell'Urss, non si è ancora riusciti a creare niente di paragonabile al capillare ed efficace sistema di distribuzione sovietico), oltre allo scarso sviluppo del mercato della pubblicità e il risicato potere d'acquisto della popolazione.

Negli ultimi anni in Karabakh si è registrato un certo progresso nell'uso della rete Internet. Secondo un recente sondaggio statistico oggi il 10% della popolazione fa uso di Internet. Gli strumenti giuridici che regolano il funzionamento dei media virtuali sono la legge denominata "Dei mass media elettronici", la licenza rilasciata alla "Karabakh-Telecom" per decreto governativo, nonché le disposizioni emesse dalla Commissione per la Regolamentazione dei Servizi alla Comunità. Tutti i principali organi di informazione su carta stampata del paese hanno i propri siti Internet; per ora invece non esistono radio o televisioni che trasmettono sul web. Per quanto riguarda i siti d'informazione esclusivamente on-line, si contano sulle dita di una mano. Due anni fa è stato chiuso il più popolare di questi siti, "Karabakh-open". Non vi sono neppure siti a pagamento di questo tipo. Un importante ostacolo allo sviluppo della rete Internet e dei mass media on-line in Karabakh sembra essere il monopolio assoluto esercitato da "Karabakh-Telecom", che non ha concorrenti in Karabakh.

Quali possono essere le politiche in materia d'informazione in un paese come il Nagorno Karabakh, uno stato de facto la cui indipendenza non è riconosciuta e che si trova sotto costante minaccia di aggressione militare da parte dell'Azerbaijan? Da una parte è palese che, in un paese isolato e non riconosciuto, l'informazione riveste un ruolo doppiamente importante, ed è assolutamente necessario garantire che i media svolgano il proprio lavoro in totale sicurezza. D'altra parte, per ora non sono state intraprese iniziative concrete in questo senso.

Ultimamente, la situazione sembra però avere registrato dei cambiamenti. Oggi in Karabakh il tema delle politiche in materia d'informazione sembra finalmente essere entrato nell'agenda politica del paese. Il tema ha anzi assunto un'importanza tale da essere davvero sulla bocca di tutti. Sembra addirittura che si sia passati da un estremo all'altro: se prima l'argomento sembrava non interessare nessuno, adesso ovunque si vada, negli uffici pubblici o per strada, la gente lascia quello che stava facendo per mettersi a discutere della realizzazione di "politiche dell'informazione". Ma resta comunque il problema che affinché istituti democratici e media liberi possano effettivamente stabilirsi è fondamentale che vi sia un sistema economico sviluppato e funzionante.

Inoltre, quando si parla di libertà di stampa emerge un ulteriore questione: chi parla di "politiche dell'informazione" spesso si riferisce unicamente al modo di reagire alle provocazioni della propaganda azera. I giornalisti si lamentano spesso di essere costretti ad esprimersi in modo troppo mite, mentre i colleghi azeri sono sempre più aggressivi e prepotenti. Indicativo del livello a cui si è arrivati è una dichiarazione resa da un politico che si sta concretamente occupando di delineare una politica dell'informazione per il Nagorno Karabakh: "Alcuni giornalisti azeri ci spingono non alla pace, ma alla guerra. E quando ti aggrediscono, hai soltanto due alternative: o ti metti anche tu a combattere oppure ti arrendi, riconoscendo la superiorità dell'avversario. Qualsiasi riconciliazione, anche quella dei media, prevede come minimo due forze in campo: invece l'"armenofobia" aggressiva sembra essere assurta al rango di politica ufficiale in Azerbaijan".

Ad ogni modo, molti in Karabakh non sono d'accordo sulla modalità in cui viene posta la questione, in termini di "la guerra è la guerra". In primo luogo perché se si parla di politiche messe in atto dall'Azerbaijan, allora occorre tirare in ballo i politici, e non i giornalisti. In secondo luogo, da parte nostra, dobbiamo semplicemente cercare di dimostrare di essere migliori, più civili e democratici. Non abbiamo altra scelta, e soltanto in questo modo potremo operare affinché il Karabakh possa realizzarsi e possa essere considerato democratico. Come ha detto in proposito un mio collega: "Paragonarsi all'Azerbaijan non ha alcun senso, specialmente in materia di libertà di parola".


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