Srećko Horvat-  foto Petar Marković/wikimedia

Srećko Horvat-  foto Petar Marković/wikimedia

"Affinché l’umanità sopravviva è necessario abbandonare la ristretta logica del nazionalismo e dello stato-nazione, perché l’unico futuro possibile è un futuro transnazionale" intervista al filosofo e attivista croato Srećko Horvat

11/03/2022 -  Goran Borković

(Originariamente pubblicato da Novosti , il 4 marzo 2022)

Nelle scorse settimane i media occidentali hanno continuato a ripetere, come pappagalli, che l’aggressione russa all’Ucraina è il primo conflitto in Europa dopo la Seconda guerra mondiale, quasi si fossero scordati delle guerre di dissoluzione jugoslava. È vero però che le guerre jugoslave potrebbero finire per essere considerate “una piccola scaramuccia” rispetto a quello che potrebbe accadere in Ucraina. Secondo lei, come evolverà la situazione?

Noi, che apparteniamo alla generazione cresciuta durante la sanguinosa dissoluzione della Jugoslavia – una dissoluzione contrassegnata da crimini terrificanti, pulizia etnica e genocidio – rimaniamo particolarmente sconcertati di fronte alla tendenza a ripetere affermazioni banali secondo cui quanto sta accadendo in Ucraina sarebbe il primo conflitto sul suolo europeo dopo la Seconda guerra mondiale. Una guerra non può e non deve mai essere considerata “una piccola scaramuccia” rispetto ad un’altra guerra. Ogni guerra – come ben dimostra il caso dell’ex Jugoslavia – apre le porte dell’inferno che poi non si chiudono nemmeno dopo un secolo dalla conclusione del conflitto, figuriamoci dopo tre decenni. La guerra è un crimine. La guerra miete vittime tra giovani e anziani, distrugge vite umane e costringe milioni di persone a fuggire, persone che poi devono ricominciare da capo, perché ciò che è stato distrutto non può mai più essere recuperato e il trauma rimane per sempre.

Con la guerra in Ucraina siamo davvero entrati in una nuova epoca. Il rischio di uno scontro tra potenze nucleari non è mai stato così alto negli ultimi trent’anni. Lo dimostra chiaramente il fatto che lo scorso 28 febbraio il Pentagono ha dichiarato il cosiddetto DEFCON 2 [il livello di allerta delle forze armate statunitensi appena al di sotto della massima prontezza, le truppe devono essere pronte a intervenire in sei ore] che ad oggi è stato attivato solo in due occasioni, durante la crisi dei missili a Cuba e durante la guerra del Golfo. Nel frattempo, il livello di allerta è tornato a DEFCON 3, ma le probabilità che le superpotenze nucleari entrino in conflitto e che si verifichi un disastro nucleare ancora peggiore di quello di Černobyl aumentano ogni giorno che passa. Qualche giorno fa le forze di Putin hanno preso il controllo della più grande centrale nucleare d’Europa, quindi, purtroppo, mi sembra che sia giunto il momento di ricordare il filosofo tedesco Günther Anders e la sua celebre affermazione del 1986: “Černobyl è dappertutto”. Oggi possiamo dire che Zaporizhzhia è dappertutto. La catastrofe nucleare non conosce confini.

Nonostante i tamburi di guerra fossero tornati a rimbombare negli ultimi mesi, in pochi credevano che Putin avrebbe attaccato l’Ucraina. Lei come giudica la mossa di Putin?

Condanno l’aggressione di Putin all’Ucraina e ormai da anni considero Putin un criminale di guerra, già da quando, nel 1999-2000, aveva raso al suolo la città di Grozny pur di conquistare un altro mandato presidenziale. Sia il martoriato popolo ucraino sia i cittadini russi che si oppongono alla guerra e alla politica di Putin meritano tutto il nostro sostegno. Oltre al sostegno, è nostro dovere storico lottare per la pace, non solo in Europa. La guerra in Ucraina, essendo strettamente legata allo scontro tra Putin e Nato, avrà forti ripercussioni che si faranno sentire in tutto il mondo, compresa la regione dei Balcani. Oggi più che mai è importante impegnarsi per evitare che l’ideologia dell’odio e del nazionalismo prenda nuovamente il sopravvento e che i piccoli paesi, come quelli post-jugoslavi, diventino mere pedine in uno scontro tra grandi potenze o che intraprendano una strada diametralmente opposta, ossia che si illudano di essere grandi potenze. Uno scenario, quest’ultimo, che potrebbe rivelarsi fatale in un contesto così fragile come quello post-jugoslavo dove non si sono ancora rimarginate nemmeno le ferite della Seconda guerra mondiale, per non parlare di quelle lasciate dalla guerra degli anni Novanta.

Come commenta la risposta dell’Occidente all’aggressione del regime di Putin all’Ucraina? L’Occidente ha reagito in modo unito e compatto, come raramente accaduto in passato...

Oggi sempre più spesso assistiamo al diffondersi di una sorta di Denkverbot – termine tedesco, che fa rabbrividire, per indicare “divieto di pensare” – come dimostra il fatto che chiunque critichi la Nato viene subito accusato di appoggiare Putin. Occorre però sottolineare che il cosiddetto Occidente è in gran parte responsabile per la creazione del contesto che ha reso possibile l’attuale disastro in Ucraina. Qualche anno fa l’ex segretario di stato degli Stati Uniti Henry Kissinger, che io francamente considero un criminale di guerra, aveva affermato che “l’Occidente deve capire che, per la Russia, l’Ucraina non potrà mai essere un paese straniero”, aggiungendo però che “l’Ucraina non dovrebbe entrare nella Nato, bensì mantenere uno status internazionale simile a quello della Finlandia”. La cosiddetta “finlandizzazione” indica una posizione di neutralità come quella assunta appunto dalla Finlandia, ma anche da altri paesi come Svezia, Austria e Svizzera. L’Ucraina aveva invece scelto la Nato, anziché la neutralità politica, già nel 2014. Se Kiev e l’Occidente avessero ascoltato i consigli non solo di Kissinger, ma anche di molti altri politologi statunitensi, come ad esempio John Mearsheimer – che avevano più volte messo in guardia sul fatto che l’espansione della Nato verso est avrebbe aumentato il rischio di uno scontro tra potenze nucleari – forse sarebbe stato possibile evitare la guerra. Non c’è quindi da stupirsi se il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, minacciando “l’Occidente”, ha avvertito che, qualora dovesse scoppiare una terza guerra mondiale, sarà una guerra nucleare.

Contemporaneamente alla guerra in Ucraina – che è già di per sé sufficientemente lacerante, così come è lacerante anche la sofferenza del popolo russo che si oppone alla politica di Putin – assistiamo al dilagare di un’altra guerra nella semiosfera, ossia nella sfera dei segni. Una guerra che si manifesta con massima chiarezza nel linguaggio utilizzato dai principali mezzi di informazione, ma anche sui social.

Riesce a immaginare come sarà il mondo dopo la guerra in Ucraina? Sicuramente cambierà...

Come una volta disse Lenin – mi permetto di citare un russo pur non essendo sicuro se ciò sia ancora lecito nell’epoca del Denkverbot – “ci sono decenni in cui non accade nulla e settimane in cui accadono decenni”. Purtroppo, negli ultimi tre decenni sono accadute molte cose: la sanguinosa dissoluzione della Jugoslavia, la guerra in Somalia, la guerra del Golfo, il genocidio in Ruanda, l’invasione dell’Afghanistan, le guerre in Iraq, Siria, Libia, Yemen e in tanti altri paesi che hanno vissuto un inferno.

Oggi, quando lo scorrere del tempo è misurato in settimane, il mondo è più vicino che mai alla distruzione totale, considerando la crisi climatica e la minaccia nucleare. Dobbiamo però sforzarci di mantenere la mente lucida e di rimanere calmi di fronte alla valanga di informazioni e notizie false che non fa altro che contribuire al diffondersi di una vera e propria pandemia della paura e all’intensificarsi della polarizzazione della società. Oltre ad un nuovo movimento pacifista internazionale, dobbiamo dare vita anche ad un forte movimento antinucleare che, agendo in simbiosi con il movimento ambientalista globale, forse potrebbe raggiungere l’impossibile, ossia una pace tra gli esseri umani che al contempo permetta loro di vivere in pace anche con gli altri esseri viventi e con il pianeta stesso. Paradossalmente, solo ciò che sembra impossibile ci può salvare.

In Occidente, compresa la Croazia, si sta sempre più diffondendo una vera e propria russofobia. Ritiene che questa ondata di russofobia possa sfociare in una qualche forma di persecuzione delle persone la cui unica colpa è quella di appartenere al popolo “sbagliato”?

Assistiamo ad una deplorevole demonizzazione del popolo russo. Nella sua opera di rilevanza epocale Lingua Tertii Imperii, Victor Klemperer afferma che le parole possono essere come piccole dosi di veleno perché “vengono deglutite senza accorgersene, apparentemente non suscitano alcun effetto, ma poi dopo un po’ di tempo inizia la reazione tossica”. Quando Putin parla della “denazificazione” dell’Ucraina, si sforza consapevolmente di utilizzare il linguaggio come arma da guerra, identificando il popolo ucraino con i nazisti. Al contempo però anche noi, ogni volta che, leggendo i giornali, ci imbattiamo in titoli del tipo “I russi hanno bombardato...”, accettiamo, seppur inconsapevolmente, la tendenza a confondere il regime di Putin con l’intero popolo russo, comprese diverse migliaia di persone che oggi si trovano in carcere perché hanno osato opporsi alla politica di Putin, svariati milioni di cittadini russi che pagheranno le conseguenze delle sanzioni, ma anche i russi che vivono all’estero e che sono già diventati vittime di intimidazioni. Non bisogna mai identificare un intero popolo con un criminale di guerra.

Se agli artisti e scienziati russi viene impedito di lavorare in Europa, se un ciclo di lezioni su Dostoevskij, previsto all’interno di un corso universitario, viene "cancellato", allora è chiaro che la situazione è grave. Una situazione che sembra un déjà vu, considerando tutto ciò a cui abbiamo assistito durante le guerre degli anni Novanta. Anche allora, non solo i libri di Marx ed Engels, ma anche quelli di Tolstoj e Dostoevskij venivano gettati per strada solo perché “russi”, quindi scomodi. Dobbiamo condannare qualsiasi forma di russofobia, ma anche ogni forma di odio nei confronti di chi appartiene ad un “popolo sbagliato”.

Se gli extraterrestri dovessero arrivare sul nostro pianeta – anche se suppongo che le creature extraterrestri evitino la Terra allo stesso modo in cui noi evitiamo la peste – e se poi dovessero mettersi a leggere le poesie di Majakovskij e i romanzi di Dostoevskij, ad ascoltare la band Kino e a guardare i film di Tarkovskij, giungerebbero alla conclusione che l’umanità può considerarsi felice perché sul suo straordinario pianeta hanno vissuto tali giganti dell’arte. Affinché l’umanità sopravviva è necessario abbandonare la ristretta logica del nazionalismo e dello stato-nazione, perché l’unico futuro possibile è un futuro transnazionale, ossia globale.

Tutti i nostri approfondimenti nel dossier "Ucraina: la guerra in Europa"


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