Nel novembre dell'anno scorso è stato aperto a Sarajevo l'Ex-Yu Rock Centar. Un museo che aspira a raccontare la storia della scena rock jugoslava passata e presente, e diventare punto di riferimento culturale per la città e la regione
(Originariamente pubblicato da Meridiano 13 )
Lo scorso 29 novembre ha aperto l’Ex-Yu Rock Centar a Sarajevo. La mostra di apertura – intitolata Šokiraš me majke mi! (Mi sconvolgi, giuro!) che copre gli anni d’oro della scena sarajevese – nasce dal lavoro di donne e uomini, della regione e non, desiderosi di raccontare un’altra faccia della città di Sarajevo e della Bosnia Erzegovina attraverso le note della musica rock che qui si sviluppò negli anni Settanta e Ottanta, plasmando la colonna sonora di un paese che oggi non esiste formalmente più ma che, tuttavia, sopravvive ancora dalla Slovenia alla Macedonia del Nord.
Valery Perry, freelance americana con un lungo curriculum di esperienze nell’ambito della ricerca e della promozione di progetti volti alla riconciliazione nei Balcani, è una delle promotrici dell’iniziativa. L’Ex-Yu Rock Centar nasce dallo sforzo di un gruppo di persone, cittadini di Sarajevo, della Bosnia e stranieri che condividono una passione. «Era un po’ di tempo che discutevamo tra di noi a proposito della passione che proviamo per la musica rock della regione e su cosa potessimo fare per preservare e promuovere il rock jugoslavo non solo in Bosnia Erzegovina, ma in tutti i Balcani occidentali. Ci sono stati diversi tentativi negli anni volti a istituire qualcosa come un museo, ma nessuno di essi è mai andato a buon fine. Solo qualche settimana prima dell’inizio della pandemia ci siamo ritrovati per formare un’associazione, chiamata Ex-Yu Rock Society (EYRS), per trasformare in realtà questa idea che avevamo. La pandemia ci ha rallentati e così il progetto ha visto un’accelerazione solo nei primi mesi del 2022» racconta Valery Perry.
L’Ex-Yu Rock Centar nasce con una vocazione internazionale frutto della cooperazione di persone e realtà provenienti da diversi territori. Ciò che potrebbe sembrare un paradosso, l’ammirazione da parte di stranieri per un certo tipo di musica intimamente legata a una regione e a un passato particolare, per Perry non è così. Valery respinge l’idea che questa iniziativa rientri nel grande filone della jugonostalgia: «Direi che questo tipo di musica ha certamente dei legami regionali, ma non può essere etichettata semplicemente come “jugonostalgica”. Penso che si tratti semplicemente di buona musica. Se un quindicenne ascolta i Rolling Stones nessuno penserebbe che sia nostalgico, ma solo che apprezza Mick Jagger. Penso che qui si tratti della stessa cosa: il rock che si è sviluppato nella regione a partire dai Sessanta e che ha vissuto la propria golden age negli anni Settanta e Ottanta aveva la medesima qualità del tipo di musica che si è affermata negli stessi anni nel mondo di lingua inglese. In termini di creatività e innovazione, la Jugoslavia ha prodotto una prestigiosissima cultura rock che sopravvive ancora oggi se si pensa a quanto siano evergreen certi riff di chitarra o certe melodie».
In quel determinato periodo storico si sviluppò la scena musicale dell’ex-Jugoslavia riunendo in uno spazio tra Europa occidentale, Stati Uniti e tutti quei paesi al di là della cortina di ferro spunti provenienti da oltreoceano ed emancipandosi allo stesso tempo da essi.
Valery individua due principali peculiarità di questa musica: la vasta rielaborazione musicale e la contaminazione con la cultura popolare. «È importante ricordare come la Jugoslavia sia a lungo stata una regione in grado di riunire il meglio dell’est e dell’ovest e tutto ciò ha creato un enorme spazio per la creatività culturale. Rispetto agli altri paesi oltre la cortina di ferro inoltre qui si respirava una maggiore libertà, c’era ad esempio una cultura hippie creativa. Tutto questo ha gettato le basi affinché i giovani potessero esplorare e creare qualcosa di nuovo. Per esempio, parlando con la gente, sembra che praticamente tutti a Sarajevo avessero una band prima della guerra perché tutti avevano un amore per questa musica».
L’obiettivo a lungo termine dell’Ex-Yu Rock Centar dovrebbe essere raggiunto pienamente nel 2024. Il fine è quello di «renderlo molto più di uno spazio espositivo. Vogliamo raccontare tutta la storia del passato e del presente del rock nell’ex Jugoslavia. Adesso occupiamo seicento metri quadri per raccontare solo la storia del rock a Sarajevo, probabilmente solo il venti percento di tutta la faccenda. Al di là delle esibizioni, in futuro stiamo pensando di ospitare dei jamming-space dove chiunque possa venire per suonare, delle sale prove dedicate alle band che non hanno uno spazio per incontrarsi, un bar dove le persone possano ritrovarsi ascoltando della buona musica e un negozio che venda libri, souvenir e magliette».
L’intento è quello di trasformare l’Ex-Yu Rock Centar in una sorta di hub culturale della città di Sarajevo che possa anche sviluppare un nuovo tipo di turismo. Nella città nota all’estero soprattutto per il lungo assedio di cui è stata vittima nella storia recente si tratta di un obiettivo ambizioso se si pensa al fatto che la maggior parte dei musei qui sono dedicati alla guerra. Così da una parte la città decide di mostrarsi attraverso il capitolo più doloroso del proprio passato e dall’altra il turista che visita Sarajevo sa di poterci trovare delle sopravvivenze di questo passato traumatico. Questo circolo vizioso assume degli aspetti paradossali se si considera come e quanto il paese abbia fatto i conti con l’eredità della guerra: il ricordo dei drammi collettivi confligge con la difficoltà di costruire una memoria condivisa attorno ad essi.
È la stessa Valery Perry a sottolineare questo aspetto affermando che «Sarajevo è molto più di questo. Mi preoccupa il fatto che gran parte delle risorse turistiche siano destinate a raccontare uno dei peggiori periodi storici della città invece di raccontare della creatività, della diversità, dell’innovazione che hanno caratterizzato questa città». Continua Valery dicendo che «molti politici della regione sembra che abbiano pochi interessi nel futuro, nel riconciliarsi col passato e nell’ammettere il proprio ruolo nelle atrocità commesse. La musica mostra che a livello della gente comune esiste un’altra realtà. È importante in ogni contesto fare distinzioni tra i politici e le persone comuni: sono passati trent’anni, trent’anni in cui la politica è rimasta la stessa e la gente ha imparato a sopravvivere nelle situazioni difficili. La musica trascende questo tipo di differenze. Il rock jugoslavo è un tipo di musica che unisce i popoli di una regione che è stata violentemente divisa dalla guerra».
«Bisogna ricordare però come sia popolare, in tutta la regione, anche un genere musicale totalmente differente: il turbofolk. Questa musica suona nelle kafane e nei locali di tutta la regione». Perry nota che vi sono fan di entrambi i generi in tutti i paesi dell’ex Jugoslavia. È suggestiva la comparazione che Perry compie con il genere turbofolk, una corrente musicale successiva che si diffuse negli anni Novanta contribuendo alla propagazione di messaggi d’odio e sviluppando un sentimento nazionalista. Per Perry «chi ama il rock spesso odia il turbofolk, sia per lo stile musicale, ma anche per la cultura che questo rappresenta».
La differenza essenziale riguarda i testi delle canzoni. Quelli delle canzoni turbofolk sono spesso pieni di richiami populisti, nazionalisti, a volte si riferiscono ad un certo tipo di quasi-gangster culture che si sviluppò nei Balcani occidentali così come in altri contesti. Parallelamente, i fan del rock riconoscono che i testi di molte canzoni del genere hanno qualcosa a che fare con la poesia, con sfumature più profonde di significato e con melodie e ritmi più complessi. Qualunque sia il genere che un ascoltatore preferisce, bisogna riconoscere il fatto che la musica trova sempre un modo per oltrepassare i propri confini.
L’Ex-Yu Rock Centar dunque guarda al passato per costruire un nuovo futuro per la città di Sarajevo e per i Balcani post jugoslavi. Nella capitale più jugonostalgica della regione, una città che conserva numerosi cimeli del proprio passato – dalla strada principale ancora intitolata al Maresciallo Tito, alla fiamma eterna che simboleggia la fratellanza dei popoli slavi del sud, fino alle numerosissime sopravvivenze jugoslave che si incontrano in bar e ristoranti – sono in molti coloro che rimpiangono, per diversi motivi, gli anni precedenti alla guerra.
Valery precisa tuttavia che «questo non è un progetto jugonostalgico, così come per esempio il Rock and Roll Hall of Fame a Cleveland non è nostalgico del rock and roll». Sottolinea però l’importanza del fenomeno: «Il fenomeno della jugonostalgia è presente in tutta la regione, anche in paesi come la Slovenia che spesso si ritiene abbiano avuto “storie di successo” dopo la parentesi jugoslava. È un fenomeno complesso che ha molte radici, alcune di esse affondano nella storia della Jugoslavia, altre nelle conseguenze della guerra, ma che va anche capito nel contesto della globalizzazione. Per esempio molti rimpiangono il senso di sicurezza che si respirava in quei tempi: la sensazione di ricevere un giusto salario, di riceverlo in tempo, ogni mese, qualcosa che adesso non è per niente scontato. Per non parlare del servizio sanitario, che magari non era il massimo, ma tutti ne avevano diritto. La società funzionava. Si può anche argomentare che prima della guerra vi era una maggiore meritocrazia, nel senso che anche un bambino nato in un villaggio aveva la possibilità di aspirare ad una mobilità sociale – qualcosa che sta diventando sempre più difficile in questa età di disuguaglianze. Credo sia dunque normale guardarsi indietro con un certo sguardo nostalgico al passato e che sia comprensibile che in particolar modo i giovani facciano lo stesso, non vedendo attorno a loro molte prospettive. Si può fare un paragone anche con i paesi occidentali in cui crescono le divisioni nel tessuto sociale a causa dell’insoddisfazione nei confronti della società post-industriale, riabilitando discorsi e temi legati al passato. In questo senso ritengo che noi possiamo imparare da questa regione per evitare di commettere gli stessi errori».
Il 20 dicembre l’Ex-Yu Rock Centar ha inaugurato una nuova mostra. Perry afferma: «Nei giorni scorsi abbiamo aperto una mostra dedicata all’album Odbrana i poslenji dani degli “Idoli”, una delle più famose band di Belgrado. Innanzitutto si tratta di un ottimo album, apprezzato sia dai fan che dalla critica musicale. Si pensi poi a qualcuno che visita Sarajevo dalla Serbia (o anche da Banja Luka), con nozioni preconcette sulla città plasmate dai racconti che la propaganda ne ha fatto negli anni. Visitando questa mostra e osservando una seria e rispettosa presentazione di quest’album, gli sarà chiaro che questa città è una città di cultura che apprezza tutto il variegato mondo del rock, dove le persone ascoltano la musica in base alla sua qualità e creatività. Il visitatore realizzerà così che le parole della propaganda in realtà non corrispondevano al vero».
L’Ex-Yu Rock Centar dunque è un progetto di ampio respiro che guarda al futuro costruendolo sulla ricchezza della musica del passato. In una città dove la storia si mostra in ogni strada e in una regione che viene abbandonata dai giovani in cerca di migliori opportunità economiche, stanchi della corruzione e desiderosi di un futuro positivo, questo progetto mira a dare vitalità alla cultura e all’ambiente urbano ponendosi come punto di riferimento culturale. La sua esistenza e il successo riscosso dalle prime settimane di apertura testimoniano la possibilità di raccontare un’altra faccia di Sarajevo: quella di una città che è stata per anni centro di propagazione di una controcultura balcanica.
Raccolta fondi
L’ Ex-Yu Rock Centar ha avviato una nuova campagna a sostegno delle proprie attività, proponendo diversi pacchetti di membership:
Per sostenere il centro si veda al link .
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!
blog comments powered by