Avvoltoi a Madzharovo, Bulgaria - © Ondrej Prosicky/Shutterstock

Avvoltoi a Madzharovo, Bulgaria - © Ondrej Prosicky/Shutterstock

Sacri per gli Egizi, disprezzati in tempi moderni, gli avvoltoi sono oggi presenti in tutti i paesi dei Balcani come elemento fondamentale degli ecosistemi. A metterne a rischio il futuro sono però gli avvelenamenti, che li vedono vittime collaterali dei conflitti tra uomo e natura

19/01/2024 -  Marco Ranocchiari

Non c'è dubbio che dai tempi degli Egizi, che li consideravano sacri a Iside e per i quali incarnavano l'eterno ciclo di morte e rinascita, la considerazione verso gli avvoltoi sia nei secoli alquanto peggiorata. Eppure la scienza conferma che il contributo degli "spazzini" nel funzionamento degli ecosistemi è fondamentale.

"Rimuovere le carcasse, e con esse gli agenti patogeni, dà un beneficio diretto all'ambiente, ma anche alle persone. Sono servizi ecosistemici non abbastanza apprezzati né conosciuti", spiega il biologo Uroš Pantović, coordinatore del progetto che coinvolge Albania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Grecia, Serbia e Macedonia del Nord. "Proprio per la loro sensibilità alle sostanze tossiche, gli avvoltoi sono inoltre - continua - delle 'specie bandiera' che indicano lo stato di salute dell'ambiente".

Le dimensioni del problema

"La maggior parte delle popolazioni di avvoltoi nella Penisola balcanica a metà degli anni '90 erano praticamente estinte, proprio a causa degli avvelenamenti. Solo da allora - spiega Pantović - associazioni ambientaliste, scienziati e istituzioni hanno iniziato con convinzione ad affrontare il problema". È difficile quantificare la reale diffusione di queste pratiche illegali, ma secondo uno studio realizzato nell'ambito del progetto, verosimilmente nella penisola ogni anno gli avvoltoi avvelenati sono oltre 115. Gli atti di avvelenamento documentati tra il 1998 e il 2018 sono almeno 227, ma avrebbero portato - dato che a nutrirsi di una carcassa sono in genere più individui - alla morte di oltre quattrocento uccelli.

Considerando, però, che secondo le stime viene scoperto solo il 20% degli incidenti, il numero reale potrebbe essere molto maggiore, intorno ai 2300. La specie più colpita (385 individui documentati) è il grifone, la seconda il capovaccaio con 36, la terza l'avvoltoio monaco (12) e l'ultima il gipeto, con una sola vittima. I dati però vanno rapportati con l'entità delle popolazioni: del gipeto, ad esempio, resistono appena una manciata di coppie riproduttive nella sola isola di Creta.

E non è una buona notizia ricordare che questi numeri tutt'altro che trascurabili non siano un'esclusiva dei Balcani ma tutto l'areale di questi animali, dall'Europa centrale all'Africa, ad esempio, dove gli scienziati hanno persino coniato il termine di African Vulture crisis".

Vittime collaterali

A dispetto dell'immeritata fama di uccelli del malaugurio, gli avvoltoi non generano alcun conflitto e, per questo, sono raramente presi di mira. A esserlo sono, invece, mammiferi come lupi, sciacalli dorati, orsi e volpi, oltre, naturalmente, ai roditori. Le modalità di avvelenamento sono fin troppo banali, ma messe in pratica con triste fantasia: nei Balcani, si legge nello studio, variano dalle intere carcasse di animali morti (per lo più capi d'allevamento, ma anche selvaggina e pollame), alle singole parti del corpo ai bocconi di carne di varie dimensioni.

Non mancano le salse, le uova sode, il pesce, il miele imbevuto di composti tossici. I quali sono, per la maggior parte, pesticidi ormai fuori legge ma che si trovano facilmente online o nei mercati delle aree rurali, a testimoniare che, dai tempi in cui le campagne di avvelenamento degli animali "nocivi" era sovvenzionata dai governi (fino agli anni '70-'80) le scorte non si sono esaurite.

Se un tempo la sostanza principale era la stricnina, oggi prevalgono i pesticidi del gruppo dei carbammati, e tra questi il carbofuran, protagonista di quasi un avvelenamento su due, seguito dal metomil, usato soprattutto in Grecia, dove si usa anche il cianuro di potassio.

Qualunque siano la loro natura e provenienza le tossine finiscono quasi sempre per arrivare agli avvoltoi, in fondo alla catena alimentare. Tra le vittime collaterali, però, figurano anche altri rapaci come la poiana comune (392 avvelenamenti documentati), l'aquila di mare (111) e il falco di palude (89), senza contare gli animali domestici nonché l'inquinamento di suolo e acqua.

Difficile quantificare i danni diretti sulle persone, ma pochi grammi delle sostanze utilizzate basterebbero a fare una strage. Ad ogni modo, in un altro studio nell'ambito del progetto, in dieci anni i pesticidi hanno fatto intossicare almeno duemila persone nei Balcani uccidendone undici.

Le cause: conflitto con la fauna selvatica e negligenza

Nella maggior parte dei casi trovare un'esca o una carcassa non basta ad attribuire univocamente una causa all'atto criminale che è stato compiuto. Quando è possibile, in tutti i Paesi partner la prima motivazione è però sempre la stessa: il conflitto con i mammiferi predatori, principalmente lupi, volpi e sciacalli, ma anche orsi e martore. Difficile disegnare una mappa delle zone più colpite perché - spiega Pantović - il numero di casi scoperti è sempre direttamente proporzionale al tempo e al personale dispiegato.

Ad ogni modo ogni Paese ha le sue peculiarità. Se da un lato la Grecia è stata a lungo rifugio di molte specie (le ultime coppie riproduttive di gipeto si trovano tuttora a Creta) dall'altro è uno dei Paesi in cui gli avvelenamenti appaiono più diffusi, e guida infatti la sinistra classifica degli avvelenamenti compilata nel progetto. Nel Paese, dove le esche sono illegali solo dal 1993, sono diffusi (come in Macedonia del nord) anche gli avvelenamenti ai danni di cani randagi e se ne riscontrano persino diretti al bestiame di allevatori rivali. Oggi la consapevolezza è molto più alta, grazie a uno sforzo imponente da parte di scienziati e ong ambientaliste e a progetti Life come The return of the Neophron, dedicato al capovaccaio, ma l'incidenza resta altissima.

La Bulgaria, grazie ancora a progetti Life, tra cui Back to Life e un'attenta pianificazione della Rete di aree protette Natura 2000, ha visto il grande successo del ritorno dell'avvoltoio monaco, scomparso trent'anni prima. In Serbia, dove il problema si concentra soprattutto al nord, sembrano avere un rilievo particolare il cattivo uso di pesticidi e sostanze dirette, più che ai carnivori, ai roditori, una caratteristica condivisa con la Bosnia (dove al momento non nidificano coppie riproduttive). In Croazia - che con la Grecia condivide un passato di campagne di sterminio dei carnivori particolarmente violente - gli avvoltoi prediligono le isole e le coste del Quarnaro dove è maggiore la presenza della fauna selvatica, e con essa gli avvelenamenti.

Tutta l'area sconta una cronica mancanza di risorse per contrastare il fenomeno, pochi laboratori e mal equipaggiati e una legislazione confusa, ma soprattutto una scarsa consapevolezza del problema. Per questo, secondo i responsabili del progetto, è necessario agire su più fronti.

Il progetto: conoscenza e sensibilizzazione, prevenzione, collaborazione

Con 1,8 milioni di euro di budget e un orizzonte temporale di cinque anni (dal 2020 al 2025), nove organizzazioni coinvolte tra cui - oltre alla già citata Vulture Conservation Foundation, che si occupa di questi uccelli a livello europeo - la Fondazione Mava, Euronatur e le società naturalistiche dei Paesi coinvolti, BalkanDetox è un progetto particolarmente ambizioso, ma non nasce dal nulla. Le basi, infatti, erano già state gettate da BAPP (Balkan Anti-Poisoning Project), realizzato tra il 2018 e il 2020.

Il progetto mira a ridurre l'incidenza degli avvelenamenti del 20% entro il 2025, attraverso diverse azioni, che partono da monitoraggio e studi sul campo per arrivare all'adozione di protocolli condivisi tra le nazioni coinvolte.

"Dobbiamo migliorare la capacità da parte delle istituzioni a gestire il problema, migliorare lo scambio di conoscenze tra tutte le parti interessate, ma anche offrire soluzioni alternative per ridurre il conflitto con la fauna selvatica - spiega Pantović - ad esempio incentivando il ricorso ai cani da guardiania e alle barriere elettrificate per proteggere le greggi dai lupi. La sensibilizzazione e la comunicazione - prosegue - sono un'altra componente fondamentale, per questo il gruppo sta portando avanti numerosi incontri di sensibilizzazione e workshop educativi".

Fondamentale anche aumentare la capacità di migliorare le competenze veterinarie e tossicologiche: "Non possiamo perseguire un avvelenamento finché le sostanze non sono state identificate". Anche se sono illegali, è infatti molto raro che gli avvelenamenti abbiano delle conseguenze. Per questo il progetto si è dato da fare con la collaborazione di un Paese, la Spagna, il cui successo nella gestione del problema in Andalusia è considerato un esempio.

Insieme al Paese iberico è stata creata la 'Wildlife Crime Academy', "un corso di formazione specializzato grazie al quale abbiamo formato oltre quaranta persone che lavorano nelle istituzioni dei Paesi partner, e osserviamo già dei miglioramenti nelle capacità investigative. E adesso - prosegue Pantović - le persone formate stanno iniziando a trasferire competenze acquisite fino a coinvolgere circa trecento persone".

A Madrid si è anche tenuto un workshop per magistrati che indagano sul problema. L'obiettivo è portare in tribunale sempre più cause e, nel complesso, dare visibilità al problema fino a sviluppare maggiore consapevolezza, soprattutto nelle aree rurali, rendendo queste cause socialmente inaccettabili. "Siamo ancora a metà strada, è presto per quantificare i risultati", commenta Pantović. "Quello che abbiamo raggiunto finora in termini organizzativi e di conoscenze, però, e soprattutto la forte motivazione che abbiamo incontrato, ci fa ben sperare e ci rende molto soddisfatti".

Il progetto

Gli avvoltoi non sono solo gli uccelli più maestosi dei cieli europei, ma colonne insostituibili degli ecosistemi. Dopo enormi sforzi di conservazione che durano da almeno due decenni delle quattro specie presenti in Europa - grifone, gipeto, capovaccaio, avvoltoio monaco - i Balcani le ospitano tutte. Questi rapaci sono però le vittime collaterali di un conflitto mai sopito con la fauna selvatica e a volte tra allevatori o agricoltori, che si traduce in bocconi avvelenati o carcasse impregnate di pesticidi destinati a lupi, volpi e sciacalli, ma anche pesticidi diffusi da agricoltori negligenti. Gli avvelenamenti sono la prima singola causa di estinzione degli avvoltoi e i Balcani non fanno eccezione. Per contrastare queste pratiche, che rappresentano anche un rischio concreto anche per le persone, è nato BalkanDetox LIFE , un ambizioso progetto europeo sviluppato con la Vulture Conservation Foundation, che coinvolge i sette principali Paesi balcanici.


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