Hate

(dksley /flickr)

International Alert, ONG con sede a Londra che si occupa di risoluzione dei conflitti, ha organizzato una ricerca sulle reciproche percezioni dei Paesi coinvolti nei conflitti nel Caucaso meridionale. La nostra corrispondente ha analizzato la rappresentazione dell'Armenia nei blog azeri. Un viaggio nel “lato oscuro” della blogosfera azera

03/02/2012 -  Arzu Geybullayeva

Un gruppo di studiosi, ricercatori e specialisti è stato selezionato per esaminare diverse fonti, dai libri di storia ai media, dalla blogosfera ai discorsi dei politici, per meglio comprendere le dinamiche sottese ai conflitti del Caucaso del sud. Lo scopo di questa ricerca, "Miti e conflitto", era quello di estrarre parole chiave, riferimenti, narrazioni e altre sfumature basate sulle contrapposizioni "noi e loro" o "amici e nemici". I risultati di tutto il gruppo di lavoro saranno pubblicati nei primi mesi del 2012 e dovrebbero essere disponibili attraverso il sito web di International Alert. Nella parte della ricerca di cui mi sono occupata personalmente, ho analizzato la blogosfera azera per identificare gli stereotipi sistematicamente utilizzati per disumanizzare gli armeni e l'Armenia.

Disumanizzare “l'Altro”

La retorica utilizzata per parlare di armeni nei media online, non meno apertamente (e forse anche più apertamente) che nei media tradizionali, è chiaramente basata sull'odio. Questo fa parte di un processo di disumanizzazione del nemico che è caratteristico dei conflitti in generale. Come suggerisce l'esperto di media e comunicazione Karim Karim, "i mercanti di odio possono giustificare gli atti di violenza e degradazione proprio perché hanno negato l'umanità delle vittime".

Questa definizione si adatta molto bene alla retorica utilizzata nei blog azeri, dove la disumanizzazione si accompagna a scherno, insulti e paragoni degradanti indirizzati all'Armenia e agli armeni. Di conseguenza, l'amarezza, la rabbia e gli atteggiamenti negativi che esistono tra i due Paesi emergono con chiarezza non solo nei media tradizionali, ma anche nel mondo parallelo dei media online e della blogosfera, dove l'odio 2.0 si esprime senza vincoli e responsabilità per ciò che viene detto, illustrato e scritto.

La blogosfera azera

La blogosfera azera ha poco più di dieci anni, ma i blog sono diventati popolari solo negli ultimi due o tre anni. Secondo il più recente rapporto di Freedom House si contano complessivamente 27.000 blog in Azerbaijan, operanti su diverse piattaforme. Gli argomenti spaziano da arte, cinema, cibo e società a tradizione, politica, questioni sociali e altro ancora. In ogni caso, naturalmente, il conflitto del Karabakh, le relazioni tra Armenia e Azerbaijan e la percezione negativa degli armeni sono temi ampiamente discussi in blog molto popolari, che chiameremo “blog dell'odio”.

Il tema più comune per i blog dell'odio è la rappresentazione dell'Altro, che è anche il tema trattato in modo più esplicito in termini di linguaggio, analogie e atteggiamento complessivo. Essendo io stessa blogger e lavorando nel campo della risoluzione dei conflitti, leggere questi blog è stato sgradevole per non dire altro. Le terribili descrizioni che raffiguravano “gli altri” come ladri, bugiardi, ubriaconi, prostitute, e propagandisti risultavano addirittura "gentili" se paragonate ad alcune analogie semplicemente di là di ogni comprensione. Era come se gli autori volessero rassicurare se stessi e i propri lettori che "gli altri" non fossero più esseri umani e potessero quindi essere umiliati, sminuiti, uccisi, lasciati morire ed eliminati definitivamente.

In un post sull'omicidio di un civile armeno (un pastore) da parte dell'esercito azero durante una sparatoria al confine, un blogger azero conclude: "In ogni caso, ora c'è un armeno in meno e questa è la parte più bella della notizia" [post originale in azero], senza esprimere alcun rimpianto per la morte di una persona e anzi difendendo l'incidente.

In un altro post, l'autore paragona l'Armenia ad una malattia, un virus che avrebbe bisogno di un vaccino: non per essere curato, ma completamente eliminato. "Sì, quasi dimenticavo, un'influenza peggiore di quella aviaria e suina, nella nostra lingua la chiamiamo 'influenza armena'. I sintomi di questa malattia sono ipocrisia, frode e doppi standard "[post originale in azero]. Per aggiungere ulteriore verve al post, l'autore aggiunge con orgoglio: "Siamo stufi di questa spazzatura armena! [...] Ipocrisia, terrore [...] Ora, io credo, potremo trovare anche il vaccino contro questa pericolosa influenza? Non dimentichiamolo: trovare il vaccino è scritto nel nostro destino ".

Questo ed altri esempi utilizzati in questa ricerca hanno dato un'indicazione importante: anche la gioventù è profondamente influenzata dalle relazioni negative tra i due paesi che emergono dai media, dalle dichiarazioni politiche e dall'atteggiamento complessivo del governo. L'ostilità, i messaggi che inneggiano all'annientamento e il tono complessivo dei post non sono un'invenzione dei blogger, ma il risultato di decenni di politiche che hanno alimentato rabbia e odio.

Il futuro dell'odio 2.0

Senza dubbio, questa ricerca ha mostrato solo la minuscola punta di un gigantesco iceberg. Si tratta di un altro esempio di come, nonostante le potenzialità estremamente liberatorie, Internet non sia intrinsecamente “buono” e possa essere utilizzato per rafforzare stereotipi e contribuire ad indirizzare l'opinione pubblica verso posizioni di conflitto. Come questa ricerca ha dimostrato, molti giovani in Azerbaijan hanno posizioni molto forti che, a dir poco, non favoriscono il processo di pace. Molto lavoro rimane da fare, così com'è urgente intraprendere misure concrete per modificare gradualmente questi atteggiamenti negativi e costruire relazioni positive, favorendo il dialogo e creando spazio per la comprensione reciproca tra Armenia e Azerbaijan. Iniziando dai giovani.

L'odio 2.0 in Azerbaijan non sembra essere un fenomeno passeggero. Ma forse c'è anche la possibilità che le comunità online, avendo a disposizione informazioni di prima mano sull'“Altro”, possano invece contribuire a modificare i comportamenti nella regione con il crescere di una nuova generazione più aperta alle nuove tecnologie che permettono di superare confini chiusi. Sicuramente esistono delle alternative all'odio 2.0. Dopotutto, il web è la terra delle opportunità.


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