Dettaglio del mosaico sulla facciata del Museo nazionale di Tirana (© Zvonimir Atletic/Shutterstock)

Dettaglio del mosaico sulla facciata del Museo nazionale di Tirana (© Zvonimir Atletic/Shutterstock)

Il Mulino ha pubblicato recentemente "Gli albanesi", saggio a firma di Oliver Jens Schmitt. Una recensione

02/09/2020 -  Albania News

(Pubblicato originariamente da Albania News il 5 luglio 2020)

È uscito in febbraio, per la casa editrice Il Mulino, il libro Gli albanesi , la traduzione italiana del celebre saggio Die Albaner: Eine Geschichte zwischen Orient und Okzident, pubblicato nel 2012 da C. H. Beck, e giunto, in lingua tedesca, alla seconda edizione.

L’autore del volume è Oliver Jens Schmitt , docente di Storia dell’Europa sud-orientale all’Università di Vienna, uno degli studiosi europei più attenti alla storia dell’Albania, soprattutto di epoca medievale.

Come alcuni ricorderanno, in Albania il nome di Schmitt è legato allo scalpore che fece la traduzione in albanese della sua biografia critica di Giorgio Castriota Skanderbeg , uscita nel 2009. Nessun pregiudizio ideologico, però, dovrebbe negare agli albanesi (di nessun paese del mondo) il piacere di avvicinarsi ai lavori di uno studioso di autorevolezza internazionale, che si dedica all’Albania come pochi altri contemporanei. Riteniamo che la traduzione in italiano di questo saggio rappresenti una buona notizia, perché gli albanesi italofoni sono moltissimi, e soprattutto le seconde generazioni nate in Italia hanno fame di conoscenza sulle origini della loro famiglia.

Sebbene sia scritto con i crismi della scienza storica, Gli Albanesi è un libro breve, divulgativo, e per nostra fortuna ben tradotto. Al risorgimento e dunque alla nascita dello Stato albanese (1912) è dedicato solamente l’ultimo capitolo, il settimo, perché l’obiettivo dell’autore è tracciare una storia degli albanesi intesi come popolo balcanico. Nelle prime pagine Schmitt afferma che per scrivere una storia degli albanesi ci sono due strade possibili: "Da un lato, la storia di un’etnia che esisteva già nell’antichità, che trae origine dall’antico popolo degli illiri, e dopo vani tentativi di conquistare la sovranità e una dominazione straniera durata secoli, nel 1912 ha infine raggiunto la sovranità statale; dall’altro, una storia albanese come storia dei Balcani, nella quale, come attraverso una lente di ingrandimento, si può osservare e descrivere la grande varietà e frammentazione linguistica, culturale e sociale di una grande regione europea". Schmitt ricorda che per comprensibili ragioni politiche la prima variante tende ancora oggi a dominare la storiografia delle società albanesi dei Balcani, e, per differenziarsi, dichiara di voler prendere la seconda strada.

Ma attenzione: con più di un’avvertenza e senza mai appiattirsi su una narrazione aprioristicamente «multietnica», che a sua volta sarebbe portatrice di un’intenzione politica, anche se opposta a quella del nazionalismo, e che rischierebbe di sacrificare l’elemento albanese. L’idea, più ampia, di Schmitt, è che tutte le odierne nazioni balcaniche guardano al loro passato allo stesso modo, e che, come in un gioco di specchi imprigionante, l’uno rivendichi l’eccezionalità che rivendica l’altro. Nati in Europa occidentale nel XIX secolo, i concetti di «nazione» e «origine» vivono oggi nei Balcani, scrive l’autore, "in modo più radicale che in qualsiasi altra parte del nostro continente", e questo ci impedisce di cogliere la realtà storica a tutto tondo. Schmitt spiega molto bene il «meccanismo accecante» in questo passaggio del primo capitolo introduttivo:

"La storia albanese come storia balcanica evidenzia ben documentate sovrapposizioni culturali e sociali tra albanesi e greci, slavi meridionali, balcanici latinizzati e turchi, ma anche tra albanesi e italiani, rom e le piccolissime comunità ebraiche. La storia albanese, tuttavia, non può essere ridotta a una narrazione, per così dire, multietnica. Oltre a essere contenutisticamente infondato, infatti, un simile approccio presenta nei Balcani anche una valenza politica: dal XIX secolo i nazionalisti, soprattutto greci e serbi, ritengono che gli albanesi non abbiano una propria storia nazionale e li considerano o un popolo barbarico privo di cultura da conquistare e civilizzare, o una parte delle loro nazioni, dal momento che tutti gli ortodossi albanesi sarebbero “in realtà” greci in ragione della loro fede, mentre gli albanesi musulmani del Kosovo sarebbero serbi che hanno subito un processo di islamizzazione e albanizzazione. Proprio per timore di simili posizioni gli storici albanesi negano ogni identità plurima e ogni ambiguità culturale. L’osservatore esterno non deve né avvallare posizioni nazionaliste, né aver timore di urtare le suscettibilità nazionali, un proposito certo più facile da enunciare che da trasferire nell’attività di ricerca a fronte della grandissima emotività con cui ancora oggi occorre fare i conti quando ci si confronta con la storia balcanica".

In conclusione, Gli Albanesi è un libro che merita di essere letto perché si muove lontano dalle esigenze politiche e dagli stereotipi etnici, ben consapevole della difficoltà dell’operazione ma determinato nel portarla avanti. In estrema sintesi potremmo dire che tutta la ben documentata ricostruzione di Schmitt si fonda sull’idea che la storia albanese, soprattutto se guardata nel lungo periodo, sia una storia «normale», meno eccezionale di quanto gli stessi albanesi spesso non ritengano e meno «esotica» di come viene descritta da tanti osservatori esterni. Un’idea sana e riposante, che può infastidire il mito politico risorgimentale che ha contribuito alla costruzione di uno Stato albanese (e che, oggi, in chiave europea si sta temperando…), ma che non nega e anzi esalta la specificità storica albanese, collocandola all’interno del ricco mosaico regionale.


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