Vigilia elettorale in Ucraina, (Sergei Chuzavkov/Shutterstock)

Vigilia elettorale in Ucraina, (Sergei Chuzavkov/Shutterstock)

Nel 2019 due tornate elettorali in Ucraina: presidenziali e politiche. Si inizia con il primo turno delle presidenziali, il 31 marzo prossimo, in un clima che purtroppo sembra ancorare il paese al suo turbolento passato

25/03/2019 -  Oleksiy Bondarenko

A cinque anni dalle proteste divenute note come EuroMaidan e dalla fuga dell’allora presidente Viktor Yanukovich, l’Ucraina si appresta ad un nuovo passaggio che in molti considerano cruciale. Il 2019, infatti, vedrà andare in scena due tornate elettorali che potrebbero cambiare, nuovamente, il paesaggio politico del paese. Il 31 marzo si terranno le elezioni presidenziali, mentre a fine ottobre i cittadini saranno chiamati a rinnovare la Verhovna Rada (parlamento).

Non si tratta solo di due appuntamenti centrali per la tenuta istituzionale di un paese che in seguito alle proteste del 2013/2014 e all’aggressiva politica del Cremlino ha visto parte del proprio territorio annesso dalla Russia (Crimea) e lo scoppio di una guerra, mai veramente conclusa, che ha coinvolto regioni orientali del paese (Donbass). Le elezioni saranno un passaggio cruciale per capire in che direzione si muoverà l’Ucraina nei prossimi cinque anni e valutare se sia rimasto ancora spazio per la riforma di un sistema che, ad oggi, sembra ancora essere ancorato al passato.

I candidati

A poche settimane dal voto regna l’incertezza. Con oltre trenta candidati registrati, a sfidare davvero il presidente uscente, Petro Poroshenko, saranno secondo i recenti sondaggi la vecchia conoscenza Yulia Tymoshenko e il candidato ‘anti-establishment’, il comico Volodymyr Zelensky. Un altro paio di candidati, come l’ex alleato di Yanukovich, Yuriy Boyko, e Anatoliy Hrytsenko, rappresentante del ‘campo progressista’, potrebbero sperare - nel caso di eventi eccezionali - di raggiungere il secondo turno.

E se da una parte Poroshenko, in crisi di consensi, quasi in simbiosi con il passato della politica ucraina ha assunto un carattere sempre più autoritario non vergognandosi più di usare le risorse presidenziali e il personale controllo sul sistema giudiziario e sui servizi di sicurezza (SBU) a proprio vantaggio , difficilmente il passato della vecchia eroina della rivoluzione arancione, Yulia Tymoshenko, può rappresentare qualcosa di nuovo per il paese. Quella di Zelensky - attualmente in testa nei sondaggi - rimane la figura più misteriosa. Se da una parte i consensi che Zelensky sembra raccogliere (soprattutto tra i giovani) rappresentano, paradossalmente, il principale frutto dell’incapacità e della scarsa volontà di Poroshenko di intraprendere riforme strutturali, dall’altra i legami del comico con il potente oligarca Igor Kolomoiskiy e la vaghezza della sua campagna elettorale rendono difficile ogni tipo di previsione sul suo futuro politico. Un candidato ‘contro tutti’ che, oltre la superficie, potrebbe diventare un candidato ‘come tutti gli altri’.

La campagna elettorale

Così, se si dovesse scommettere sull'andamento futuro del paese in base alla lunghissima campagna elettorale, non tutti si giocherebbero un euro sulla stabilità e sul consolidamento istituzionale. La corsa elettorale che idealmente doveva cementare definitivamente la nuova era della politica ucraina dopo la precipitosa fuga di Viktor Yanukovich, che racchiudeva simbolicamente nella propria figura tutti i mali dell’Ucraina post-sovietica, è stata in verità caratterizzata da molti elementi che richiamano il passato. Dal controllo esercitato dall’amministrazione presidenziale sui maggiori media e canali televisivi, alla crescente pressione sulla società civile . Dagli scandali legati alla corruzione, all’uso strumentale della violenza contro gli opponenti politici. Dalla retorica che oggi definiremmo populista dei maggiori candidati, al proliferare di ‘candidati tecnici’ il cui unico scopo è quello di togliere voti alle principali figure nella corsa alla presidenza (il caso più famoso è quello di Yuriy Tymoshenko ). Il tutto, ovviamente, in un contesto internazionale tutt’altro che stabile, come dimostrato dallo scontro navale tra marina ucraina e quella russa presso lo stretto di Kerch e dal dilemma del Donbass, tema quest’ultimo lasciato ai margini del dibattito perché senza reali soluzioni.

Tensione e nuove alleanze

Ma la politica, in Ucraina, non è solo quello che si vede in superficie. Il controllo sulle istituzioni e la fedeltà di uomini influenti rimangono elementi fondamentali, specialmente in prossimità di tornate elettorali. E anche se rimane difficile sapere quale spettacolo stia andando in scena dietro le quinte, sempre più elementi inducono a pensare che molti alleati di Poroshenko siano pronti a disertare, scommettendo sul duo Tymoshenko-Zelensky. Anche se alcune indicazioni erano già nell’aria, il recente scandalo legato alla corruzione nell'azienda statale che si occupa dell’equipaggiamento dell’esercito (UkrOboronProm), che ha coinvolto uomini vicini al presidente, e la definitiva spaccatura negli ambienti di estrema destra, rappresentano forse gli esempi più importanti di nuove alleanze in vista delle elezioni.

Al centro ci sarebbe il ministro degli Interni, Arsen Avakov. Proprio Avakov negli ultimi anni è diventato una delle figure più influenti del paese non solo grazie al controllo quasi assoluto e personale (oltre che istituzionale) sulle forze di polizia, ma anche per la sua significativa influenza su alcuni ambienti di estrema destra. Non dovrebbe sorprendere, quindi, che proprio mentre aumentano le voci che Avakov e Poroshenko siano ai ferri corti , da una parte iniziano a circolare documenti riservati su schemi corruttivi nel ministero della Difesa (il caso UkrOboronProm), mentre dall’altra una parte degli ambienti di estrema destra inizia a contestare il presidente uscente.

L’estrema destra ancora al centro

A confermare il ruolo strumentale dei vari gruppi di estrema destra, sempre più al soldo di personalità politiche, sarebbe la recente frattura all’interno degli ambienti nazionalisti. Se alcuni gruppi (come C14) che possono contare su stretti legami con i servizi di sicurezza (SBU), che a loro volta sono sotto il controllo assoluto del presidente, hanno concentrato la loro attività contro gli avversari di Poroshenko, altri (come il Corpo Nazionale, costola del battaglione Azov) storicamente sotto l’ala del ministro degli Interni, non si fanno scrupoli non solo a contestare Poroshenko, ma anche ad interrompere con la violenza la sua campagna elettorale .

In un clima di crescente tensione e di una sempre meno mascherata lotta per il potere tra figure politiche più influenti, elementi e gruppi di estrema destra potrebbero di nuovo giocare un ruolo di rilievo. Non si tratta solo dell’uso strumentale della violenza ai danni delle personalità sgradite al loro ‘padrone’ politico. Infatti, appena qualche settimana fa proprio l’organizzazione legata ad Azov e al Corpo Nazionale, la famosa Milizia Nazionale che pattuglia le strade di molte città ucraine , è stata ufficialmente accreditata come una delle organizzazioni che svolgerà il ruolo di osservatore durante la giornate di voto.

Quale futuro?

Cinque anni fa in pochi probabilmente avrebbero potuto credere che la prima, vera, campagna elettorale dopo la ‘rivoluzione’ di Maidan e le elezioni anticipate di Poroshenko sarebbe stata caratterizzata da un clima fin troppo noto all’Ucraina post-sovietica. In pochi, in Ucraina e tra gli osservatori occidentali, avrebbero potuto credere che alla fine del suo primo quinquennio la figura di Petro Poroshenko potesse assomigliare più al suo predecessore, tra corruzione e crescente autoritarismo, che a un riformatore. E se nessuno davvero credeva che l’Ucraina potesse cambiare da un giorno all’altro, lo spettacolo gattopardesco offerto dalla campagna elettorale sembra, oggi, più un salto indietro che il piccolo e incerto passo in avanti che in molti speravano di vedere.

La guerra in Donbass e l’annessione della Crimea da parte di Mosca sono certamente alcune delle cause che hanno contribuito ad ancorare l’Ucraina al proprio passato. Però, in un perverso paradosso, proprio la guerra poteva anche aprire la porta ad una vera transizione politica. Oggi, ad esempio, la divisione tra est e ovest del paese, per quanto esagerata e mai completamente reale, sembra definitivamente scomparsa. Tanto è che un candidato che guardasse solo ed esclusivamente ad una parte del paese non potrebbe più vincere  le elezioni. Ma questo ovviamente non basta senza passi decisivi nella lotta alla corruzione e riforme cruciali che possano finalmente svincolare istituzioni fondamentali dal controllo del presidente di turno. La strada da percorrere è tanta, rimane da vedere se il vincitore della lunga corsa avrà l’intenzione (o la capacità) di farlo.

 

 


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