Sarkhsian, Alyev e Medvedev alla firma della Dichiarazione

La Dichiarazione di Mosca sul Nagorno Karabakh nel quadro della politica regionale russa dopo la guerra di agosto. Nonostante la dimostrazione di intenti, domina lo scetticismo sulla prospettiva di una risoluzione del conflitto

26/11/2008 -  Leila Alieva* Baku

La Dichiarazione di Mosca

Il 2 novembre i presidenti di Armenia e Azerbaijan, Serzh Sarkhsian e Ilham Alyev, con la mediazione del presidente russo Medvedev, hanno firmato la Dichiarazione di Azerbaijan, Armenia e Russia sul conflitto del Nagorno Karabakh. L'evento è stato valutato favorevolmente dai funzionari statunitensi e dal co-presidente del Gruppo di Minsk dell'OSCE, Mathew Bryza, che ha dichiarato che la Dichiarazione di Mosca aiuterà a risolvere il problema del Karabakh.

Il conflitto ebbe inizio nel 1988, con rivendicazioni irredentiste nella regione azera del Nagorno Karabakh, la cui popolazione era costituita per i 3/4 da armeni. La situazione si aggravò e nel 1991 sfociò in una guerra tra l'ormai indipendente Azerbaijan e l'Armenia. La guerra si concluse con gli accordi per il cessate il fuoco firmati a Bishkek (Kirgizistan) nel 1994, che lasciavano l'Azerbaijan con 7 regioni, oltre al Nagorno Karabakh, occupate dalle forze armene. Da allora, lo status quo è continuato, benché non ci sia stato quasi neppure un giorno senza scambio di colpi di artiglieria. La caratteristica unica del conflitto tra Armenia e Azerbaijan è che il cessate il fuoco è stato mantenuto per 14 anni senza bisogno di truppe di peacekeeping ma, allo stesso tempo, nell'ambito del Gruppo di Minsk dell'OSCE, non si sono mai raggiunti progressi concreti verso la risoluzione del conflitto.

La Dichiarazione era la prima dopo l'accordo per il cessate il fuoco del 1994 ad essere firmata ai più alti livelli, dai due presidenti, e questo ha fatto sperare in un miglioramento, da tempo atteso nel lungo conflitto. Il documento esprimeva la volontà e la disponibilità dei due presidenti a continuare il processo di pace all'interno della già esistente cornice del Gruppo di Minsk dell'OSCE (con tre co-presidenti: USA, Francia e Russia), basato sulle proposte di Madrid e sulle "norme e i principi della legislazione internazionale, ed i documenti e le decisioni adottate sulle loro basi". La Dichiarazione tuttavia è stata accolta con forti critiche, sia in Armenia che in Azerbaijan.

Gli effetti della crisi tra Georgia e Russia

Il significato della Dichiarazione dovrebbe essere compreso nel contesto del recente conflitto tra Georgia e Russia. Il conflitto tra Georgia e Russia ha intensificato l'interesse degli attori regionali ed extraregionali nella situazione della sicurezza nel Caucaso. Per l'Europa e gli USA questo significava fragilità e minacce che emanavano dai conflitti "congelati", ed hanno premuto affinché si rafforzasse l'attenzione verso le potenziali fonti di instabilità. Per l'Azerbaijan è stata la conferma del sospetto che la Russia non intende permettere un vero cambiamento dell'equilibrio dei poteri nella regione, il che ha visibilmente ridotto la retorica bellica nelle dichiarazioni ufficiali dell'Azerbaijan.

L'intensificarsi delle attività diplomatiche che si è avuto dopo il conflitto ha creato l'impressione che emergesse una competizione sulla risoluzione del conflitto tra Armenia e Azerbaijan. Di fatto, sembra essere stata proprio la mancanza di competizione nei tentativi per la risoluzione del conflitto durante tutti questi anni ad aver preservato lo status "né pace, né guerra" all'interno del processo di Minsk, creando l'impressione di "nessun progresso". La situazione creatasi dopo il 7 agosto ha creato una "finestra di opportunità" dovuta all'aumentato interesse dell'Occidente, e all'interesse da parte della Russia nel fare alcuni passi avanti nel processo di pacificazione per "neutralizzare" l'effetto dell'intervento militare in Ossezia del Sud.

La risposta militare della Russia al tentativo di Tbilisi di stabilire un controllo sulla regione separatista dell'Ossezia del Sud ha allarmato gli attori regionali ed extraregionali. Gli osservatori hanno predetto che tali eventi avranno una grave influenza sull'intera situazione della sicurezza, compreso l'altro principale conflitto - quello sul Nagorno Karabakh, oltre che sui progetti per il trasporto energetico. Alcuni sono arrivati a predire un cambiamento nella struttura del Gruppo di Minsk, ritenendo inaccettabile ogni ulteriore partecipazione della Russia al processo di pace. Ma subito dopo gli eventi georgiani la Russia si è affrettata ad annunciare la sua devozione al processo di pace nel caso del conflitto del Nagorno Karabakh. All'indomani del conflitto con la Georgia la Russia aveva la necessità di riabilitare di fronte all'Occidente la sua immagine di pacificatrice nella regione. Rispetto agli attori locali, come gli Stati in conflitto, Armenia e Azerbaijan, aveva bisogno di avvantaggiarsi del momento che si era venuto a creare dopo la dimostrazione di forza, mirata a chiarire chi era il vero "padrone" della regione. Indubbiamente entrambi gli Stati sono stati svelti ad aiutare la Russia a salvare la faccia. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha definito la Dichiarazione "un grande passo avanti".

Un impatto limitato

Il significato più profondo della Dichiarazione comunque è che ci sono poche speranze che lo status quo sia destinato a finire. Mentre durante il breve periodo di tempo che è seguito alla crisi russo-georgiana c'era stato un accenno di competizione tra i mediatori, Occidente e Russia, con quest'ultima per un certo periodo sinceramente interessata a fare qualche progresso nella risoluzione del conflitto, la Dichiarazione ha segnato l'intenzione di tutte le parti di continuare nel processo che fino ad ora non ha portato a importanti svolte nei negoziati.

In effetti, le attività congiunte dei tre co-presidenti furono una grande conquista negli anni '90 per il primo stadio della soluzione del conflitto, perché permettevano di confrontare interessi di potere contrastanti in un unico contesto istituzionale. Ciò aiutò a mantenere la stabilità e lo status quo per più di un decennio. Il consenso all'interno del gruppo però non aveva abbastanza incentivi per fare dei passi avanti. La Russia non era interessata ad una risoluzione del conflitto, a causa della possibile perdita di influenza che ne sarebbe seguita. Né il mantenimento dello "status quo" ha rappresentato fino ai tempi recenti un ostacolo significativo per la realizzazione dei principali interessi energetici dell'Occidente nella regione.

Perciò il principale messaggio di tutti i firmatari del documento e di quanti lo hanno valutato favorevolmente è che il conflitto tra Georgia e Russia non ha influenzato negativamente il processo di pace nel conflitto del Nagorno Karabakh, e che quest'ultimo continuerà a procedere nella stessa direzione.

Dato che nessuna delle parti sembra disposta ad un compromesso, né la Russia a risolvere il conflitto, la Dichiarazione ha provocato predominantemente commenti scettici, sia in Azerbaijan che in Armenia, da parte degli analisti indipendenti. Nell'opinione dell'ex ministro degli Esteri armeno Vardan Oskanian, dalla Dichiarazione si desume chiaramente che ".. le posizioni delle due parti non si stanno riavvicinando, al contrario: le contrapposizioni si stanno approfondendo". Similmente l'esperto azero Rasim Musabekov, che ha definito la Dichiarazione un documento che non contiene disposizioni specifiche e che non obbliga le parti a nulla.

La Dichiarazione di Mosca è allo stesso tempo una notizia buona e cattiva. Da un lato ha confermato l'impegno di Armenia, Azerbaijan e Russia ad una via pacifica per risolvere il conflitto del Nagorno Karabakh. Dall'altro lato, lo stesso documento ha confermato la loro preferenza verso l'attuale cornice di risoluzione del conflitto, quella stessa che non ha finora portato a grandi svolte. Tenuto conto della mancanza di cambiamenti nelle politiche interne di entrambi i Paesi, in seguito alle rispettive elezioni presidenziali, le probabilità di un compromesso sono scarse.

In definitiva, ulteriori iniziative da parte della Russia per implementare la Dichiarazione saranno la migliore verifica, se la sua determinazione a risolvere il ventennale conflitto nel Caucaso meridionale sia sincera, o se sia stato solo un tentativo per salvare la faccia dopo il conflitto con la Georgia.


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