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Negli ultimi mesi si parla sempre più spesso di scambio di territori tra Serbia e Kosovo: una soluzione che solleva preoccupazioni e punti interrogativi. Il dibattito tra gli albanesi del Kosovo

12/10/2018 -  Majlinda Aliu Pristina

Oltre dieci anni fa si svolgevano in Austria i negoziati tra leader kosovari e serbi, mediati dalla comunità internazionale, alla ricerca di una nuova definizione dei rapporti reciproci. Allora un compromesso non fu raggiunto e più tardi, il 17 febbraio 2008, le autorità del Kosovo dichiararono l'indipendenza da Belgrado. Ora, sempre l'Austria, è stata teatro di nuovi negoziati, stavolta sul cosiddetto processo di "correzione delle frontiere".

Alla fine di agosto, il presidente serbo Alexander Vučić e il presidente del Kosovo Hashim Thaçi sono apparsi insieme in una conferenza stampa nella città austriaca di Alpbach. Entrambi erano arrivati con le rispettive proposte sulla correzione delle frontiere, pur non rivelando quali aree sarebbero state interessate.

Tuttavia, è abbastanza chiaro che Thaçi insiste per unire al Kosovo la valle di Preševo nel sud della Serbia, in prevalenza albanese, mentre Vučić mira ad assicurarsi il Kosovo settentrionale a popolazione serba: un vero e proprio scambio di territori. Tale proposta, tuttavia, è apertamente contrastata dalla Germania e da altri paesi dell'UE, che temono un effetto domino in altre parti dei Balcani, specialmente in Bosnia Erzegovina.

Essere albanesi nel Kosovo del nord

Mentre i politici contrattano, gli albanesi che vivono nel nord del Kosovo esprimono apertamente preoccupazioni e timori riguardo il proprio futuro, dopo essere stati in gran parte abbandonati dalle istituzioni in tutti questi anni.

Ramadan Rrahmani, ora settantenne, è nato e ha sempre vissuto nel villaggio di Ceraja nel comune di Leposavić, nel nord del Kosovo. La guerra alla fine degli anni '90 ha lasciato questa zona completamente distrutta, ma l'amore per la sua città natale ha tenuto qui lui e altri residenti albanesi del Kosovo del nord, nonostante le difficili condizioni di vita.

Ramadan afferma di non avere ricevuto alcun tipo di sostegno da parte del governo locale, guidato dal partito serbo Srpska Lista, né dal governo centrale di Pristina. "Siamo stati lasciati soli nelle mani di Dio", afferma. Ora, la comunità albanese nel nord del Kosovo è più preoccupata che mai, in quanto non ha nessun altro posto dove andare. A Rrahmani piace credere che tutto questo parlare di scambio di territori sia solo uno scherzo. "Thaçi può rinunciare facilmente a questa parte del Kosovo, ma la Serbia non darebbe mai un centimetro del suo territorio al Kosovo", dice.

In questa zona, popolata dalla minoranza albanese, le strade sono in cattive condizioni. Il trasporto pubblico, sebbene gratuito, passa una volta al giorno con orari inefficienti e l'assistenza sanitaria è quasi inesistente: secondo i residenti, il medico viene solo una volta alla settimana. La maggior parte delle persone vive con una pensione sociale, circa 75 euro al mese per una famiglia. Rrahmani ritiene che gli albanesi del nord siano stati trascurati di proposito, per spingerli a lasciare le proprie case.

In effetti, l'insicurezza e le dure condizioni di vita hanno costretto molti di loro a trasferirsi: attualmente ci sono solo venti famiglie albanesi che vivono in tre villaggi nel profondo nord del Kosovo.

Behxhet Hetemi, un ex soldato dell'UCK che ha combattuto per l'indipendenza del Kosovo, sembra ancora più frustrato. Estremamente deluso dalle istituzioni di Pristina, dice con rabbia: "Oggi siamo più discriminati e trascurati di quanto non fossimo sotto il sistema serbo contro cui ci siamo battuti".

Hetemi vive con gli altri cinque membri della famiglia in condizioni difficili, in quanto nessuno di loro ha un lavoro. La pensione da veterano di guerra, 175 euro, è la loro unica entrata.

Peggio ancora, le recenti voci di una possibile ridefinizione dei confini del Kosovo lo hanno riportato al 1999. "Quello che abbiamo sentito non è normale", dice, aggiungendo che hanno accettato di vivere in condizioni difficili per rimanere nella loro terra. "Ora, parlare di separazione o scambio di territori, è catastrofico per noi. Non è facile sacrificare vent'anni della tua vita per poi fallire", dice Hetemi con tristezza.

Una regione nel limbo

Il Kosovo settentrionale è de facto separato dal resto del paese dalla fine della guerra, sebbene formalmente rimanga parte del nuovo stato. Le cosiddette "strutture parallele" serbe, presenti in questa parte del Kosovo dall'inizio degli anni 2000, sono state sciolte dopo l'Accordo di Bruxelles del 2013, ma l'area rimane in un limbo politico, in attesa della creazione dell'Associazione delle Municipalità serbe (prevista nell'accordo).

Secondo l'OSCE (2015), il Kosovo settentrionale ha una popolazione prevalentemente serba (88%). Gli albanesi, tuttavia, rappresentano circa il 9% degli abitanti dei quattro comuni del Kosovo settentrionale (circa 7.000 persone).

All'inizio di settembre, Vučić ha visitato il Kosovo settentrionale, solo pochi giorni dopo che le delegazioni della Serbia e del Kosovo avevano improvvisamente cancellato un incontro in cui avrebbero dovuto discutere per la prima volta lo scambio di territori.

Vučić ha fatto una tappa al lago Gazivode/Ujmani, una delle risorse naturali contestate del Kosovo tra Pristina e Belgrado. Più tardi, ha fatto un discorso divisivo in cui ha chiesto la pace, ma allo stesso tempo ha elogiato Slobodan Milošević definendolo "un grande leader serbo". Thaçi ha visitato lo stesso lago tre settimane dopo, accompagnato dalle forze di polizia del Kosovo, l'unità speciale "ROSU". La visita ha ovviamente provocato una forte reazione da parte serba.

No allo scambio di territori

Secondo alcuni analisti, la visita di Thaçi al lago è stata motivata dalla necessità di rispondere alle forti critiche espresse dai partiti di opposizione del Kosovo verso la strategia dello scambio. Lo stesso giorno, il partito di opposizione Vetëvendosje (Autodeterminazione), guidato da Albin Kurti, ha organizzato una protesta a Pristina per opporsi a qualsiasi idea di cambiamento dei confini. Migliaia di persone si sono unite alla protesta pacifica.

Secondo un recente sondaggio dell'ONG Kosovo Democratic Institute, il 77,6% degli intervistati ha dichiarato di opporsi allo scambio territoriale con la Serbia, mentre il 75,1% ha espresso insoddisfazione per la direzione del dialogo di Thaçi con la Serbia.

Anche il primo ministro kosovaro Ramush Haradinaj si è espresso contro lo scambio, definito un'idea "pericolosa" che minerebbe le aspirazioni del Kosovo ad entrare nella NATO e nell'UE.


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