Sabato sei giugno avevo appuntamento con la storia: avrei visto il mio primo Papa dal vero. In più avrei fatto scoprire Sarajevo alla mia nonna, grazie alla diretta televisiva integrale fatta in Italia. E per farmi scusare di non essere un buon cattolico le avevo promesso anche un selfie con Francesco
(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans l'8 giugno 2015)
Attualmente, per le vie di Sarajevo, si possono notare due tipi di abbronzature. Vi è chi è appena rientrato dal fine settimana in campagna o al mare, ed ha un'abbronzatura uniforme, l'aria rilassata, il sorriso disteso. E chi invece ha un'abbronzatura a macchie, bruciati dal sole e con l'aria sconvolta. Questi ultimi probabilmente si trovavano sabato allo stadio Koševo per assistere alla messa del Papa. La differenza è così evidente che quando incontro una coppia di amici per un caffè, domenica pomeriggio, indovinano immediatamente come ho trascorso il giorno precedente. E, sfortunatamente, non l'ho trascorso a ristrutturare la mia casa a Korčula...
A dire il vero ero proprio contento quando ho saputo che Papa Francesco sarebbe venuto a Sarajevo. Non sono esattamente uno che può essere definito un cattolico praticante ma, dopotutto, questo nuovo Papa è un tipo simpatico: gli piace il calcio, la boxe e – ciò che è più importante – è sinceramente sensibile al rispetto della famiglia, proprio come lo sono anch'io! Perché anche se non vado a messa ogni domenica, sono un nipote veramente formidabile! La prova? Appena saputo della visita del Papa ho immediatamente chiamato mia nonna e le ho promesso che sarei riuscito a farmi un selfie con Francesco! E' certo, non mi dirà sicuramente di no. La cosa più difficile sarà solo avvicinarmi a lui.
Come resistere al rock croato-cattolico?
A Sarajevo abito proprio di fronte allo stadio Koševo. Un colpo di fortuna per l'arrivo di Francesco. Ho sentito i primi pellegrini arrivare nella notte tra venerdì e sabato. Al mattino mi sono svegliato alle 5. Un po' perché i cancelli dello stadio erano aperti solo dalle 4 alle 9 e per entrare sarebbe stato necessario presentarsi molto presto e armati di santa pazienza. Ma soprattutto perché il mio smartphone ultimo grido urla che è un delirio: la soneria della sveglia è partita un'ora e mezza in anticipo. Una scocciatura che non mi era mai accaduta per i dieci anni in cui ho utilizzato il mio buon vecchio Nokia.
Improvvisamente ho iniziato a provare un senso di sfiducia molto cattolico nei confronti del progresso scientifico. In compenso, ho avuto tutto il tempo per prendermi un caffè guardando dalla mia terrazza la folla che camminava stanca ma entusiasta verso lo stadio. Uscendo di casa mi chiedo se è una buona idea aggiungermi a queste migliaia di fedeli che trottano verso Koševo. In effetti, da poco, ho scoperto di soffrire di attacchi di panico e di una leggera agorafobia.
Ecco cosa mi preoccupava considerando che: 1. nello stadio sarei stato circondato da una cosetta come 70.000 persone; 2. vi sarebbero stati almeno 30 gradi sul prato e anche di più sugli spalti; 3. il comitato organizzativo si è preoccupato di specificare chiaramente che “una volta entrati nello stadio sarebbe stato impossibile lasciare il proprio posto sino alla fine della liturgia”. Mi ricordo allora di quando andavo a messa con i miei genitori quando, per evitare di seguire tutta la cerimonia, mi capitava d'avere dei grandi mal di pancia.
Per fortuna i miei nervi resistono bene. Niente panico e, in attesa del Papa, ho tre buon ore per preoccuparmi, nell'ordine: di essere vittima di un movimento improvviso della folla (può sempre accadere), che uno degli elicotteri che sta sorvolando lo stadio precipiti sui fedeli (meno probabile ma molto più tragico), di prendermi un'insolazione... di dover andare in bagno. La fila di persone che attendono il loro turno per sollevarsi dai bisogni primari mi spaventa ancor più di un rischio d'attentato.
Mentre la giornata avanza, la temperatura cresce. Comincio a soffrire seriamente la calura. Credo persino di avere una visione mistica quando scorgo un tipo vestito da Cristo sul palco, parte della coreografia durante il concerto rock croato-cattolico. Buon Gesù, non so proprio come la gente attorno a me riesce a resistere. La maggior parte di loro sono venuti dalla Croazia o dall'Erzegovina, viaggiando tutta la notte in autobus. Non hanno quindi nemmeno dormito. Dovrebbero essere spossati ma non lo sembrano. E' questa la vera forza della fede.
“Sarà per la prossima volta”
Infine alle 11 Francesco arriva allo stadio. La televisione ha tagliato le immagini del corteo nel viale che arriva sino a Koševo, forse per ragioni tecniche, forse perché era totalmente deserta. In effetti lo stadio era zeppo di croati, ma i sarajevesi non si sono ammassati lungo il percorso della papamobile. Al contrario la città è rimasta quasi vuota per tutto il sabato.
In tutti i casi la folla ha accolto il Papa con un'esplosione di gioia. Capisco ben presto che la mia promessa di farmi un selfie con lui non potrà essere mantenuta. Sono troppo distante per pensare di attrarre la sua attenzione. E non so nemmeno come le forze speciali stanziate per la sua protezione potrebbero reagire vedendo un tipo che corre verso il Santo Padre.
“Papa, mi te volimo”, Papa, noi ti amiamo, canta la folla in delirio. La messa dura due ore, una durata quasi intollerabile in condizioni normali. La cerimonia è però interessante anche se il Papa sembra piuttosto affaticato. Forse a causa del viaggio, o del caldo. Forse al suo arrivo gli sono stai offerti tre bicchierini di rakija: uno per ciascun membro della Presidenza.
Il sermone di Francesco è interessante, ma non straordinario. La sua presenza è vibrante, ma non esplosiva. Poi, non appena terminata la cerimonia, ecco che è già ripartito. I fedeli, i volontari, i giornalisti, tutti abbandonano rapidamente lo stadio. Devo ritornare a casa e telefonare al più presto a mia nonna. Le ho parlato a lungo della città. Le ho raccomandato di seguire l'intero evento in diretta integrale sulla tv italiana. Per me questa visita del Papa sarebbe servita anche un po' a farle conoscere il posto dove vivo da più di quattro anni.
Quando, la sera del sabato, l'ho trovata dall'altra parte della cornetta del telefono mi ha detto: “E' una città magnifica”. Sì, sì, “magnifica!”, mi ha detto. Poi, subito dopo, la domanda fatidica: “Sei riuscito a farti una foto con Francesco?”. No nonna, ho dovuto ammettere, abbattuto. “Peccato. Sarà per la prossima volta”. Lei ha ragione: il Papa ritornerà prima o poi a Sarajevo.
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