La memoria della seconda guerra mondiale in Jugoslavia, tra discorso pubblico e privato. Il ruolo della cinematografia e dei Memoriali. La generazione dei figli e la responsabilità per il passato, l'Europa e le guerre degli anni '90: intervista a Rada Ivekovic

14/08/2007 -  Andrea Rossini

Foto: Luka Zanoni

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Rada Ivekovic, filosofa, insegna al Collège International de Philosophie di Parigi e all'Università di St-Etienne

Non si possono stabilire legami diretti tra seconda guerra mondiale e guerre recenti. Tuttavia i simboli della seconda guerra mondiale sono stati utilizzati ampiamente nelle guerre degli anni '90. Perché?

Perché questo funziona efficacemente, sono simboli riconoscibili: è il modo più veloce di trasmettere un messaggio e raggiungere il pubblico che lo vuole ascoltare. Quando il sistema è crollato, e la Jugoslavia si è divisa, noi siamo usciti da un campo simbolico ed epistemologico. Il vecchio gergo è stato eliminato, sia quello politico che le vecchie narrazioni. Sono state buttate, e si è passati a nuove storie, nuovi simboli e alla costruzione di nuovi messaggi politici, ma per arrivare a questo si è dovuto iniziare con elementi che erano noti dal sistema simbolico precedente. Quindi abbiamo gli "ustascia" e i "cetnici", sappiamo chi sono e cosa hanno fatto. Iniziamo da qui: è come se costruissimo qualcosa di nuovo con mattoni vecchi. E' un processo abbastanza veloce.

Prima e all'inizio della guerra, fino a quando fu possibile, ho vissuto sempre tra Zagabria e Belgrado. Le due televisioni si erano già divise, e non si potevano vedere i canali delle altre nelle singole repubbliche. Ognuno aveva il suo, e in Croazia come in Serbia alla televisione si vedevano praticamente le stesse immagini, ma con due versioni opposte: da una parte: "Ecco cosa ci fanno gli ustascia", e dall'altra: "Ecco cosa ci fanno i cetnici". Da questi stimoli la motivazione per il nazionalismo diventa così forte che nell'arco di qualche settimana - credo di non esagerare - può mettersi in moto l'intera nuova storia in modo che funzioni. Sono sufficienti una telecamera, un carro armato e un breve testo. Tutto questo, naturalmente, a condizione che già sia crollata la casa collettiva, che sia già crollato il tetto: la gente ha perso il lavoro, ha perso il riparo, c'è stato il crack economico, c'è stato il crollo sistemico del socialismo reale e del socialismo autogestito jugoslavo, c'è stata la fine della guerra fredda, è crollato lo stato comune. L'unico discorso alternativo che si presentò allora fu quello nazionalista. Ed è stato costruito molto facilmente.

Lei ha citato il ruolo di film come "Sutjeska" nel trasmettere la memoria della seconda guerra mondiale negli anni '60 e '70. Quale giudizio dà della nuova cinematografia sulle guerre recenti, in particolare dell'opera di Kusturica e della sua lettura delle guerre degli anni '90?

In un certo senso ogni tempo e ogni società hanno la cinematografia che si meritano. Negli anni '60 e '70 questa cinematografia ci ha dato le immagini per quello che veniva tramandato ufficialmente, anche se devo dire che in quella cinematografia c'erano già persone che non aderivano completamente all'immagine ufficiale. C'erano sia dei personaggi che anche degli avvenimenti pieni di dubbi. In ogni caso quella cinematografia recava in sé il progetto di una società migliore. La Jugoslavia è uscita dalla seconda guerra mondiale con un progetto, ed era un progetto sociale, si pensava che si sarebbe costruita una società migliore.

Da questa situazione e da questa nuova guerra si esce senza un progetto di questo tipo. Neanche Kusturica ha un tale progetto. Kusturica è un regista di talento eccezionale, un talento crudo, completamente grezzo, assolutamente impulsivo e privo di alcuna coerenza storica, ma con una grande forza espressiva e capacità di convincere tramite le immagini. Mi ricordo i suoi primi film, meravigliosi. Ad esempio "Ti ricordi di Dolly Bell", o "Papà è in viaggio d'affari", critici a livello locale. Ricordo di averlo difeso, anche per iscritto, dai critici ufficiali che lo avevano attaccato per aver parlato di qualcuno che durante il socialismo era stato in prigione per motivi politici in un modo che non era stato gradito. I nostri critici si sono sentiti offesi e per questo all'epoca abbiamo tutti difeso, per quel che potevamo, la libertà di Kusturica come regista, così come quella di altri artisti. Con i film che ha fatto successivamente è stato diverso. Ci sono stati molti film sugli zingari, molto spettacolari, con molto Fellini, e questo è un diverso genere di film. Poi c'è stato "Underground" e altri molto meno significativi, che penso siano molto «belli» da guardare e che possano essere apprezzati da quanti non conoscono la situazione della Jugoslavia e la sua storia. Per una come me però ci sono cose storicamente inesatte, inaccettabili e, a parte questo, politicamente stupide. In particolare in "Underground" si riconnettono alcune situazioni delle guerre degli anni '90 ad una lettura monodimensionale della seconda guerra mondiale, cosa che storicamente non sta in piedi. Per esempio ha rappresentato la Croazia come esclusivamente ustascia e fascista. Io vengo da una famiglia antifascista croata: tutta la famiglia da entrambe le parti è stata partigiana, quindi so molto bene che la Croazia non è stata così come lui la rappresenta e che non si può darle la colpa, e soprattutto tutta la colpa, della spartizione. Dov'è il nazionalismo serbo, che pur ebbe un grande ruolo nelle ultime guerre, nei film di Kusturica?

Il film «Underground» in ogni caso ha più livelli, ed è molto interessante per quanto riguarda tutta la sfera dell'inconscio. "Underground" è in realtà l'inconscio, non solo di Kusturica ma forse anche di tutta la nostra generazione: quello che non abbiamo saputo né voluto vedere, e soprattutto quello di quanti hanno voluto il conflitto. Kusturica, che non traspone razionalmente il suo pensiero politico, non perché è un artista ma perché non ha un pensiero politico, in realtà produce irrazionalmente dei lampi che possono funzionare bene dal punto di vista filmico e cinematografico, ma nei quali lui per primo non sa quanto del suo inconscio e delle verità alternative abbia lasciato emergere. Penso che l'intero film parli del nostro inconscio. Che cos'è il nostro inconscio? E' all'interno della complessità della nostra storia, che non conosciamo perché è coperta dalla storia ufficiale. Kusturica, al livello razionale e esplicito, nelle sue interviste ecc., ha optato per la storia ufficiale nazionalista detta "jugoslava", quella che storicamente viene dal progetto gran serbo, e tutto questo avvolto in una grande ignoranza con grande "licenza poetica". Lui prova ad indovinare cosa c'è nascosto lì sotto e la sua intuizione, tutta la sua linea interpretativa, è la più facile e la più semplice, ma politicamente la più sciocca. Nel suo messaggio unidimensionale non si possono trovare quella moltitudine di storie alternative, di racconti individuali, di racconti collettivi, di avvenimenti e legami tra le guerre precedenti e quelle di oggi.

Qual è la causa delle guerra degli anni '90 in Jugoslavia? Per "Underground" la causa sta semplicemente nel fatto che le repubbliche fascistoidi più ad ovest hanno voluto separarsi. Ma la storia avvenuta è più complessa. Così, ad una lettura più profonda, Kusturica inconsciamente dice la verità sulla complessità della storia, ma in superficie non la dice, anche se questa è solo una delle possibili non-verità. Sia le verità che le non verità sono molte. Esiste in questo film di Kusturica una verità artistica su questa complessità, accanto a falsità politiche. Penso che ci siano molte analogie con scrittori come Gabriel Garcìa Màrquez, ad esempio. Ha scritto bei romanzi che la maggior parte di noi ama, ma in ogni intervista politica che ho letto si è rivelato uno stupido unidimensionale. Con questo, non sto paragonando il regista con la grandezza e importanza artistica di Garcìa Màrquez al quale Kusturica non si compara, ma ben con l'ottusità politica dell'autore che non appare nelle sue opere ma in qualche intervista. Quindi Kusturica non è solo in questa stupidità politica accompagnata da un grande talento e forza artistica. Comunque film ulteriori, come «Gatto nero gatto bianco» e altri, sono stati dei veri flop da ogni punto di vista, incluso artistico. Penso si sia esaurito per aver sbagliato terreno. Il suo terreno artistico non è politico.

Come ricordare le guerre degli anni '90? Se bisognasse costruire oggi un Memoriale, chi potrebbe farlo e cosa dovrebbe contenere?

Questa è una domanda a cui non ho risposta, e non sono sicura che sia una buona domanda. Noi ora non viviamo in un'unica storia, e non ci sarà un'unica - come dire - verità ufficiale. Ci sono molte verità ufficiali e molte verità non ufficiali e non saprei chi potrebbe riunirle, a parte forse qualcuno dall'estero con un punto di osservazione lontano. Ma chi guarda dall'esterno non ha sempre uno sguardo attento e non soddisferà mai la gente che ha vissuto quei fatti in questo o in quel modo. D'altra parte io in un certo senso oggi inorridisco con tutto il mio essere di fronte all'idea di monumenti, e di monumenti definitivi. Forse perché mi sembra che nessun monumento possa contenere tutto, e non possiamo pensare di affidarci ad un monumento che metta insieme tutte le diverse ossa come in un frullatore kosti u mixeru, ndt. Se ci deve essere un monumento, allora dico che la cosa più importante sarà l'espressione artistica e non più il valore politico. Quello che possiamo pero' costruire insieme, e che non possiamo fare altrimenti che insieme, è il nostro futuro comune e condiviso. E' possibile farlo con tanti simboli e per tante ragioni diverse. Monumenti, bandiere ... personalmente per me sono finiti, non voglio più averci nulla a che fare, anche se è chiaro che gli Stati continueranno con queste cose. (2 - fine)


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