Monumento a Santa Sofia nella capitale bulgara

La Bulgaria assume la presidenza a rotazione dell'Ue a un decennio dal suo ingresso nell'Unione, tra problemi irrisolti e la voglia di usare questa storica occasione per scrollarsi di dosso cliché vecchi e nuovi

22/01/2018 -  Francesco Martino Sofia

L’enorme monolite del Palazzo nazionale della cultura, che domina austero il centro di Sofia, è tutto bello tirato a lucido: dal primo gennaio l’edificio, inaugurato nel 1981 da Todor Zhivkov – il più longevo tra i dittatori del blocco sovietico – è la sede degli eventi principali del semestre di presidenza Ue, una prima assoluta per la Bulgaria.

Sebbene dalla riforma dei trattati la presidenza a rotazione abbia perso buona parte del suo peso politico, in questa Bulgaria che raccoglie il testimone a undici anni dall’ingresso nell’Unione le aspettative sono forti. “Abbiamo mobilitato tutte le nostre risorse per passare a pieni voti il nostro primo vero esame europeo, per dimostrare di essere ormai un paese 'normale', un membro affidabile e costruttivo dell’Ue”, ci dice la professoressa Anna Krasteva, una delle anime della Nuova Università Bulgara, che sorge alla periferia ovest di Sofia: “Nei prossimi sei mesi il premier Boyko Borisov tenterà di consolidare il ruolo della Bulgaria come leader regionale ed europeista. Non a caso, la priorità dichiarata è una road-map per rilanciare l’integrazione nell’Ue dei Balcani occidentali”.

Il più balcanico dei membri dell’Unione, per molti ancora oggetto misterioso, da periferia marginale prova a reinventarsi centro del palcoscenico continentale. L’agenda “più europeista di Bruxelles” e il tripudio di cartelloni celebrativi e bandiere al vento che punteggiano Tsarigradsko shose – il lungo viale che collega l’aeroporto al centro, costeggiato da grigi blok prefabbricati d’epoca socialista e scintillanti palazzi vetrati sorti negli ultimi anni – potrebbero però non bastare. I luoghi comuni legati al passato comunista (“maggioranza bulgara”, “alleato più fedele dell’Urss”), le infamanti e mai provate accuse di aver partecipato all’attentato contro Giovanni Paolo II (“Servizi segreti bulgari, non sparate più al Papa, ma dedicatevi al Pippero!” cantavano Elio e le Storie Tese in una celebre canzone basata su un noto motivo del folklore locale), hanno lasciato il posto a nuovi cliché. Non necessariamente più favorevoli.

La transizione dal comunismo è stata turbolenta, ha prodotto squilibri e una criminalità organizzata fatta di ex membri dei servizi di sicurezza, lottatori e mutri (brutte facce), che hanno scorrazzato a lungo impunemente per il paese. Negli ultimi anni la situazione si è normalizzata, le sparatorie degli anni '90 sono un ricordo lontano, ma i danni, anche d’immagine, restano: non è un caso che nell’ultima stagione di Gomorra gli sceneggiatori abbiano scelto proprio la Bulgaria per ambientare il purgatorio freddo e violento di Ciro.

Oggi, nonostante i passi avanti, i media internazionali raramente dimenticano di etichettare la Bulgaria come il paese più povero e corrotto dell’Ue, o di attribuire ai bulgari il poco invidiabile primato di “popolo più triste” del Vecchio continente.

La corruzione, è vero, è diffusa, dal livello più basso – la stradale che chiede con finta noncuranza un bakshish, una mancia, per chiudere un occhio sulle infrazioni – a quello delle sfere alte della politica. Quanto all’economia, a fine 2017 lo stipendio medio lordo si è attestato a 1.064 lev (545 euro), ma la ricchezza si concentra quasi tutta a Sofia, dove viene prodotto il 40 per cento del Pil e le retribuzioni medie toccano i 730 euro. Per rendersene conto, è sufficiente fare un giro negli affollati centri commerciali, traboccanti di addobbi natalizi e voglia di acquisti, come in ogni capitale europea. Provintsijata, la “provincia”, come viene definito con superiorità il resto del paese dai sofiesi, se la passa molto peggio. Basta salire sull’espresso che da Sofia ci porta a Plovdiv, nella pianura di Tracia, perché i Suv e le luci della capitale lascino spazio a un’umanità diversa, schiva, fatta di pensionati dagli occhi stanchi e dai vestiti lisi.

A turbare le aspettative del semestre bulgaro c’è però la patata bollente della presenza, nell’attuale governo di centrodestra, dei Patrioti Uniti – variegata alleanza di formazioni nazionaliste ed euro-scettiche – cresciuta all’ombra delle paure innescate dalla crisi dei rifugiati. Una crisi che ha portato all’innalzamento di un muro anti-immigrati al confine con la Turchia, dove a lungo hanno operato – indisturbate e ai limiti della legalità – ronde paramilitari di auto-proclamati vigilantes, scese in campo “per proteggere il sacro territorio e le donne bulgare”. Gli esordi sono stati tutt’altro che promettenti: a maggio, poche settimane dopo il giuramento del nuovo esecutivo, un viceministro si è dovuto dimettere quando sono emerse vecchie foto in cui si esibiva in un saluto nazista. In vista del semestre di presidenza, però, i nazionalisti hanno abbassato drasticamente i toni della polemica che, oltre ai migranti, prende di mira anche l’Ue e le forti minoranze rom e turca.

“È un paradosso che la Bulgaria assuma la presidenza con forze anti-europee al governo”, argomenta la Krasteva. “Rispetto a Polonia e Ungheria, però, qui le tentazioni di uno scontro aperto con Bruxelles sono molto più limitate. Tra l’Europa della Merkel e quella di Orban, almeno per il momento, la leadership bulgara ha scelto quella della Cancelliera tedesca”. Una moderazione che si spiega anche con la forte dipendenza del paese dai fondi europei, che nel 2016 hanno quasi raggiunto i due miliardi di euro, oltre il 4 per cento del Pil. “I nostri nazionalisti non sanno bene cosa vogliono, si accontentano di vittorie simboliche e di spartirsi il potere”, fa eco Ivaylo Dichev, professore di antropologia culturale all’Università di Sofia. “E il premier Borisov, da populista scaltro qual è, è riuscito a imbrigliarli nella sua tela senza pagare un prezzo troppo alto. Anche per questo Bruxelles sembra dormire sonni tranquilli e non critica con convinzione la loro presenza nell’esecutivo”.

Scaltro, Borisov lo è senz’altro. L’ex bodyguard e sindaco di Sofia domina da un decennio la scena politica, nonostante le accuse di contatti, mai pienamente chiarite, con elementi della criminalità organizzata negli anni bui della transizione. Dal suo primo mandato da premier – nel 2009 – ha fatto molta strada. Dopo un esordio da populista colorito e provocatorio e un “amore di gioventù” con Berlusconi (battute al vetriolo comprese. La più nota, anche se forse spuria: “In Bulgaria non ci sono lesbiche, ma solo donne che non mi hanno ancora incontrato”), si è costruito col tempo l’immagine di politico affidabile, moderato e votato alla stabilità, anche grazie all’opera di mediazione tra l’Ue e il presidente turco Erdoğan per gli accordi sull’immigrazione che, nel 2015, hanno chiuso le porte alla rotta balcanica.

Durante il semestre, Borisov tenterà probabilmente di passare all’incasso, avvicinando la Bulgaria all’area Schengen e al meccanismo Erm2, la sala d’attesa per la moneta unica (che resta comunque una meta distante); ma anche di far dimenticare i gravi problemi che restano sul tavolo, soprattutto lo stato delicato della democrazia bulgara, minacciata da corruzione, inefficienza amministrativa e consistenti interessi oligarchici che non di rado trovano sponda nella Russia di Putin. La libertà dei media, peraltro, peggiora: a dispetto dei dieci anni di membership europea, la Bulgaria è crollata dal 36esimo al 109esimo posto della classifica di Reporter senza Frontiere, ultima tra i Paesi Ue e tristemente parcheggiata tra Gabon e Paraguay.

Negli ultimi dieci anni il paese è comunque cambiato profondamente. Nell’Ue la Bulgaria ha trovato un porto sicuro all’interno di una regione, quella balcanica, divorata negli anni '90 da guerre fratricide. Un riparo nella tempesta della crisi economica esplosa nel 2008. E, seppur non sempre sfruttati al meglio, i fondi strutturali hanno modificato rapidamente la geografia del paese: la percorrono centinaia di chilometri di autostrade, è sorto un nuovo ponte che collega le due sponde del Danubio verso la Romania, mentre a Sofia sono state terminate le prime due linee della metropolitana e una terza è in corso d’opera. Negli ultimi due anni il Pil è poi cresciuto significativamente, creando un clima che ha rafforzato l’interesse di molte aziende internazionali a delocalizzare, specialmente a Sofia: oggi non sono pochi i ragazzi europei, anche italiani, che complice la crisi cercano un futuro qui.

“Da fine Ottocento la Bulgaria ha vissuto una lunga serie di tragedie geopolitiche, guerre perdute, decenni di dittatura comunista, una transizione violenta”, chiosa Krasteva, aprendosi alla fine in un sorriso. “Nonostante la distanza tra i sogni e la realtà, e i comprensibili malumori, l’Ue resta la cosa più bella capitata al nostro paese negli ultimi cent’anni”.


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