Una scena del teatro d'ombre in Turchia (attraction art/Shutterstock)

Una scena del teatro d'ombre in Turchia (attraction art/Shutterstock)

Sono situate nelle principali città turche ed in particolar modo nei quartieri popolari. Le Case del popolo, Halkevleri, rappresentano probabilmente l’esperienza di auto-organizzazione, slegata da partiti politici, più radicata e diffusa nel paese. La loro origine in questo approfondimento

06/05/2021 -  Francesco BrusaCosimo Pica

L’uno è rozzo e incolto, dai modi spesso volgari. L’altro è tutto l’opposto: un uomo elegante e raffinato, che ha ricevuto la migliore educazione possibile. Nella tradizione del teatro d’ombre turco, poche “maschere” sono così caratteristiche e rappresentative come quelle di Karagöz e Hacivat, personaggi inseparabili e speculari che hanno segnato secoli di intrattenimento e cultura popolare. Conosciuti già dal XVI secolo e diffusisi soprattutto durante la tarda fase dell’Impero ottomano, gli spettacoli che mettono al centro queste due figure sono l’espressione di un determinato periodo storico: Karagöz - che significa “occhio nero” - è appunto un individuo di estrazione umile, incarna “vizi e virtù” peculiari dei ceti sociali più bassi; Hacivat, al contrario, riassume in sé gli elementi propri delle cosiddette “élite”, tendenzialmente più colte e più ricche.

Eppure, se questi personaggi (entrati poi a far parte del Patrimonio Universale dell’Unesco e dunque definitivamente canonizzati) riflettono una divisione rigida all’interno del corpo comunitario, una concezione delle classi sociali come gruppi a sé stanti e separati, le vicende che li vedono coinvolti tendono a negare un tale dato di partenza. Quasi sempre, infatti, è Karagöz ad “avere la meglio”, attraverso un tipo di intelligenza istintiva e “duttile”, un intuito di stampo picaresco che si rivela infine essere di gran lunga più efficace dell’affettato nozionismo e dell’erudizione quasi tutta astratta e autoreferenziale di Hacivat. “Principio dinamico” e “principio statico” a confronto, in un ribaltamento carnevalesco dell’ordine costituito che assomiglia a quello che lo studioso Michail Michajlovič Bachtin ha rilevato come fondamentale nella cultura popolare europea.

Non tutti sanno, però, che in Turchia questo stilema ha subito a un certo punto un ulteriore ribaltamento. Poco più di un decennio dopo la fondazione della Repubblica, nel 1937 l’allora ministro degli Affari Interni Şükrü Kaya scrisse una lettera indirizzata ai vari autori di teatro d’ombre presenti sul territorio anatolico, avvisandoli del fatto che i drammi e i personaggi sarebbero dovuti essere adattati alla sopraggiunta “ideologia kemalista”. "La gente adora le eroiche storie dei libri popolari", scriveva Şükrü Kaya in quella lettera. "Questi personaggi-eroi, da mantenere come tali, dovranno ora essere mostrati in storie che siano appropriate con lo spirito e gli alti valori del nuovo regime". Anche l’arte, sostanzialmente, doveva mostrare e farsi testimone dell’avvenuto passaggio storico, dal periodo ottomano alla nuova era repubblicana.

Nell’ottica “populista” dell’ideologia propugnata da Mustafa Kemal e dai suoi seguaci, ciò significava elaborare differenti rapporti ed equilibri fra cultura urbana e comunità di villaggio, fra le cosiddette “élite” e, appunto, il popolo. Riassume il ricercatore Hale Babadoğan nella sua approfondita tesi Understanding the Transformation of Karagöz (“Capire le trasformazioni di Karagöz”): "Vennero rimossi la maggior parte delle figure e dei simboli che si riferivano ai valori ottomani, gli argomenti a sfondo religioso, le credenze sovrannaturali che in qualche modo presupponevano l’idea di un mondo “incantato”, sostituiti da tutto ciò che invece affermava una concezione razionale e tecnologica della realtà, per far in modo che lo Stato potesse diffondere i propri valori alle masse attraverso la cultura popolare. [...] In pratica, i ruoli di Karagöz e Hacivat vennero scambiati. Karagöz divenne una figura colta e istruita, un gran lavoratore che voleva identificare il modello di popolano educato [...] mentre Hacivat assunse le sembianze di una persona urbanizzata ma indefinita, che aveva perso la propria identità".

La fondazione delle halkevleri

Così, nel mentre che le élite elaboravano una nuova pedagogia e un nuovo insieme di codici simbolici da mettere a servizio del popolo, venivano anche ideati e costruiti dei luoghi affatto concreti in cui tale pedagogia e tali codici sarebbero dovuti essere trasmessi. Esperienze come quelle degli istituti di villaggio, strutture educative pensate e sviluppate per i contesti rurali, oppure delle halkevleri (“case del popolo”), centri di aggregazione e socializzazione dedicate ai ceti più “bassi”, rappresentano dei “corpi intermedi” fra potere centrale e comunità periferiche, degli spazi di formazione dei “nuovi turchi” in accordo con l’ideologia kemalista. Interessante notare come, dopo la lettera con cui il ministro degli Affari Interni Şükrü Kaya caldeggiava un ribaltamento dei ruoli delle maschere Karagöz e Hacivat (e, in un certo senso, un ribaltamento più o meno reale delle dinamiche fra élite e popolo nel paese), le halkevleri diventavano il luogo d’elezione in cui si sarebbero tenuti di lì in poi gli spettacoli di teatro d’ombre.

Il popolo turco, allora, era chiamato a essere soggetto e oggetto delle rappresentazioni cui assisteva: il “nuovo corso” dei drammi di Karagöz e Hacivat mostrava il modello di relazioni a cui i cittadini degli strati più bassi si sarebbero dovuti elevare, intanto che farsi spettatori di questi drammi, dentro il contesto delle halkevleri, era già parte integrante dello stesso processo di elevazione. Una strategia di sviluppo sfaccettata e onnicomprensiva, in cui le case del popolo assumevano un ruolo fondamentale, destinato tra l’altro a durare ed evolversi anche oltre la fine del kemalismo e al di là dei principi di ispirazione di quest’ultimo. Gli anni della fondazione delle halkevleri sono gli anni in cui viene sostanziata l’ossatura ideologica del kemalismo e si afferma la nuova identità nazionale. I tumulti succedutesi nel primo decennio dalla nascita della repubblica, avevano evidenziato sin da subito le fratture presenti nel complesso e composito tessuto sociale anatolico. Il cambiamento calato dall’alto dal padre della patria Atatürk aveva segnato, tra le altre, una evidente dicotomia, probabilmente mai risolta nel corso degli anni: la distanza tra le élite urbane e le masse popolari anatoliche.

I vertici politici kemalisti provarono a colmare questa distanza, programmando un processo di assimilazione di massa della vulgata ideologica repubblicana, sintetizzata nella formulazione delle Altı Ok “Sei Frecce”, approvate durante il III congresso del CHP (1931): cumhuriyetçilik “repubblicanesimo”, lâiklik “laicismo”, milliyetçilik “nazionalismo”, halkçılık “populismo”, devletçilik “statalismo” e inkılapçılık “riformismo” o “rivoluzionarismo”. E proprio durante quello stesso congresso, non a caso, venne anche predisposta la trasformazione dei Türk Ocakları “Focolai Turchi”, nelle Halkevleri “Case del Popolo”, che insieme agli Istituti di villaggio rappresentano ancora oggi gli strumenti più innovativi del composito processo di costruzione nazionale kemalista: il 17 febbraio 1932 tali istituzioni venivano aperte in 17 città della Turchia (dal “polo” occidentale di Izmir fino alla “capitale” dell’area curda Diyarbakır), per superare ben presto le 400 unità. Attorno al 1951, anno in cui subirono una prima chiusura, le halkevleri presenti sul territorio anatolico erano oramai decuplicate, arrivando a contare oltre le 4000 unità.

Un ribaltamento valoriale

"Per me, le halkevleri sono la casa dell'opposizione militante di massa del popolo nei quartieri più poveri. Rappresentano, con le loro battaglie quotidiane, la lotta delle classi subalterne per accedere ai diritti fondamentali". Ad affermarlo è Ferda Koç, ricercatore presso l’Università “Dicle” di Diyarbakır e attivo in numerose case del popolo turche, fino a essere parte del gruppo esecutivo dell’associazione nazionale che presiede all’organizzazione delle halkevleri. "I diversi nodi territoriali costituiscono centri di solidarietà rivolti alle persone svantaggiate: fungono da supporto educativo gratuito per i loro figli, da centri di difesa per le sopravviventi alla violenza patriarcale e, infine, rappresentano uno dei contesti di produzione di soluzioni e alternative socialiste e proletarie ai problemi sociali odierni delle classi popolari". Da fenomeno tipico e consustanziale all’avvento del kemalismo, oltre che espressione di una certa concezione verticale e dirigista del potere (tanto che, sebbene misinterpretando in maniera voluta, un numero del 1932 della rivista italiana di orientalistica “Oriente moderno” ebbe addirittura a dire in un articolo che si trattasse di una «imitazione del fascismo italiano»), nelle parole di chi vi si ritrova a operare oggi le case del popolo sembrano invece essere diventate una espressione dei movimenti di sinistra radicale e anti-capitalista. Com’è possibile un tale ribaltamento?

A differenza degli Istituti di villaggio le halkevleri hanno attraversato tutta la storia repubblicana turca, con alcuni brevi intervalli dettati da chiusure repressive, fino ad oggi, cambiando profondamente la loro funzione nel corso degli anni. Oltre alla prima fase della loro parabola, durata fino alla chiusura degli anni ‘50 ad opera del governo del Demokrat Parti di Adnan Menderes, all’interno di un disegno complessivo di ristrutturazione in chiave conservatrice del contesto anatolico, la seconda vita delle case del popolo è cominciata in seguito al colpo di stato del 27 maggio 1960, capitanato dal generale Cemal Gürsel, che ha posto fine alla stagione del DP nel tentativo di restaurare una linea politica più fedele alla dottrina kemalista. Dagli anni ‘60, per oltre un decennio, le case del popolo divennero infatti un mezzo per tentare di attuare suddetta restaurazione da un punto di vista culturale. Esperienza che non raccolse i frutti sperati visto il complesso clima politico degli anni ‘70 che comportò una fortissima polarizzazione tra ambienti conservatori e progressisti con la proliferazione nel paese di movimenti rivoluzionari di sinistra, così come di movimenti fascisti e ultraconservatori. Circostanza che portò ad una radicalizzazione anche delle halkevleri che sul finire degli anni ‘70 smisero di essere semplicemente centri culturali ancorati alla funzione pedagogica kemalista per diventare uno dei nodi della resistenza antifascista della sinistra turca.

Una resistenza messa poi fortemente alla prova con il successivo colpo di stato del 12 settembre 1980, capeggiato stavolta dal generale Kenan Evren, che ha silenziato tutte le opposizioni nel paese, in particolar modo quelle di sinistra. Un passaggio fondamentale della storia contemporanea turca che ha segnato anche la definitiva evoluzione delle halkevleri che dalla riapertura del 1987 hanno assunto così un ruolo importante all’interno dei movimenti sociali di sinistra in Turchia, strutturandosi a partire da metà anni ‘90 anche come una rete di solidarietà popolare e mutualismo nei quartieri popolari.

Con le sue 73 sedi, situate nelle principali città turche ed in particolar modo nei quartieri popolari, oggi le Halkevleri rappresentano probabilmente l’esperienza di auto-organizzazione, slegata da partiti politici, più radicata e diffusa nel paese.

Nel corso degli anni sono molteplici le attività messe in campo, che spaziano dal teatro alla scuola popolare, fino ai campi estivi gratuiti organizzati per le bambine e i bambini provenienti da famiglie con problemi economici e sociali. Punto di riferimento nei quartieri, spazio aperto al confronto e all’organizzazione di momenti di lotta, tramite petizioni, presidi e manifestazioni riguardanti in particolar modo tematiche quali la salvaguardia dell'ambiente, il diritto alla salute e alla casa, l’uguaglianza di genere e contro la precarietà lavorativa. Inoltre le Halkevleri sono state in prima linea durante alcune emergenze drammatiche come il devastante terremoto nella zona di Koaceli nel 1999 e quello di Van del 2011, organizzando delle vere e proprie brigate di solidarietà attiva in supporto alla popolazione colpita.

"Quando ho deciso di lavorare nelle case del popolo, esse rappresentavano l'organizzazione più importante dei movimenti di resistenza delle classi popolari contro le politiche neoliberiste all’interno dei quartieri", conclude Ferda Koç. "All’epoca ero già attivo nelle lotte del movimento dei lavoratori precari della sanità e le halkevleri hanno assunto per me il ruolo di un’organizzazione parallela della nostra lotta sul posto di lavoro all’interno dei contesti urbani. A frequentare queste strutture sono oggi militanti, donne, persone progressiste della zona che sentono il bisogno di conoscersi, confrontarsi e coordinarsi con altre persone di un orientamento politico simile. Di fatto, sin dalla loro fondazione le case del popolo sono state un centro di socializzazione progressista".

Una tradizione sotterranea

D’altronde, le case del popolo sono in effetti state - sin dalla loro fondazione - anche espressione di un aspetto genuinamente populista del kemalismo e di una necessità profonda di elaborare delle strategie di inclusione dei “ceti popolari” (con tutta la complessità che questo termine evoca) dentro i meccanismi di sviluppo della nascente repubblica. Tra la fine degli anni ‘20 e gli inizi degli anni ‘30 all’interno del partito del “fondatore della patria” Atatürk si era prodotto un dibattito molto ampio, e per certi versi molto divisivo, proprio riguardo questo tema, che aveva fra le varie cose visto pure l’ascesa di correnti “di sinistra” e “marxiste” in seno allo stesso kemalismo (come quella degli intellettuali legati alla rivista “Kadro”). Come riassume il ricercatore e professore dell’Università di Bologna Fulvio Bertuccelli nel suo saggio Una codificazione del kemalismo come ideologia negli anni ‘30: il movimento “Kadro” (apparso sempre su “Oriente Moderno) del 2013: «La rivolta curda del 1925 era stata solo il primo sintomo della distanza tra le élite modernizzate e la stragrande maggioranza della popolazione. [...] Gli apparati del CHP poterono di nuovo constatare il proprio isolamento in occasione della fondazione del Serbest Fırka (“Partito libero”, SF) nel 1930. [...] Ancora più traumatici per l’élite al potere saranno, nel dicembre 1930, gli avvenimenti di Menemen, un piccolo centro nei pressi di İzmir. [...] Un tale scenario poneva l’élite kemalista di fronte alla necessità di tentare di colmare la distanza con le masse. In questa prospettiva il III congresso del CHP (1931) risponderà con l’adozione delle AltıOk “Sei Frecce”», di cui abbiamo parlato in precedenza.

In pratica, le halkevleri sono state la risposta delle élite al desiderio delle classi popolari e dei ceti subalterni di godere degli stessi diritti di cui godeva il resto della popolazione. Un desiderio che non si è chiaramente esaurito nella società turca, ma anzi si è forse intensificato viste le recenti torsioni autoritarie che ha assunto la politica del partito di governo Akp e visti i suoi accenti decisamente escludenti. Nel frattempo, però, lo “strumento” delle case del popolo è probabilmente entrato sempre più sotto il controllo del popolo stesso, che prova ora a esprimere le proprie idee e le proprie visioni attraverso il confronto e il dialogo che si svolge in questi spazi comunitari. Non sappiamo, oggi, quanto siano frequenti nelle halkevleri le rappresentazioni di teatro d’ombre che vedono protagonisti le maschere di Karagöz e Hacivat. Certo è che le complesse dinamiche a esse sottese non cessano di produrre conflitti, discorsi, ipotesi di un futuro diverso.


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