Il progetto di Max Fabiani del Narodni Dom di Trieste

Il progetto di Max Fabiani del Narodni Dom di Trieste

Una pubblicazione ricostruisce la storia del Narodni Dom di Trieste, edificio attraverso le cui vicende si ricostruisce un secolo di storia in città. Recensione

04/01/2023 -  Federico Tenca Montini

(Originariamente pubblicato da Geschichte und Region/Storia e regione 31. Jahrgang, 2022, Heft 2 – anno XXXI, 2022, n. 2)

L’incendio del Narodni dom (13 luglio 1920) rappresenta senza dubbio – grazie anche all’opera dello scrittore Boris Pahor, recentemente scomparso, che da bambino fu testimone diretto del rogo – uno degli eventi cruciali della storia di Trieste nel secolo scorso. Edificato nel centro cittadino dalla società slovena Edinost nei primi anni del Novecento, l’edificio costituiva il vettore delle iniziative e delle istanze degli sloveni e delle altre nazionalità slave presenti in città, secondo una strategia di affermazione nazionale già intrapresa con successo dai cechi.

Inviso agli ambienti nazionalisti italiani che monopolizzarono la vita politica cittadina dopo la cessione di Trieste all’Italia al termine della Prima guerra mondiale, il Narodni dom venne distrutto in quello che De Felice definì “il battesimo dello squadrismo organizzato”. L’importanza dell’edificio sopravvisse però alla sua devastazione, giacché molteplici furono gli interventi della minoranza slovena e della Jugoslavia prima e poi della Slovenia per ottenere la sua restituzione, che, dopo una serie di annunci negli ultimi anni, sembra finalmente in dirittura di arrivo.

Gli storici Borut Klabjan e Gorazd Bajc, rispettivamente specialisti della transizione postasburgica nella regione altoadriatica e di storia politica dell’area del confine italo-jugoslavo nel Ventesimo secolo, si sono cimentati in un affresco storico di lungo periodo (Ogenj, ki je zajel Evropo. Narodni dom v Trstu 1920–2020 - L’incendio che ha divorato l’Europa. Il Narodni dom a Trieste 1920–2020] Cankarjeva založba 2021) che trae l’abbrivio dai primi tentativi di impostazione di un’agenda politica nazionale slovena (e croata) a Trieste per poi dipanare la storia del Narodni dom e della sua eredità fino ai giorni nostri. Oltre alla ricchezza sul piano delle fonti – la ricerca si avvale infatti di documentazione in sette lingue proveniente da 19 archivi e di materiali a stampa, interviste e di una ricca bibliografia – il saggio si distingue per la compresenza armoniosa di approcci diversi derivanti dalle competenze specifiche dei due autori. Data la sua importanza per la comunità degli studiosi e dei lettori italiana, è prevista l’uscita di un’edizione in lingua italiana nel 2023.

Il saggio è strutturato in nove capitoli. Il primo, Scalata della “città senza storia”, è dedicato alle prime attività di attivismo nazionale degli sloveni e degli altri slavi a Trieste, alla costruzione del Narodni dom su disegno dell’architetto sloveno Max Fabiani e alla sua ricezione da parte della comunità cittadina.

Le successive tre parti lumeggiano lo sviluppo della contrapposizione tra italiani e slavi alla cuspide dell’Adriatico a partire dall’Ottocento. Si rende conto di come l’inatteso crollo della compagine imperiale austroungarica, che comportò la creazione di Stati nuovi – come la Jugoslavia – abbia determinato uno scenario inatteso e indesiderato per Roma, che dovette accontentarsi di acquisizioni territoriali inferiori a quelle promesse nel Memorandum di Londra del 1915.

La conseguenza fu una situazione di protratta incertezza sotto il profilo territoriale, che si tradusse in continue tensioni con la Jugoslavia esacerbate da dinamiche figlie della brutalizzazione esperita dalla società locale durante la Grande guerra – si pensi su tutto all’“Impresa di Fiume” dannunziana nel settembre 1919. Il quinto capitolo, La fatale estate del 1920, affronta con dovizia di particolari il contesto in cui maturò l’incendio, le dinamiche dello stesso, la percezione da parte dei vari osservatori nonché “l’epilogo giudiziario, che non ci fu” (pp. 247–252).

La ricostruzione delle violenze che bersagliarono le sedi riconducibili agli sloveni e alle altre nazionalità slave nell’agosto 1919 permette di mettere a fuoco il clima di odio nazionale imperante in città, a formare una sorta di precedente che viene a smentire l’idea, dominante in parte della storiografia municipale triestina, dell’assalto al Narodni dom come mera reazione agli incidenti occorsi a Spalato l’11 luglio 1920, allorché l’animosità tra marinai italiani stazionanti nel porto e popolazione croata locale risultò nell’uccisione di tre persone. In seguito si passa alla ricostruzione della dinamica dell’incendio a Trieste, attraverso l’incrocio di rapporti ufficiali, documentazione riservata in prevalenza inedita (tra l’altro delle rappresentanze consolari di Gran Bretagna, Francia, Cecoslovacchia e degli Stati Uniti), stampa dell’epoca e scritti autobiografici.

Al di là dell’importanza intrinseca di una ricostruzione il più possibile precisa, ad essa nel caso specifico va il merito di seminare dubbi rispetto alla tesi, coeva agli eventi e che affiora tuttora di tanto in tanto in ambienti nazionalisti locali, che l’assalto al Narodni dom sia stato in qualche modo causato da una provocazione armata degli sloveni o addirittura che l’incendio stesso sia dipeso dall’esplosione di armi conservate all’interno – una tesi per altro priva di riscontri materiali nel successivo esame delle macerie, ma coerente al quadro giustificatorio in cui gli ambienti nazionalisti italiani erano soliti inquadrare le violenze ai danni degli sloveni. L’incendio al Narodni dom fu del resto, per quanto il principale, solo l’episodio iniziale di una scia di violenze (solo a Trieste nella stessa sera ci furono altre venti devastazioni di istituzioni politiche ed economiche degli sloveni e della delegazione jugoslava) che infiammò l’Istria nei giorni successivi (incendio del Narodni dom a Pola il 14 luglio e altre violenze a Pisino e a Fiume).

I capitoli seguenti ricostruiscono la questione del Narodni dom nel corso dei decenni successivi. Dal momento che le autorità italiane impedirono alle organizzazioni slovene di restaurare l’edificio carbonizzato, esso venne venduto nel 1924 ad una società italiana per un prezzo simbolico per venire trasformato nell’Hotel Regina, attivo poi fino al 1976 – nel quale anno lo stabile ospitò un certo numero di friulani sfollati dopo il terremoto. Successivamente l’edificio venne ceduto all’Università di Trieste, che vi installò la Sezione di Studi in Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori.

Le organizzazioni della minoranza slovena, che pure nel dopoguerra si erano dotate di un centro culturale alternativo (il Kulturni dom sito però in una zona periferica della città) non avevano mai smesso si sognare di rientrare in possesso del Narodni dom. Dopo che, nel corso degli anni, vari tentativi fatti in tal senso si erano infranti su una serie di intoppi burocratici, non expedit politicamente motivati e, da ultimo, difficoltà finanziarie all’indomani della dissoluzione della Jugoslavia, è stata l’approvazione della “Legge 23 febbraio 2001, n. 38 , Norme a tutela della minoranza linguistica slovena della Regione Friuli Venezia Giulia” a segnare un percorso che oggi, dopo la promessa fatta dall’Italia in occasione del centenario dell’incendio nel 2020, sembra finalmente di imminente realizzazione in un prossimo futuro.


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