Targa Unione degli Italiani, Capodistria, Slovenia

Unione degli Italiani, Capodistria, Slovenia © Shutterstock

Tra censimenti e confini: come la minoranza italiana ha navigato le acque agitate della storia jugoslava e come oggi si stia spaccando tra Slovenia e Croazia

07/03/2024 -  Stefano Lusa Capodistria

Alla fine della Seconda guerra mondiale della presenza italiana sulle coste dell’Adriatico non è rimasta che una “dissolvente” reliquia. Dopo l’esodo, i censimenti jugoslavi hanno fatto segnare un progressivo calo degli italiani. La loro principale organizzazione, l’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume , era perfettamente allineata al regime di Tito, ma sostanzialmente operò per salvare quello che restava della presenza italiana in Istria e a Fiume. Sul territorio sorsero una serie di Circoli italiani di cultura, che avevano lo scopo di sviluppare l’attività amatoriale. Un processo in linea con quanto avveniva nel resto del paese, dove il fine era quello di depotenziare le élite intellettuali, viste come possibili portatrici di nazionalismo. In ogni modo, negli anni che seguirono, il regime cercò di trasformare gli italiani in veri e propri jugoslavi di nazionalità italiana, fedeli alla linea e fieri cittadini della federazione socialista.

I risultati di questa politica emersero negli anni Ottanta, quando i dati del censimento dimostrarono che gli italiani oramai stavano sparendo. Sulla carta molti diritti furono concessi. Particolarmente magnanima fu soprattutto la Slovenia, che dopo la quasi totale sparizione della comunità italiana da Capodistria, Isola e Pirano non esitò a darle molto. Un modo soprattutto per poter chiedere un eguale trattamento anche per la minoranza slovena in Italia, dove solo pochissimi decisero di trasferirsi in Jugoslavia.

La consapevolezza che della comunità italiana rimaneva ben poco suscitò un vivace dibattito, che coincise anche con il tramonto della Jugoslavia comunista. Franco Juri, un giovane intellettuale capodistriano all’epoca tuonava sulle pagine de “La voce del popolo ”, il quotidiano della minoranza italiana, che era ora di finirla con i circoli dopolavoro di stampo staliniano. Si capiva che si sarebbe dovuto cambiare qualcosa sia nella minoranza sia in Jugoslavia. Juri avrebbe poi volato molto alto e si sarebbe fatto strada nella politica slovena, fino ad arrivare ad occupare la poltrona di viceministro degli Esteri.

Nella minoranza, comunque, il periodo era di vero e proprio fermento. Una nuova generazione era intenzionata a cacciare dalle stanze dei bottoni gli anziani “baroni rossi”. La struttura venne così riformata e dalle ceneri dell’Unione Italiana dell’Istria e di Fiume nacque la nuova Unione Italiana, dove nuovi baroni presero il posto di quelli vecchi.

Il processo di disgregazione della federazione jugoslava poneva però molte incognite. Con l’indipendenza di Slovenia e Croazia, la minoranza italiana, che sino a quel momento aveva operato in maniera unitaria, sarebbe stata divisa da una frontiera. Una soluzione che metteva in crisi soprattutto la parte slovena del territorio, che avrebbe rischiato di non poter più contare sul supporto di quei molti italiani che dalle altre parti dell’ex Jugoslavia venivano ad occupare posti nelle scuole e nelle altre strutture della minoranza. Proprio per questo si cercò di fare di tutto per mantenere “l’unitarietà” della minoranza nonostante il confine. Per raggiungere l’obiettivo si mosse anche la diplomazia italiana, mentre per la prima volta i dati del censimento, negli anni Novanta, fecero segnare un aumento significativo del numero di italiani presenti sul territorio. Per i romantici la democrazia aveva fatto riemergere gli italiani sommersi, mentre per i cinici non si trattava che di uomini e donne in cerca di un possibile salvagente di fronte ai venti di guerra che spiravano sulle repubbliche dell’ex Jugoslavia. Probabilmente è vera in parte l’una e in parte l’altra cosa.

Sta di fatto che dopo l’indipendenza Slovenia e Croazia cominciarono a percorrere strade separate. Lubiana marciava spedita verso le integrazioni euroatlantiche, mentre i croati marciavano verso il fronte. In quei primi anni il confine tra i due paesi rappresentò così una linea di demarcazione tra la pace e la guerra. La minoranza italiana però continuò a rimanere alquanto unita. L’Unione Italiana seguitò a rappresentarla e soprattutto a dialogare unitariamente per gli italiani di Slovenia e Croazia con l’Italia. Arrivarono così molti finanziamenti. Scuole, palazzi ed altre strutture vennero sistemate per le esigenze della locale comunità italiana. L’Unione Italiana sviluppò una buona collaborazione con la Dieta democratica istriana, il partito regionalista che aprì agli esponenti della minoranza italiana molte stanze dei bottoni a livello locale. In Slovenia invece lo stato aveva predisposto suoi particolari organismi per dare rappresentanza agli italiani, ma non ne voleva proprio sapere di riconoscere formalmente l'Unione Italiana. Per arrivarci ci volle molto lavoro da parte della Farnesina ed anche l’impegno di Franco Juri, che da viceministro sloveno degli Esteri contribuì a risolvere il problema.

Nel nuovo contesto e anche senza i “baroni rossi” la minoranza italiana, però, continuò a fare quello che aveva sempre fatto nelle sue comunità: cori, bande, filodrammatiche e altra attività amatoriale di vario tipo, con poche vere eccellenze. In sintesi, tutto era cambiato affinché nulla cambiasse. A ciò va aggiunto un rinnovato culto del dialetto e dell’identità regionale istriana. Il risultato è che all’ultimo censimento della popolazione in Croazia il numero degli italiani è tornato ad essere vicino a quello registrato negli anni Ottanta. Questa volta però non è partito nessun vivace dibattito ed il clima è di generale disinteresse. Il segno più evidente che oramai la presenza italiana sulle coste dell’Adriatico orientale è più istituzionale che reale. In compenso, però, da anni nella minoranza sta andando in scena una implacabile guerra senza esclusione di colpi tra prime donne o presunte tali. L’ultimo atto dello scontro ha portato ad una spaccatura dell’Unione Italiana tra Slovenia e Croazia.

Lo stratagemma usato per registrare l’Unione Italiana anche in Slovenia solo sulla carta dava vita a due organizzazioni: una con sede a Fiume ed una con sede a Capodistria. Un formalismo, fino a ieri, irrilevante visto che l’organizzazione operava in maniera unitaria e con i suoi rappresentanti eletti a suffragio universale da tutti i membri dell’Unione. Adesso, senza che ci fosse nessuna specifica richiesta da parte delle autorità slovene, sette consiglieri dei dieci dell’assemblea di Unione Italiana eletti in Slovenia, hanno deciso di riunirsi in gran segreto e di scegliere il nuovo coordinatore di Unione Italiana “Capodistria”. Un vero e proprio colpo di mano che per ora nessuno sembra voler gestire, con i capetti che si contendono il potere all’interno della minoranza impegnati a calcolare il beneficio che potranno trarre nel marasma generale.


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