Uomo di spalle con le cuffie mentre gioca ad un videogame © Zivica Kerkez/Shutterstock

© Zivica Kerkez/Shutterstock

Secondo l’ultimo rapporto della “Serbian Games Association” (SGA), l’industria dei videogiochi in Serbia cresce a ritmi da capogiro; con un balzo del 20%, nel solo 2020 ha generato circa 120 milioni di euro di fatturato, dando lavoro a oltre 2.000 giovani e prospettando al paese un futuro da leader della regione

09/02/2022 -  Nicola Dotto Belgrado

Quella del “gaming” è una delle industrie in più rapida crescita a livello globale e una delle poche che non ha registrato un calo di produttività durante la pandemia; al contrario, le previsioni di crescita stimano che dagli attuali 180 miliardi di dollari di entrate si arriverà a quasi 270 nel giro di un paio d’anni. Se pensiamo che nel 2020 il mondo dei videogiochi ha generato addirittura maggiori introiti di altre industrie dell’intrattenimento “tradizionali”, come quella cinematografica e sportiva messe insieme, è chiaro come non si tratti più solo di un fenomeno per sparuti appassionati.

Secondo gli esperti, la Serbia corre bene e spedita verso questa moderna “febbre da gioco” e può diventare la nazione trainante nel sud-est europeo del settore; questo grazie alla presenza radicata di numerose e affermate start-up locali, a menti brillanti ed istruite e a investimenti in tecnologie digitali e Parchi Tecnologici dediti alla formazione. Ultimamente grandi aziende internazionali hanno deciso di aprire alcune filiali in loco, soprattutto nella capitale Belgrado, o sono entrate a far parte di società miste e l’anno scorso ha fatto rumore l’acquisizione da parte del gigante americano “Take-Two interactive”, dell’autoctona e affermata “Nordeus”, creatrice di uno dei giochi sul calcio di maggior successo a livello planetario, per la strabiliante cifra di 380 milioni di dollari; un passo che ha aperto conseguentemente le porte a mercati nuovi come l’America e la Cina.

Malgrado la natura stessa del prodotto-gioco venga associata in prevalenza a figure nel campo della programmazione, molti addetti nel paese sono occupati in aree diverse, dalle ricerche di mercato allo sviluppo dei giochi fino all’immissione degli stessi sul mercato. Se guardiamo ai settori, in Serbia ci si concentra principalmente sullo sviluppo di giochi per piattaforme mobili (iOS e Android) visto che circa il 40% dei giochi realizzati sono destinati ai telefoni cellulari; seguono i giochi per PC con il 33% della fetta del mercato, i giochi dedicati ai motori di ricerca con l’11% di quota, mentre l’altro 12% riguarda console, VR, social network, Smart TV, ecc.

Un altro indice per far capire il crescente interesse sul fenomeno è che nel 2019 “Games.con” , il Festival dedicato a questo mondo che si tiene ogni anno alla Fiera di Belgrado, (l’ultimo evento prima del passaggio al formato online a causa della pandemia) aveva registrato il record di visitatori (40.000) e a fine 2021 nella città di Novi Sad si è tenuta la prima conferenza scientifica nazionale sul tema organizzata dall’Accademia delle Arti di Novi Sad, in collaborazione con la Facoltà di Filosofia.

La formazione, da sola, non basta

In primis, la Serbia forma i futuri esperti informatici nelle proprie università: 1/3 delle società di gioco dichiara di assumere giovani neolaureati e di essere soddisfatto dal livello d’istruzione dei ragazzi. Al numero crescente di istituzioni statali e private che prevedono nel curriculum programmi rivolti all’industria del gioco, si affiancano numerose aziende private che fanno formazione in questo settore; un esempio è il “Crater Training Center ”, sorto dieci anni fa dall’esigenza di educare i giovani talenti nel campo degli effetti visivi, già in grande sviluppo a quel tempo.

Secondo Branko Milutinović, fondatore e direttore della sopracitata “Nordeus ”, le aree più importanti in cui il settore ha bisogno di svilupparsi al fine di realizzare grandi giochi in modo sostenibile sono il game design e la gestione dei prodotti e dei progetti e per riuscire nell’intento c’è bisogno non solo di formare ma di relazionarsi: “La collaborazione tra programmatori, designer, product manager, artisti, marketer e molti altri professionisti deve essere più presente nel nostro sistema educativo. Questo tipo di conoscenza multidisciplinare è ciò che aiuterà ogni azienda in Serbia che vuole produrre giochi, ed è ciò che vogliamo ottenere con il lavoro sia dell’organizzazione “SGA” che di “Digital Serbia”. Poiché operiamo ormai a livello globale, siamo in grado di portare qui esperti stranieri che possono trasmettere la propria eccellente esperienza internazionale in posizioni chiave, in aree dove non riusciamo ad assumere a livello locale come arte, design di giochi e marketing; inseguiamo anche persone che abbiano un’esperienza di gioco eccezionale, le quali sono in numero sproporzionatamente minore rispetto agli ingegneri”.

Milutinović ci tiene a sottolineare che rispetto a dieci anni fa sono stati fatti comunque grandi passi avanti nella formazione, anche grazie ai primi Master 4.0 sul gaming, e crede che un obiettivo importante sia ora creare un ecosistema locale, uno sviluppo equilibrato tra le diverse comunità di gioco che oltre alla capitale Belgrado coinvolgano Niš, Novi Sad, Kragujevac e altre città per consentire alla Serbia di posizionarsi bene sulla mappa del gioco mondiale: “Per raggiungere questo abbiamo bisogno di più storie di successo, più studi sullo sviluppo e più squadre che creino giochi”.

Il “Gaming Village”

A detta di molti lo sport rappresenta un altro potenziale ramo di espansione nello sviluppo della scena del “gaming”; stime approssimative rivelano che tra il 2 e il 5% della popolazione mondiale si rivolge agli sport elettronici (Esport). In Serbia, gli appassionati che li seguono, o vi partecipano attivamente, sarebbero tra i 150.000 e i 350.000; la maggior parte uomini tra i 17 e i 38 anni interessati alle rubriche dedicate alle competizioni di sport elettronici sui canali televisivi locali “Sport Klub Esports ” o “Arena Esport ”. Al padiglione serbo dell’Expo 2020 di Dubai alla fine di dicembre la più grande società di produzione di Esport dei Balcani, “Relog media”, in collaborazione proprio con il canale “Arena Esport”, ha presentato in anteprima il progetto per la realizzazione in Serbia del primo “Gaming Village” , una struttura dedicata provvista, tra le altre cose, di una Facoltà per gli studi sul gaming e di un’Arena con 10.000 posti a sedere dove organizzare i più grandi tornei del mondo di sport elettronici.

Milutin Pećić, fondatore e CEO di “Relog Media”, spiega l’importanza per la Serbia di posizionarsi come leader regionale anche in questo settore e cita la città polacca di Katowice come esempio riuscito di investimento negli Esport: “Sebbene a Katowice si tenga un solo torneo all’anno, la città è già posizionata come leader nel settore e la sua economia trae giovamento da questa attività. Immaginate solo quanto profitto ci potrebbe essere per il nostro paese e quanta visibilità turistica con l’apertura del “Gaming Village”; la Serbia si posizionerebbe non solo come leader regionale, ma anche mondiale in questo campo”, sottolinea Pećić, il quale aggiunge che la buona posizione geostrategica del paese, i buoni collegamenti aerei con altri paesi, la posizione centrale in Europa e il regime di esenzione dei visti verso molte grandi nazioni tra cui Cina, Brasile e India saranno i fattori cruciali per la buona riuscita del progetto.

Un lavoro quasi prettamente maschile

Marina Ivanović, serba di Loznica, è a capo del dipartimento di reclutamento della società di gioco tedesca “Kolibri” ed è entrata nella prestigiosa lista di “Forbes”, “30 under 30” 2021 per l’Europa; è una delle poche donne di un certo calibro nell’industria del “gaming”, a conferma del fatto che parliamo di un ramo quasi prettamente maschile, come lei stessa sottolinea: “Se guardiamo alle statistiche di genere nel settore possiamo vedere che oltre il 70% dei professionisti sono uomini. Questo è certamente allarmante quando notiamo che invece poco meno del 50% dei giocatori sono di sesso femminile. Esiste una grande discrepanza, anche perché quel 30% di donne e professioniste sono poco presenti in posizioni dirigenziali dove potrebbero avere un maggior impatto sulla diversificazione del settore e sul miglioramento della rappresentanza nei giochi. La conclusione è che sono ancora gli uomini quelli che fanno i giochi per le donne e sulle donne, e questo può essere piuttosto problematico se pensiamo a come le donne vengono rappresentate”.

Benché negli ultimi anni i movimenti per i diritti delle donne siano stati più presenti e combattivi, secondo Marina Ivanović si deve ancora lottare per avere ruoli femminili forti con narrazioni complesse che ritraggano fedelmente le complessità dell’identità femminile: “Non ho comunque perso la speranza, anche perché organizzazioni come 'Women in Games', di cui sono membro, stanno lottando per aumentare la consapevolezza in modo proattivo del motivo per cui abbiamo bisogno di più modelli di ruolo femminili e di come possiamo portare le donne ad avere successo nel settore”.

Le sfide del futuro

Secondo Vukašin Stojkov di ”Startit” , infine, le sfide più grandi che l’industria serba dei videogiochi al momento deve affrontare sono due: in primis, il costante deflusso di manodopera qualificata all’estero, cosa che porta a una carenza di sviluppatori nel paese e un problema di fiscalità associato all’assenza di aiuti governativi che causa la chiusura di quasi tutti gli studi più piccoli, i quali non avendo introiti durante la fase di sviluppo del gioco, scompaiono dopo pochi mesi. La soluzione però, suggerisce Stojkov, esiste già: “Basterebbe emulare alcuni esempi eccezionali come quello della Romania, la quale riducendo le tasse sugli stipendi degli sviluppatori ha di fatto trattenuto i migliori talenti in patria; una cosa di cui anche noi abbiamo bisogno per poter avere in futuro nuove ‘Nordeus”.


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