In Kosovo ci si prepara a formare un nuovo governo centrale e nuove amministrazioni locali. Nelle aree a maggioranza serba si devono però affrontare le conseguenze del boicottaggio elettorale: i cittadini si ritrovano senza rappresentanti, o con rappresentanti che non riconoscono tali

29/11/2007 -  Saša Stefanović Pristina

Mentre sono iniziati, almeno in modo informale, i colloqui che dovrebbero dare vita al nuovo governo del Kosovo, che sarà guidato quasi certamente dal Pdk di Hashim Thaci, ci sono questioni aperte che preoccupano la comunità internazionale ben più del del nuovo esecutivo. Prima fra tutte, il fatto che non c'è alcun serbo nelle amministrazioni locali, e vista la bassissima affluenza, e nonostante la legge garantisca alla comunità serba dieci seggi al parlamento di Pristina, i deputati che almeno in teoria siederanno su quei seggi avranno in realtà una credibilità politica molto dubbia.

L'appello di Belgrado al boicottaggio delle elezioni dello scorso 17 novembre ha avuto effetti dirompenti, e i serbi non avranno rappresentanza politica in nessuna delle 33 municipalità della regione. Il successo del boicottaggio è stato così schiacciante che a nord di Mitrovica solo tre elettori si sono recati alle urne. A Strpce, municipalità a maggioranza serba al confine con la Macedonia, solo 12 elettori hanno esercitato il proprio diritto al voto. Il nuovo partito di maggioranza qui sarà proprio il Pdk, visto che i sette partiti serbi che si erano registrati per le elezioni si sono ritirati dopo l'appello al boicottaggio di Belgrado. "Perché andare alle urne, se la Serbia ha invitato al boicottaggio? Anche se avessi insistito nel portare avanti la mia candidatura, non sarebbe cambiato nulla, visto che la gente ha deciso di non prendere parte al voto", ha dichiarato nei giorni scorsi Zoran Boskocevic, uno dei candidati alle municipali di Strpce. "Qui la popolazione è preoccupata, e davvero non sappiamo cosa aspettarci", ha aggiunto poi Boskocevic.

Il giorno successivo alle elezioni è stato amaro per i serbi di Strpce, ora che si prospetta la possibilità che il nuovo sindaco sia un albanese del Pdk. In realtà c'è ancora poca chiarezza su quanto avverrà nelle cinque municipalità del Kosovo a maggioranza serba, visto che l'Unmik ha deciso di rinviare ogni decisione al 4 dicembre, data in cui verranno annunciati i risultati definitivi delle consultazioni del 17 novembre.

Al momento, come deciso dal capo missione dell'Unmik Jochim Ruecker, i rappresentati serbi di Novo Brdo, Strpce, Zubin Potok, Leposavic e Zvecan rimangono ai propri posti. Lunedì 19 lo stesso Ruecker si era recato a Strpce, mentre giovedì scorso ha visitato Novo Brdo, dove ha parlato con la leadership serba locale, che dovrebbe lasciare i propri posti nell'amministrazione municipale ai rappresentanti eletti da Pdk, Ldk e dagli altri partiti albanesi. Ruecker ha invitato le due comunità ad incontrarsi, per discutere insieme di una possibile via d'uscita alla difficile situazione. Capiremo presto se il rappresentate dell'Unmik si aspetta davvero che una soluzione possa venire dal basso, o se semplicemente non sa che pesci prendere.

Subito dopo le elezioni l'attuale sindaco di Novo Brdo, Petar Vasic, aveva dichiarato: "Il nostro governo è il governo serbo, e se questo c'invita a non votare, dobbiamo rispettare la sua voce. D'altra parte, credo che se avessimo partecipato, grazie ai risultati elettorali, oggi conosceremmo meglio la situazione sul campo. Ora dobbiamo aspettare e vedere cosa succede", ha concluso Vasic, "per capire cosa hanno in mente gli albanesi, ed ascoltare le loro proposte su come risolvere la situazione".

Il lavoro del rappresentante dell'Unmik nel tentare di mettere una pezza a una situazione complessa e condizionata anche dagli scarsi risultati del processo negoziale sullo status finale del Kosovo, sembra tutt'altro che facile. "La Serbia ora intende nominare "sindaci paralleli" serbi nelle municipalità dove la nostra comunità e maggioritaria, in quelli che dovrebbero essere una specie di consigli municipali di transizione. Quello che l'Unmik deve evitare è un dualismo di poteri, e riconoscere questi sindaci", ha dichiarato Oliver Ivanovic, uno dei leader più ascoltati della comunità serba del Kosovo.

Quello che appare certo è che, al di là dei grandi giochi politici e diplomatici, i serbi del Kosovo non hanno sentito le elezioni del 17 novembre come un momento di possibile svolta o almeno di cambiamento della propria vita. "La gente è stanca della politica, ed ha boicottato le elezioni perché, in tutta sincerità, non ha mai pensato che andando a votare sarebbe successo qualcosa di nuovo. Noi continueremo a vivere in enclaves, come abbiamo fatto fino ad ora". E' questa l'opinione, raccolta a Gracanica, di Bogoljub Marinkovic, che negli ultimi otto anni, con il suo pulmino, ha svolto un vero ruolo di "legame vivo" tra le enclaves serbe del Kosovo centrale e la Serbia.

"Penso che non partecipare alle elezioni sia stato giusto, e questa mia opinione è uscita rafforzata nel momento in cui si è capito chi le aveva vinte", ha commentato, il giorno dopo le consultazioni, Vesna Kostic, anche lei di Gracanica, insegnante di scuola e madre di due bambini. "Come madre, non vedo molta speranza per un futuro di pace in Kosovo, nel caso in cui lo status finale della regione dovesse essere l'indipendenza".

La maggioranza dei serbi del Kosovo, a otto anni dalla fine del conflitto armato, vive in aree chiuse, soprattutto a sud dell'Ibar, guarda la tv serba e continua a sperare che alla fine il Kosovo rimarrà, in qualche modo, entro i confini della Repubblica di Serbia. In questi anni difficili, i serbi della regione sono stati marginalizzati anche politicamente, e se da una parte Belgrado denuncia continuamente il loro stato di esclusione, dall'altra con le sue scelte politiche ha spesso contribuito a questo processo di esclusione. I serbi che vivono isolati nelle enclaves, sentono di aver avuto poco da guadagnare dal boicottaggio.

Con i politici albanese-kosovari concentrati in modo esclusivo verso l'obiettivo dell'indipendenza, e quasi sempre orientati solo verso la propria comunità, i serbi del Kosovo si sentono presi nel mezzo, dimenticati, e adesso anche senza rappresentanza politica nelle municipalità dove sono maggioranza. E se da una parte è difficile prevedere miglioramenti, dall'altra il rischio che la situazione possa scivolare rapidamente verso direzioni pericolose ed indesiderate è sempre dietro l'angolo.

Ora spetta anche e soprattutto alla comunità internazionale dimostrare di essere in grado di salvaguardarli in questo momento così delicato, e salvare così anche la propria faccia.


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