Via Appia, Roma © barmalini/SHutterstock

Via Appia, Roma © barmalini/SHutterstock

Tra silenzi antichi e caos moderno, il viaggio inizia con un breve tragitto da Roma Termini a Ciampino. Fabio Fiori, come un coraggioso cavaliere urbano, percorre la strada in bicicletta prima di imbarcarsi alla volta di Rodi

16/02/2024 -  Fabio Fiori

Ogni partenza è un preludio, previsto o imprevisto, della meta. Anche quando la meta è incerta, se non inesistente, anche quando il viaggio è breve o lungo, usuale o inusuale. Comunque ci si chiude la porta di casa alle spalle e si parte, con l’idea di raggiungere un luogo o comunque di vivere un tempo odeporico. Rimane il fatto che si parte, mossi da una necessità o da una curiosità, magari solo dalla voglia di interrompere la routine. Il preludio è fatto di chilometri da fare sulle strade, oggi in auto o in treno, magari in bici o a piedi; qualche volta prendendo una nave o un aereo. Ma il preludio è anche un libro da leggere o un disco da ascoltare, un film da vedere o un museo da visitare, nelle ore del trasferimento o nei giorni, nei mesi, negli anni che lo precedono. Perché per viaggiare non basta pianificare ma è necessario anche sognare. Perché il viaggio è esperienza onirica.

Sogni che possono diventare incubi, come quello che ho vissuto in una mattina d’aprile dell’anno scorso, pedalando sulla Appia Antica prima e sull’Appia Nuova poi. Quindici chilometri che separano la Stazione Termini, dov’ero arrivato da Rimini su treni regionali con la bici al seguito, all’aeroporto di Ciampino, da cui sono partito sempre con la bici al seguito, ma smontata e imborsata. Un incubo popolato da intemperanze di taxisti romani, corrieri berberi, camionisti turcheschi, automobilisti borbonici, scuteristi ottomani, tutti spietati con il povero, spaesato pedalatore urbano. La pedalata da Termini a Ciampino è degna di un novello Cavaliere di Rodi! ho scritto sul taccuino arrivato finalmente all’aeroporto, sano e salvo ma sporco e spaventato.

Foto F. Fiori

Foto F. Fiori

A dire il vero non tutta la pedalata è stata funestata dalle scorribande dei feroci corsari, perché i primi chilometri all’interno delle Mura Aureliane e quelli fatti sul percorso ciclo-pedonale dell’Appia Antica all’interno del Parco erano stati tranquilli e ricchi di suggestioni. Prima fra tutte, la sosta alla Casa dei Cavalieri di Rodi, nella zona dei Fori, semideserta nelle prime luci dell’alba. Lì al cospetto della Bandiera Rossa Crociata di Bianco dei Cavalieri di Malta o per essere più precisi del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta, s’accorciano le distanze storiche e temporali con l’Isola. Una croce a otto punte carica di significati, adottata a partire dal Medioevo, quando l’ordine divenne cavalleresco e iniziò la sua lunga storia di guerre in Terrasanta e di peregrinazioni successive da un’isola all’altra: Cipro solo per qualche anno alla fine del Duecento, Rodi dal 1308 per due secoli, Malta a partire dal 1530.

Anche la Casa appare come un’isola affiorante dalle rovine, su cui poggia. Un’isola d’architetture veneziane quattrocentesche che vista da via Alessandrina, nel luminoso controluce sembra un luogo fantastico di Miyazaki, un’isola nel cielo, parafrasando il titolo di un suo film.

“A 'ndo vai?”, mi chiede senza fermarsi un barbone passandomi accanto con un carrello della spesa strapieno di vestiti, coperte e mille altre cose. “A Ciampino, per prendere l’aereo per Rodi”, rispondo io. E lui, che è già passato, si volta indietro e mi dice: “Eh see… e io vado su la Luna e da lassù te benedico!”.

Benedizione di cui poi ho scoperto avere bisogno, per arrivare incolume a Ciampino. Risalgo in sella e pedalo su Via dei Fori Imperiali, in direzione del Colosseo. Lascio l’Arco di Costantino, il Palatino e il Circo Massimo a destra, poi giro a sinistra in Viale delle Terme di Caracalla e m’infilo nella stretta Via Porta di San Sebastiano, per uscire dalla omonima porta monumentale, che era Porta Appia, perché da qui partiva la strada consolare, la regina viarum, la strada per l’Oriente. Ecco idealmente da qui mi lascio l’Italia alle spalle e decollo verso la mia isola d’oriente.

Se i primi chilometri sull’Appia Antica all’interno del Parco sono un viaggio nei silenzi antichi, resi ancor più profondi dalle eleganti livree dei cipressi e dagli sguardi severi dei defunti, gli ultimi sull’Appia Pignattelli e poi sull’Appia Nuova sono un’immersione del caos romano del presente. Comunque necessario per raggiungere in tempo l’aeroporto, considerando anche i 15 minuti che mi servono per smontare pedali, ruota anteriore, manubrio della bici e infilare il tutto nella borsa che imbarcherò. 60 euro a tratta, quindi un servizio più costoso del biglietto che, preso qualche mese prima, ho pagato 80 euro A/R.

Il volo FR02117, decolla con un ritardo di 20 minuti per problemi tecnici. Due ore, il tempo di volo stimato e, c’informa il comandante, a Rodi ci saranno 18°C e cielo coperto. Durante il volo, provo a stemperare le mie consuete ansie aeree leggendo qualche pagina de Il nuvolario di Fosco Maraini. Un breve trattato di nubignosia, cioè una descrizione poetica dei vapori dell’atmosfera.

Nuvole e isole, si contendono la mia attenzione volando sull’Egeo. Creature mutevoli e fluttuanti, ipnotiche e attraenti.

Ps

Fosco Maraini, nato a Firenze nel 1912 e morto nel 2004, è stato un grande viaggiatore e narratore di luoghi lontani, ma anche di tutto ciò che ci circonda nel quotidiano a partire proprio dalle nuvole, dee eteree e seducenti. “J’aime les nauges … les nauges qui passent… / là-bas… là-bas… les merveilleux nuages!”. Con questi versi di Baudelaire si apre Il Nuvolario. Principi di Nubisologia, un lungo articolo pubblicato da Maraini nel 1956 e ripubblicato nel 2020 da La nave di Teseo (pp. 130, 14 €), arricchito dalle fotografie dello stesso autore. Un testo poetico che è però anche un memento alle nostre responsabilità ambientali, perché un pianeta senza vapori sarebbe “un mondo perfettamente mondo d’immondo, ma nessuna forma di vita potrebbe sussistervi”.


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