Il discorso tenuto dal sindaco di Roma Walter Veltroni alla presentazione dell'Appello "L'Europa olre i confini". Roma, Sala della Protomoteca (24.09.2001)

24/09/2001 -  Anonymous User

Signor Sindaco, gentili ospiti,

c'erano tanti motivi, quando si è deciso di farlo, per organizzare l'iniziativa di oggi, per presentare qui in Campidoglio l'appello "L'Europa oltre i confini", volto a ottenere una rapida integrazione nell'Unione Europea dei paesi dell'Europa sud-orientale.

Non potevamo sapere, però, che quei motivi si sarebbero moltiplicati. Non potevamo immaginare di trovarci qui, oggi, con ancora nel cuore il dolore per le migliaia di vittime della tragica mattina dell'11 settembre, con la mente attraversata da mille domande, dal pensiero dei nuovi scenari che si sono aperti davanti a noi dopo l'attacco terroristico che ha colpito gli Stati Uniti, il cuore delle democrazie occidentali.

Se è vero, come non si stancano di ripetere voci sagge e autorevoli, che la risposta dovrà essere ferma e forte, senza però che la politica abdichi al proprio ruolo, e senza modalità di intervento che farebbero il gioco di chi auspica una "guerra santa", un vero e proprio "scontro di civiltà" fra Islam e Occidente, allora io credo che l'incontro di oggi e la presenza a Roma del sindaco di Sarajevo assumano un significato particolarmente importante.

Sarajevo, come Roma, ha il proprio nome iscritto nella storia, è una delle città simbolo del Novecento e dei suoi tormenti, di un secolo aperto dal primo conflitto mondiale e chiuso dal crollo di quel muro, dalla fine della divisione in blocchi del nostro pianeta.

Sarajevo, come Roma, ha una lunga tradizione di apertura, di convivenza fra etnie, culture e fedi diverse. Una tradizione ferita, mortificata dalla terribile guerra del 1992, che ancora è impressa nei nostri pensieri e ancora brucia nelle nostre coscienze.

Una tradizione ferita, ma non cancellata. Uno spirito sottoposto a una prova durissima, ma non per questo scomparso, non per questo incapace di parlare ancora al nostro tempo.

Ho avuto occasione, dirigendo in quegli anni un giornale importante nel panorama della stampa italiana, di seguire da vicino la vicenda dei Balcani, di soffrire nel dover raccontare di quei bombardamenti sul mercato di Sarajevo, delle sofferenze di una popolazione stremata, della rabbia causata dall'impotenza dell'Europa e della comunità internazionale di fronte a tutto questo.

Oggi so, signor Sindaco, che quelle ferite sono ancora presenti, nell'animo di chi ha patito e di chi ha perso le persone più care, così come sui muri degli edifici, delle case ancora segnate dai colpi subiti allora. Ma so anche che la vita è tornata a scorrere nelle vie e nelle piazze della città, di nuovo attraversate dai giovani. E so che le campane delle chiese cattoliche e ortodosse hanno ripreso a suonare, così come i muezzin hanno ricominciato a chiamare i fedeli nelle moschee.

E proprio a questo proposito mi ha colpito, mi è sembrato un segno di speranza, che appena il giorno dopo gli avvenimenti americani si sia aperta una conferenza interreligiosa che ha raccolto partecipanti di tutto il continente, arrivati a Sarajevo per discutere il tema dei rapporti fra cristiani e musulmani in una Europa aperta, tollerante e pluralista.

Il messaggio finale che è scaturito da questo incontro parla del rifiuto della violenza nel nome delle religioni e della necessità di promuovere iniziative "a sostegno della vita, della libertà, della proprietà, della dignità e della giustizia senza alcuna discriminazione".

Davvero un segnale opposto rispetto all'inaccettabile atto di barbarie voluto da chi ha armato la mano dei terroristi. Davvero un messaggio di speranza, di dialogo e di pace in un momento in cui rischia di essere più forte la voce di chi predica odio e guerra, in nome dell'integralismo e del fondamentalismo.

In questa logica e in questo linguaggio le nostre democrazie non dovranno cadere. Anche nel momento di colpire chi si è macchiato di questo crimine contro l'umanità, anche se si dovranno estirpare le radici del terrorismo internazionale, non dovremo mai dividere il mondo in base alle religioni, le etnie, le civiltà. Dovremo invece mantenere sempre aperta la porta del dialogo, del confronto, dello sforzo di comprendere l'altro, ciò che è diverso da noi. Dovremo davvero sapere andare "oltre i confini", oltre i muri che abbiamo conosciuto e ogni nuova possibile barriera.

La risposta migliore a chi vuole la guerra è la pace, la ricerca incessante del negoziato e della pace. E la risposta migliore a chi vorrebbe che ogni Stato si richiudesse in se stesso, che ogni popolo si richiudesse nelle sue paure, è l'apertura agli altri, è l'allargamento delle nostre istituzioni sovranazionali.

Mi vengono in mente le parole di un uomo che per Sarajevo ha speso le sue ultime energie, che per Sarajevo ha sofferto, dedicando l'ultima parte della sua vita a chiedere che il mondo, l'Europa, facessero qualcosa.

Era un uomo di pace, Alex Langer. Chiedeva di distinguere tra aggressori e vittime, chiedeva di aprire le porte alla Bosnia-Erzegovina, di farla entrare a far parte pienamente dell'Unione Europea. Perché l'Europa, diceva Langer in quel momento così difficile, "muore o rinasce a Sarajevo".

Dopo quelle sue parole il cammino è stato ancora duro, complesso, pieno di sofferenze e di conflitti. Dopo lo sfaldamento dell'ex Jugoslavia abbiamo assistito, nei Balcani, all'implosione politica dell'Albania, alla guerra in Kossovo, alla crisi della Macedonia.

Ma resta l'intima verità di quell'ammonimento. Resta il dovere, l'interesse dell'Europa, alla definitiva stabilizzazione di quell'area, al compimento del processo integrato di sviluppo e di liberalizzazione dei sistemi politici ed economici dei Balcani occidentali in vista della loro piena inclusione nello spazio giuridico, civile ed economico dell'Unione Europea.

E' anche attraverso i Balcani che passa la ricerca di una nuova identità condivisa del nostro continente. Servirà lo sforzo congiunto di governi e organismi internazionali. Servirà la mobilitazione e l'impegno delle popolazioni, delle organizzazioni non governative, dell'associazionismo, del volontariato e anche delle amministrazioni locali, perché solo unendo le forze, con il rispetto dei reciproci ruoli e delle potenzialità di ciascuno, è possibile costruire una moderna politica di cooperazione e di solidarietà.

Roma e Sarajevo avranno un ruolo, in questo processo.Roma, che in questi ultimi anni ha sviluppato diverse iniziative solidarietà e di cooperazione con Sarajevo e la Bosnia, continuerà, signor Sindaco, a lavorare insieme alla sua città e al suo Paese, perché è solo insieme che potremo costruire l'Europa di domani, è solo insieme che potremo assicurare ai nostri figli un futuro di pace, di prosperità e di convivenza pacifica tra i popoli.

Walter Veltroni, Sindaco di Roma

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