Qual è l’atteggiamento della Croazia e dell’Unione europea nei confronti di migranti e rifugiati intrappolati alle frontiere esterne dell’UE? Lo spiega nel dettaglio Massimo Moratti, vice direttore dell’ufficio per l’Europa di Amnesty International
(Originariamente pubblicato da H-Alter , 1 giugno 2021)
Circa un anno fa, alla fine di maggio 2020, alcuni uomini che indossavano uniformi delle forze speciali della polizia croata avevano fermato un gruppo di rifugiati afghani e pakistani alla frontiera croato-bosniaca, li avevano brutalmente maltrattati e umiliati, infliggendo loro gravi ferite, per poi rispedirli in Bosnia Erzegovina. Le autorità croate non hanno mai aperto un’indagine sulla vicenda, negando la veridicità di quanto affermato dai rifugiati. Nemmeno la Commissione europea ha reagito in modo adeguato, nonostante possa essere considerata in parte responsabile di incidenti di questo tipo perché sostiene con finanziamenti tutt’altro che modesti le attività della polizia di frontiera croata.
Pur non essendo stato né il primo né l’ultimo caso in cui sono emerse l’estrema crudeltà e la xenofobia della polizia croata nei confronti delle persone che fuggono da situazioni di incertezza e povertà, l’episodio sopra descritto ha avuto una forte eco all’estero, diventando un esempio paradigmatico di violazioni dei diritti umani dei migranti da parte delle autorità croate.
Nel giugno 2020 Amnesty International ha pubblicato un rapporto su questo episodio che contiene alcune immagini inquietanti e testimonianze dei rifugiati maltrattati dalla polizia.
A un anno di distanza da quei fatti, abbiamo interpellato Massimo Moratti, vice direttore dell’ufficio per l’Europa di Amnesty International, per parlare dell’atteggiamento della Croazia e dell’Unione europea nei confronti di migranti e rifugiati intrappolati alle frontiere esterne dell’UE.
Un anno fa Amnesty International ha pubblicato un rapporto sulle violenze commesse da alcuni agenti della polizia croata – ovvero da alcune persone in uniforme nera e con dei passamontagna in testa – nei confronti di un gruppo di sedici rifugiati provenienti dal Pakistan e dall’Afghanistan. Da allora i casi di violenza nei confronti di migranti e rifugiati lungo il confine croato-bosniaco non sono diminuiti. Secondo le informazioni a sua disposizione, com’è stata la situazione in quell’area negli ultimi dodici mesi?
Purtroppo, la situazione non è cambiata. Nel 2020 sono stati registrati quasi 16.500 casi di pushback, ovvero di respingimenti collettivi [di migranti e rifugiati] dalla Croazia, e nei primi quattro mesi del 2021 ne sono stati registrati 1400.
Durante i mesi più freddi dell’inverno il numero di persone che hanno tentato di attraversare la Croazia era leggermente diminuito, ma ora sta nuovamente aumentando, e di conseguenza aumentano anche i respingimenti. Tuttavia, durante tutto l’anno si sono verificati numerosi casi di comportamento violento da parte delle forze dell’ordine e della polizia di frontiera croata, e questo nonostante la diminuzione della pressione migratoria al confine [croato-bosniaco]. Oltre la metà dei migranti e rifugiati respinti dalla Croazia ha denunciato furti, estorsioni e distruzioni di oggetti personali da parte della polizia croata, mentre un terzo delle persone respinte ha affermato di aver subito abusi fisici e trattamenti violenti o degradanti.
Negli ultimi dodici mesi i respingimenti collettivi sono diventati sempre più violenti. Ad esempio, nell’ottobre 2020 il Danish Refugee Council ha raccolto, in una sola settimana, quasi 70 testimonianze dei migranti respinti, molti dei quali hanno riportato lesioni evidenti, comprese fratture e gravi contusioni, dopo essere stati picchiati con spranghe di ferro e manganelli. Un giovane uomo ha raccontato dettagliatamente di aver subito violenza sessuale da parte di alcuni uomini armati in uniforme. I medici di Bihać e Velika Kladuša che hanno prestato soccorso ai migranti hanno confermato la presenza di ferite particolarmente gravi, nonché la violenza sessuale subita da uno dei migranti. Nel febbraio di quest’anno si sono verificati alcuni casi molto inquietanti di violenza sessuale contro alcune donne che sono state fermate mentre cercavano di attraversare la Croazia con le loro famiglie.
La brutalità di questi episodi e la tendenza a umiliare e intimidire le vittime indicano che si tratta di un fenomeno equiparabile a tortura e a trattamenti degradanti.
Ed è un fenomeno sistematico?
Non vi è dubbio che i respingimenti illegali di migranti e rifugiati verso la Bosnia Erzegovina o verso la Serbia e la violenza che accompagna tali respingimenti rappresentano una prassi diffusa e sistematica, utilizzata dalle autorità croate come strumento di gestione dei confini e di deterrenza nei confronti dei potenziali richiedenti asilo. È una prassi contraria sia alla normativa dell’Unione europea sia a quella croata che prevedono esplicitamente che chiunque chieda asilo abbia accesso ad una procedura equa ed efficace e che venga trattato con dignità.
Come commenta le reazioni delle autorità croate alle accuse di violenza? Il ministro dell’Interno Davor Božinović ripete che i controlli interni hanno rilevato che tutte le accuse [rivolte alla polizia] sono false…
Le reazioni del ministero dell’Interno alle accuse di violenza sono sempre uguali e prevedibili. Il ministro Božinović continua a respingere le accuse di azioni illegali, senza mai affrontarle, e spesso ricorre ad una tattica volta a screditare non solo le vittime, ma anche le organizzazioni e i media che denunciano episodi di violenza. Il ministero sostiene che i casi denunciati non siano corroborati da prove sufficienti, comprese le informazioni sull’identità delle vittime e dei perpetratori, e che questo renda più difficile condurre indagini adeguate.
Quest’affermazione però non corrisponde del tutto alla verità. Ci sono sempre più migranti e rifugiati disposti a rivelare la propria identità, molti di loro sono riusciti a identificare i perpetratori delle violenze subite, decidendo di avviare un’azione legale contro il ministero dell’Interno. I nostri colleghi del Centro per la pace di Zagabria hanno sporto diverse denunce presso la Procura della Repubblica, tra cui una denuncia relativa a quell’episodio di cui abbiamo parlato prima, documentato da Amnesty International nel giugno 2020. Tuttavia, secondo le informazioni di cui disponiamo, nessuna di queste denunce ha portato all’apertura di un’indagine.
Inoltre, nutriamo seri dubbi sull’indipendenza e l’efficacia del Servizio di controllo interno del ministero dell’Interno. Lo stesso ministero ha affermato – anche nella corrispondenza con Amnesty International – che la stragrande maggioranza delle denunce esaminate dal Servizio di controllo interno (compresi tutte quelle risalenti al 2019) è stata giudicata infondata ed è stata respinta. Recentemente, il ministero ha fatto intendere che un’indagine interna ha rilevato che 75 denunce sono fondate. A tutt’oggi però non è ancora chiaro se dopo questa indagine qualche agente di polizia sia stato sottoposto ad un procedimento disciplinare o penale.
Dopo una visita effettuata in Croazia nel 2018, il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa (CPT) ha espresso preoccupazione riguardo all’adeguatezza delle indagini condotte dal Servizio di controllo interno, invitando le autorità croate a istituire una commissione indipendente incaricata di esaminare le denunce, cioè un organismo composto da soggetti non appartenenti alle forze dell’ordine che potrebbe contribuire a rafforzare il meccanismo di controllo indipendente dell’operato della polizia. Tuttavia, questa commissione non è mai stata istituita, quindi i funzionari del ministero dell’Interno si affidano esclusivamente ad un organismo interno per indagare sulle accuse mosse nei confronti di alcuni dei loro colleghi. Nessuna sorpresa quindi se le indagini interne al ministero di solito non portano da nessuna parte.
Secondo lei, quali sono i motivi alla base di questa riluttanza a fare chiarezza sulle accuse di violenza?
La tendenza del ministero dell’Interno a respingere continuamente tutte le accuse e i controlli interni inefficaci suggeriscono che manca la volontà di porre fine a prassi illegali o, nella peggiore delle ipotesi, che si cerca di insabbiarle.
Dopo una serie di incidenti, compreso quello che abbiamo documentato nel giugno del 2020, nell’agosto 2020 il Comitato per la prevenzione della tortura ha effettuato una missione urgente in Croazia. Il rapporto del CPT, che sicuramente contiene una valutazione aggiornata della capacità del ministero dell’Interno croato di svolgere indagini interne, nonché le informazioni riguardanti il monitoraggio delle attività effettuate dalla polizia lungo i confini, è stato approvato dal Consiglio d’Europa nel novembre 2020, ma non è mai stato pubblicato. Nella maggior parte dei casi, se un rapporto del CPT non viene pubblicato è perché il paese a cui è dedicato non ne consente la pubblicazione. Siamo profondamente preoccupati per la possibilità che le autorità croate stiano bloccando la pubblicazione di questo rapporto perché contiene le informazioni che confermerebbero quanto Amnesty International e molti altri sostengono ormai da anni, ovvero il fatto che alle persone che fuggono da guerre e persecuzioni viene negato l’accesso all’asilo in Croazia. Molte di queste persone vengono aggredite e maltrattate prima di essere respinte illegalmente in Bosnia Erzegovina, e i sistemi di controllo interno e di monitoraggio dell’operato della polizia sono inefficaci, se non addirittura inesistenti.
Nella situazione in cui il ministero dell’Interno continua ad affermare che le testimonianza dei migranti non sono una prova legittima e mette in discussione la credibilità delle organizzazioni e dei media che denunciano violazioni, sarebbe molto importante rendere pubblico il rapporto del Consiglio d’Europa. Il fatto che questo rapporto non sia stato ancora pubblicato è un’ulteriore conferma che le autorità croate non solo non sono disposte a contrastare pratiche illegali, ma rifiutano qualsiasi controllo pubblico del loro operato. L’opinione pubblica e i cittadini croati hanno diritto di sapere perché il rapporto del Consiglio d’Europa non è stato pubblicato.
Nel comunicato diffuso da Amnesty International in merito a quell’episodio verificatosi nel maggio 2020 si afferma che il ministero dell’Interno croato è stato informato dell’accaduto, senza però fornire alcuna risposta ufficiale. Nel frattempo avete ricevuto qualche risposta dalle autorità croate?
Ogni volta, prima di pubblicare le informazioni di cui disponiamo, le condividiamo con le autorità e diamo loro la possibilità di replicare. Nella risposta ricevuta dal ministero dell’Interno dopo la pubblicazione del comunicato in questione, il ministro Božinović ha respinto tutte le accuse, affermando che il ministero non disponeva di alcuna informazione che indicasse che quel gruppo di migranti fosse stato fermato nei pressi dei laghi di Plitvice, suggerendo che le ferite che Amnesty International ha documentato fossero causate da “scontri fisici” tra migranti e non dalle violenze della polizia. Il ministro ha inoltre accusato i migranti di “diffondere bugie” sulla polizia croata per vendicarsi perché è stato impedito loro di entrare in Croazia e nell’UE.
La risposta del ministro Božinović non ci ha colti di sorpresa perché le autorità croate, nel tentativo di scollarsi di dosso le pesanti accuse che vengono loro rivolte, ormai da tempo cercano di mettere in dubbio la credibilità delle vittime e delle loro testimonianze, rappresentando i migranti e i rifugiati come delinquenti.
Nel comunicato di cui sopra lei ha affermato che “l’Unione europea non può più restare in silenzio e ignorare deliberatamente la violenza e gli abusi da parte della polizia croata”, invitando la Commissione europea ad avviare un’indagine sulle accuse rivolte alla polizia croata. È soddisfatto del modo in cui la Commissione europea ha reagito a questa vicenda?
Le reazioni di alcuni funzionari della Commissione europea, compresa la Commissaria per gli Affari Interni Ylva Johansson, sono state molto dure. La Commissaria Johansson ha reagito subito dopo una serie di episodi violenti accaduti nell’ottobre 2020, inviando al ministro Božinović una lettera dai toni forti con cui invitava le autorità croate a fornire informazioni dettagliate sulle indagini interne (quante ne sono state avviate e con quale scopo) e chiedeva rassicurazioni in merito all’indipendenza delle indagini. La Commissaria ha duramente condannato le violazioni dei diritti umani, ribadendo il suo impegno ad affrontare la questione degli abusi che si verificano alle frontiere esterne dell’UE.
Purtroppo, alle parole dei funzionari della Commissione europea non ha fatto seguito alcuna azione concreta. La Commissione insiste sul fatto che non rientra nelle sue competenze indagare sulle violazioni commesse dagli stati membri e che, in questo caso, spetta alle autorità croate svolgere indagini sulle accuse. Questo è in parte vero, ma non bisogna dimenticare che la Commissione europea, come “custode dei trattati dell’UE”, ha la responsabilità e il dovere di garantire che gli stati membri rispettino i diritti e le libertà fondamentali, nonché le leggi dell’UE.
Questo aspetto è particolarmente importante nel contesto dei finanziamenti europei, e la Commissione ha il compito di garantire che i fondi UE messi a disposizione degli stati membri non vengano utilizzati per compiere violazioni dei diritti umani. È chiaro che, nel caso della Croazia, la Commissione ha fallito nell’adempiere a questo compito. I fondi di emergenza forniti alla Croazia nel 2018 (e poi di nuovo nel 2019 e nel 2020) sono stati utilizzati, tra l’altro, per l’erogazione degli stipendi alle guardie di frontiera e agli agenti di polizia croata sospettati di essere coinvolti in pratiche illegali e in atti di violenza.
Nonostante le ripetute richieste rivolte alla Commissione europea affinché chiedesse spiegazioni alle autorità croate, la Commissione non ha esercitato forti pressioni sul ministero dell’Interno croato né tanto meno ha vincolato l’erogazione dei fondi europei ad un sostanziale miglioramento della situazione ai confini. Anzi, l’UE ha concesso alla Croazia ulteriori finanziamenti di emergenza e nel 2019 ha dato luce verde all’adesione della Croazia allo spazio Schengen.
È stata proprio la mancanza di una reazione adeguata da parte dell’UE a spingere Amnesty International a presentare denuncia contro la Commissione europea presso l’Ufficio del difensore civico europeo. Nella denuncia abbiamo affermato che la Commissione non ha adempiuto al suo compito di garantire il rispetto delle leggi dell’UE e dei diritti umani da parte della Croazia durante le operazioni effettuate ai confini, operazioni peraltro finanziate con fondi europei. Nel novembre 2020 l’Ufficio del difensore civico ha deciso di aprire un’inchiesta sulle possibili responsabilità della Commissione e le indagini sono tuttora in corso.
“Il minimo che ci aspettiamo è una condanna di tali atti e un’indagine indipendente sulle violazioni segnalate, nonché la creazione di un meccanismo efficace che garantisca che i fondi UE non siano utilizzati per compiere atti di tortura e respingimenti illegali”, si legge nella summenzionata nota diffusa da Amnesty International nel giugno 2020. In Croazia invece prevale l’idea che la polizia croata svolga “il lavoro sporco” nell’interesse e con la tacita approvazione dell’UE…
Non vi è dubbio che l’attuale situazione alle frontiere esterne dell’UE – compresa la Croazia, la Grecia e l’Ungheria – è in gran parte conseguenza diretta della politica migratoria dell’UE che ha dato priorità alla sicurezza dei confini, focalizzandosi su come impedire l’ingresso di migranti e rifugiati in Europa.
Il modo migliore per porre fine alle pratiche illegali alle frontiere sarebbe quello di trovare un accordo a livello dell’UE sulla creazione di un sistema di gestione della migrazione più efficace e più umano in grado di assicurare il giusto equilibrio tra diritti umani e sicurezza e di garantire che le persone che fuggono da guerre, persecuzioni e povertà possano accedere alla protezione nei paesi europei in modo legale e sicuro. Il nuovo patto UE sulla migrazione e l’asilo, presentato nel settembre 2020, è stata una buona occasione per creare tale sistema. Purtroppo, le soluzioni proposte nel patto, attualmente in fase di discussione, ancora una volta hanno dato priorità alla sicurezza dei confini piuttosto che ai diritti umani.
Tuttavia, a prescindere dalle attuali discussioni politiche a livello dell’UE, gli stati membri devono rispettare le norme internazionali e interne, e questo vale anche per la Croazia. Le pratiche illegali a cui si assiste ai confini croati, oltre ad essere illegali, sono largamente sproporzionate e inutili.
La Croazia non ha ancora creato un meccanismo di monitoraggio del rispetto dei diritti umani nelle aree di confine, per il quale ha ottenuto 300mila euro dall’UE. Come mai questa riluttanza delle autorità croate a istituire un meccanismo di monitoraggio indipendente?
Questo esempio illustra meglio di qualsiasi altra cosa l’ostinazione delle autorità croate a impedire qualsiasi forma di controllo indipendente sul proprio operato. La creazione di un meccanismo indipendente di monitoraggio era una delle condizioni per l’assegnazione dei fondi di emergenza alla Croazia nel 2018 proprio a causa della forti preoccupazioni dell’UE in merito alle accuse di violazioni sistematiche rivolte alla polizia croata. Eppure, tale meccanismo, non è mai stato creato.
Sappiamo che attualmente il ministero dell’Interno croato e la Commissione europea stanno lavorando insieme alla stesura di un memorandum di intesa sulla creazione di un meccanismo di monitoraggio, ma sembra che i negoziati fatichino ad avanzare, soprattutto a causa della riluttanza delle autorità croate a garantire l’effettiva indipendenza e l’efficacia di tale meccanismo.
Se ci fosse un’autentica volontà di porre fine alle violazioni e di garantire che gli agenti della polizia di frontiera si assumano la piena responsabilità delle loro azioni, verrebbe creato un meccanismo che coinvolga i rappresentanti della società civile e delle istituzioni indipendenti, come l’Ufficio del difensore civico. È un prerequisito per garantire l’indipendenza di qualsiasi meccanismo di monitoraggio.
Inoltre, un meccanismo di monitoraggio efficace dovrebbe consentire ai soggetti coinvolti il pieno accesso ai documenti e ai luoghi in cui vengono detenuti i migranti, nonché la possibilità di recarsi nelle aree di confine senza preavviso. Se non dovesse includere questi elementi, qualsiasi sistema di monitoraggio diventerà una tigre di carta, anziché uno strumento per garantire la responsabilità e porre fine alle violazioni dei diritti umani.
Recentemente è stata pubblicata una sentenza della Corte costituzionale della Repubblica di Croazia riguardante un incidente accaduto nel 2017 al confine tra Croazia e Serbia in cui rimase uccisa una rifugiata afghana, la piccola Madina Hussiny. La Corte costituzionale ha stabilito che la polizia croata aveva ignorato la richiesta della famiglia Hussiny di poter presentare la domanda di protezione internazionale in Croazia, ordinando ai membri della famiglia di ritornare, in piena notte, in Serbia seguendo i binari di una linea ferroviaria. Quella stessa notte la piccola Madina venne uccisa da un treno. Come commenta questo caso e la sentenza della Corte costituzionale?
È una sentenza molto importante, soprattutto considerando che è stata emessa da un organo giudiziario croato. La Corte ha confermato che la Croazia ha violato il diritto della famiglia Hussiny di chiedere asilo e, costringendo i membri della famiglia a ritornare in Serbia, ha messo in pericolo la loro incolumità e li ha esposti al rischio di essere soggetti a tortura e maltrattamenti. La sentenza ha messo in luce l’incapacità delle autorità croate di effettuare un’adeguata valutazione in merito alla possibilità o meno di considerare la Serbia come “paese terzo sicuro”.
Negli ultimi due anni, i tribunali di alcuni paesi europei hanno emesso simili sentenze, bloccando la riammissione dei richiedenti asilo in Croazia per il timore che le loro richieste di protezione potessero essere ignorate e che potessero essere arbitrariamente respinti verso la Bosnia Erzegovina o verso la Serbia.
Purtroppo, la sentenza della Corte costituzionale croata non può riportare in vita la piccola Madina e probabilmente è di poca consolazione per la sua famiglia. Tuttavia, questa sentenza è di grande importanza per lo stato di diritto in Croazia e contribuirà, lo auspichiamo, al rispetto del diritto delle persone che chiedono protezione internazionale di accedere ad una procedura adeguata, permettendo loro di ricorrere ad azioni legali in caso di violazione dei propri diritti.
Quali sono le ragioni politiche e ideologiche alla base di una xenofobia così forte come quella che emerge dall’atteggiamento delle autorità croate nei confronti dei migranti? “La paura del terrorismo islamico” può essere un motivo sufficiente? Tra diverse centinaia di migliaia di rifugiati giunti nell’UE non c’è stato praticamente alcun caso di “terrorismo”…
È difficile dire con certezza cosa spinge le autorità croate ad agire in questo modo. Non vi è dubbio che la xenofobia e “la paura del terrorismo islamico” giocano un ruolo nel trattamento inumano delle persone disperate, molte delle quali fuggono da guerre, persecuzioni e povertà.
Tuttavia, la Croazia non è un caso isolato in Europa. Assistiamo a situazioni simili anche in altri paesi europei, come l’Ungheria, la Polonia, e persino la Francia, dove una minoranza rumorosa, spesso sostenuta dai media mainstream, enfatizza la paura del terrorismo, ricorrendo a discorsi che fomentano l’intolleranza. In un clima di paura e “minacce”, è più facile spiegare e giustificare un approccio duro alla migrazione. In altre parole, è possibile che la xenofobia sia usata come mezzo per raggiungere certi obiettivi politici, ma non sembra essere il principale motore della violenza ai confini.
Invece di ricorrere al linguaggio d’odio, i funzionari pubblici e i media dovrebbero condannare con fermezza tali discorsi. In questo momento, i discorsi d’odio potrebbero rivelarsi vantaggiosi per alcuni partiti politici, ma a lungo termine rischiano di minare le fondamenta della società croata e i valori democratici su cui la Croazia pretende di fondarsi.
È possibile intravedere nell’atteggiamento violento nei confronti delle persone che fuggono dalle conseguenze delle guerre e del degrado sociale alcuni elementi di un “Ur-fascismo”, per prendere in prestito l’espressione coniata da Umberto Eco?
La ringrazio per questa domanda che apre alcune questioni molto importanti. Ormai da sessant’anni Amnesty International è impegnata in ricerche e azioni volte a prevenire e porre un freno alle più gravi violazioni dei diritti umani. La solidarietà globale, il rispetto reciproco, l’indipendenza e l’imparzialità sono alcuni dei principali valori che guidano la nostra attività. Nel corso degli anni, i paesi europei – come emerge anche dai nostri rapporti annuali – hanno messo in atto politiche migratorie che provocano sofferenza e violazioni dei diritti umani. Questo accade non solo in Croazia, ma anche in Grecia, Ungheria, Italia e in altri paesi situati alle frontiere esterne dell’UE. Le migrazioni, provocate da conflitti o povertà, ci sono sempre state, sono una costante della storia dell’umanità. La mancanza di canali sicuri e legali per l’emigrazione e la percezione della migrazione da parte di molti paesi come una minaccia, anziché come un fenomeno da gestire, sono aspetti preoccupanti e in netto contrasto con i valori per cui si batte Amnesty International.
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