Raffineria di petrolio vicino a Fiume (foto Joadl)

Raffineria di petrolio vicino a Fiume (foto joadl )

L'INA, la compagnia petrolifera croata, dal 2009 è al 49% dell'ungherese MOL, a seguito di una privatizzazione per cui è stato condannato per tangenti l'ex premier croato Ivo Sanader. Ora Zagabria la rivuole indietro, mentre Budapest vorrebbe vendere ai russi

17/11/2014 -  Matteo Tacconi

INA è la compagnia petrolifera croata. Vanta numeri importanti: 13mila dipendenti, quattromila barili sfornati quotidianamente, attività molteplici nell'estrazione e nella raffinazione, una rete di quattrocento stazioni di carburante (non solo in Croazia) e un bacino d'utenza di 178mila clienti al giorno. L'azienda figura al ventottesimo posto nella graduatoria di Deloitte sui primi 500 top player dell'Europa centrale, orientale e sudorientale.

INA è anche il primo esportatore del paese e nel 2013 gli utili sono stati pari a 140 milioni di dollari. Ma questi soldi non vanno nelle sole casse di Zagabria. Il gruppo è infatti controllato da MOL, l'omologa azienda ungherese. Ha dato la scalata a INA nel 2009. Ne detiene il 49,08% delle azioni (la quota di INA è del 44,84%), dopo che aveva fatto un promo investimento nel 2003.

MOL ha il profilo del colosso regionale. Nell'apposita graduatoria stilata di Deloitte si colloca infatti al secondo posto, dietro l'azienda petrolifera polacca PKN Orlen e prima della Skoda, storica casata automobilistica ceca, resuscitata e rilanciata con grande successo dalla Volkswagen.

Il fisco come arma

Succede, adesso, che Zagabria pretende di riassumere il controllo del pacchetto azionario di INA. Il confronto con MOL, che è un confronto tra governi, visto che sono Budapest e Zagabria a detenere il grosso del capitale delle rispettive aziende (solo una piccola quota appartiene ai privati), è diventato negli ultimi tempi molto, molto spigoloso. Si gioca una contesa serrata, tesa, che ha riflessi internazionali non trascurabili e fa scattare i nervi, portando anche a dispensare colpi bassi.

Zagabria ne ha piazzato uno qualche settimana fa, quando sul tavolo degli amministratori della compagnia è piovuto un documento, inviato dal ministero dell'Economia, con cui si sono chiesti indietro 52 milioni di dollari. Il motivo, secondo il governo croato, sta nel fatto che INA ha calcolato male le tasse da versare nel biennio 2011-2012. La somma è salata, dato che equivale a quasi un terzo dei profitti netti del 2013.

Da Budapest la risposta non s'è fatta attendere. Ogni obbligo fiscale è stato rispettato e la posizione del ministero  rischia seriamente di compromettere attività e investimenti, s'è specificato.

Non è la prima volta che la Croazia gioca di balzello. In passato INA è stata chiamata a giustificarsi anche in merito ai tributi del 2008. Ha versato il conto, ma ha presentato al tempo stesso ricorso. È ancora in fase di discussione.

È singolare, quando sta accadendo. Zagabria sta facendo a Budapest quello che quest'ultima fa ai grossi investitori stranieri: alza l'asticella delle tasse. Salito al potere nel 2010, il primo ministro magiaro Viktor Orban ha inanellato una serie di misure fiscali nei confronti di banche, gruppi della distribuzione, soggetti attivi nelle telecomunicazioni e nel comparto energetico, nella convinzione che la transizione sia stata fatta tenendo troppo in considerazione gli interessi dei grandi investitori stranieri e troppo poco quelli nazionali.

Il caso INA-MOL è diverso, ma fino a un certo punto. Non c'entrano la transizione e le sue dinamiche, ma quanto a interessi nazionali anche a Zagabria sono convinti che la cessione agli ungheresi sia stata condotta alla luce di fattori altri, rispetto alle esigenze reali del paese. Mazzette, volendo tagliare corto.

Tutta colpa di Sanader

La storia è nota. Nel 2012 l'ex primo ministro croato, Ivo Sanader, è stato condannato a dieci anni di carcere con l'accusa di tangenti. In cambio della scalata a INA ha ottenuto dieci milioni di euro da MOL. Il cui amministratore delegato, Zsolt Hernadi, ha avuto secondo la giustizia croata un ruolo esplicito nell'affare. Nei suoi confronti è stato spiccato un mandato di cattura internazionale, ma i togati magiari si sono opposti alla consegna, avendo giudicato loro stessi Hernadi e avendolo ritenuto pulito. 

In ogni caso, il governo croato ritiene che la condanna di Sanader dia modo di disfarsi degli accordi del 2009, in quanto viziati. La scalata di MOL sarebbe dunque priva di valore. L'intesa, tra le altre cose, prevedeva anche che il governo croato rilevasse interamente il comparto gas dell'azienda, non profittevole. Ma non è stato dato seguito a questo capitolo negoziale, proprio in virtù del dispositivo della sentenza che ha incastrato Sanader. 

I russi in agguato?

Si combatte accanitamente, ma il quadro non si sposta di una virgola. Non ancora. I croati rivogliono INA e azionano la leva fiscale; gli ungheresi non mollano e rispondono proponendo la chiusura della raffineria di Sisak, infastidendo Zagabria.

Corre voce, inoltre, che Budapest starebbe pensando di cedere la sua quota in INA ai russi. L'ipotesi ha fatto drizzare le antenne agli americani. Se Rosneft o Gazprom scucissero davvero i soldi necessari a prendersi INA, nell'Alto Adriatico e nella regione balcanico-danubiana nel suo complesso Mosca potenzierebbe la sua posizione strategica. Non auspicabile, visti i tempi che corrono.

Nella regione la Russia esprime posizioni forti, non soltanto perché ha in mano la carta South Stream, il lungo gasdotto che, partendo dalla Siberia, passando dal fondale del Nero e dalla Bulgaria, per poi risalire l'ex Jugoslavia, sfocerà alle porte di Vienna (al momento tutto è bloccato a causa della crisi ucraina). Mosca ha infatti messo gli occhi su Petrol, che sta alla Slovenia come INA alla Croazia. Senza contare che ha finanziato con somme enormi il nucleare ungherese, sul quale Orban scommette forte.  

Non basta. La Croazia ha infatti varato una strategia ambiziosa di esplorazione dell'Adriatico, convinta che sul fondale marittimo siano intrappolate immense risorse di oro nero. A fine anno verranno concesse le licenze. La ricerca di petrolio è una via di fuga – quanto fruttuosa non si sa – dalla crisi, che continua a mordere, tanto da fare del paese un vero e proprio caso scuola, ma al negativo. Anche quest'anno, come ogni anno dallo scoppio della recessione globale, il prodotto interno lordo avrà il segno negativo davanti. I consumi sono fermi al palo, il reddito pro capite cala, le aziende non assumono o peggio ancora chiudono i battenti. Si mormora persino che l'Europa stia pensando al bailout.

Chiusa parentesi. Torniamo al petrolio in Adriatico. I russi, se MOL vendesse a loro la sua quota in INA, potrebbero metterci le mani. Washington osserva con preoccupazione le vicende. Ha anche cercato di mediare tra INA e MOL, Croazia e Ungheria (ci si chiede dove sia l'Europa in tutto questo), ma senza risultati apprezzabili. Zagabria rivuole INA, Budapest non cede: né alle pressioni croate e né agli appetiti russi. Forse perché il controllo di INA, tutto sommato, è economicamente fruttuoso?  


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