Iliya Troyanov

Il noto scrittore di origine bulgara Iliya Troyanov, a Sofia per la presentazione del film "Il mondo è grande, e la salvezza è in agguato ad ogni angolo", tratto dal suo romanzo autobiografico, ci parla di false rivoluzioni, servizi segreti di regime e dell'importanza di viaggiare liberi

18/04/2008 -  Tanya Mangalakova Sofia

Iliya Troyanov, scrittore e giornalista, è nato in Bulgaria nel 1965. Nel 1971 è emigrato con i genitori in Germania, dove insieme alla famiglia riceve lo status di rifugiato politico. Troyanov ha poi vissuto a Nairobi, ha studiato a Parigi, per laurearsi poi in legge ed etnologia a Monaco di Baviera. Nel 2001 attraversa a piedi la Tanzania, sulle orme dell'esploratore inglese Richard Burton.
Scrive in tedesco, ed è autore dei libri "Sulle origini sacre dell'Islam", "Il collezionista di mondi", "Nomade su quattro continenti", che l'hanno posto alla ribalta della letteratura europea contemporanea. E' vincitore dei premi letterari "Bertelsman" (1997), "Adalbert Von Shamiso" (2000), "Città di Marburgo" (1996), del premio artistico della fiera del libro di Lipsia (2006), e del premio "Città di Berlino" (2007).
Intorno alla metà di marzo, Troyanov è arrivato in Bulgaria per assistere alla presentazione del film "Il mondo è grande, e la salvezza è in agguato ad ogni angolo", una coproduzione Bulgaria-Germania-Slovenia-Ungheria del regista Stefan Komandarev (e con Miki Majnolovic nel ruolo principale) tratto dal suo romanzo autobiografico.Troyanov ha poi incontrato i propri lettori per promuovere il suo libro di viaggi "Sulla strada di Gang", e del romanzo "Tempi da cani".
In un'intervista per l'Osservatorio sui Balcani Troyanov ci ha parlato della falsa rivoluzione dell'89 in Bulgaria, degli agenti della Darzhavna Sigurnost e del viaggiare a piedi senza carte né pregiudizi.

Lei scrive i suoi libri in tedesco. Come ha fatto a conservare un bulgaro così vivo e ricco, nonostante i tantissimi anni vissuti lontano dalla Bulgaria?

Con i miei genitori, a casa, ho sempre parlato in bulgaro. Io sono cresciuto in un ambiente multilingue. Ad un certo punto, quando abitavamo in Kenya, parlavo ogni giorno tre o quattro lingue: a scuola il tedesco, per strada l'inglese e lo swahili, a casa il bulgaro. A sedici anni ho deciso che volevo imparare anche a leggere in bulgaro, e allora mia nonna mi spedì un sussidiario per la prima elementare. Ho letto moltissimi romanzi degli autori classici bulgari.

A sei anni ha lasciato la Bulgaria, per vivere in diversi continenti. Cosa l'ha aiutata a comprendere così profondamente la natura della società bulgara, che descrive così bene nelle sue opere?

La cosa più importante, per uno scrittore, è saper ascoltare, riuscire ad incontrare gli altri, accumulare esperienze ed emozioni per non basare la propria scrittura su pregiudizi, ma mantenere aperta la propria anima. Su un autore di romanzi non è in grado di mettersi nei panni di altre persone, che magari hanno una vita diversissima dalla sua, penso sia meglio che cambi mestiere. Senza che io ne sia pienamente consapevole, ci sono moltissimi elementi della mia infanzia che continuano ad avere su di me grande influenza, e che forse mi permettono di capire la realtà bulgara meglio di quanto possa fare uno scrittore o giornalista occidentale.

Subito dopo la caduta del comunismo lei è tornato con la sua famiglia in Bulgaria, dove ha vissuto fino al 1990. Da allora torna almeno due volte l'anno. Cosa le fece maggiormente impressione la prima volta che ha rimesso piede in Bulgaria? E' d'accordo con quanti sostengono che la transizione sia finita?

Il dicembre 1989 era forse il momento più drammatico per tornare. Allora provai a dare una mano all'opposizione bulgara: misi su una mia casa editrice, attraverso la quale poteva utilizzare fax, computer ecc. Dopo qualche settimana, rimasi colpito dal fatto che anche gli esponenti dell'opposizione dipendevano dallo stato o dalla nomenclatura, e che molti avevano avuto posizioni di potere prima dell'89. Non capivo come qualcuno potesse cambiare la propria morale e le proprie convinzioni politiche dalla sera alla mattina. Mancava totalmente l'idea che fossero necessari grandi sforzi per liberarsi dell'eredità della dittatura comunista. Quando decisi di scrivere un libro e cominciai a raccogliere articoli, a viaggiare per il paese, a confrontare la transizione bulgara con quella di altri paesi dell'Europa orientale, i miei dubbi ne uscirono rafforzati. Decisi quindi di descrivere questa falsa rivoluzione. Ai miei occhi divenne chiaro che per raccontarla non si poteva limitarsi a cominciare dall'89, ma bisognava andare indietro di almeno dieci anni. Allora non sapevamo che la nomenclatura aveva da tempo cominciato a cercare contatti con il mondo capitalista, che enormi capitali erano stati portati fuori dalla Bulgaria, con grandi investimenti nei paesi occidentali. Chi era al potere, chiaramente, aveva capito che il sistema stava andando incontro al fallimento e allo sfascio. Negli anni '80, il debito estero della Bulgaria è cresciuto vertiginosamente, e dalle élite occidentali sono stati concessi grossi prestiti. Io credo che in Bulgaria non ci sia stata alcuna transizione nel senso positivo del termine, né nel campo del potere né in quello dei privilegi economici.

Come giudica il clima di nostalgia verso il comunismo, che si può avvertire al momento?

Esiste una nostalgia generazionale verso la propria infanzia, la propria giovinezza. In tutta l'Europa dell'est, basata su mezze verità. Ieri ero con i miei genitori in casa di alcuni loro amici. C'erano tre donne, tutte nate intorno alla metà degli anni '60. Una ha raccontato di come ha partorito nei corridoi di un ospedale, in condizioni miserevoli. Si dice spesso che al tempo del comunismo la sanità era gratuita, ma non si parla della qualità dei servizi forniti allora. Si tirano fuori fatti isolati, che appaiono attraenti, ma che sono citati al di fuori del contesto.

Durante la dodicesima edizione del "Sofia Film Fest" è stato proiettato il suo documentario "Avanti e non dimenticare! Una ballata per gli eroi bulgari", trasmesso nel 2007 in tv sia da "3sat" che da "ZDF". Il film racconta la storia di alcuni prigionieri politici rinchiusi nei lager comunisti, come Gergi Saraivanov, condannato per tre volte alla pena capitale, Georgi Konstantinov, autore dell'attentato al monumento a Stalin, poi marginalizzato ed escluso dalla Commissione sui Dossier, e Yanko Yankov, uno degli ultimi prigionieri del regime. Oggi i dossier vengono tirati fuori su commissione, e coloro il cui passato di agente della Darzhavna Sigurnost (i servizi segreti di regime) viene portato alla luce, si dichiarano patrioti, vantandosi di quanto hanno fatto. Lei come giudica la questione dei dossier?

E' in atto un ribaltamento dei ruoli tra vittime e carnefici. Questo è dovuto al fatto che non cìè mai stato un processo complessivo al passato regime. Parlando con gli studenti, ho capito che i giovani in Bulgaria non comprendono la natura del regime comunista. Nei libri di scuola non c'è alcuna informazione rispetto a questo periodo storico. La storia recente non viene insegnata, né a scuola né all'università. Non viene minimamente posta la domanda: come puoi considerarti un patriota, se hai servito uno stato straniero? Tutti gli agenti della Darzhavna Sigurnost erano al servizio dell'Unione Sovietica, e in ogni sua sezione c'era un colonnello del Kgb, a cui venivano inoltrate le informazioni raccolte. Se il signor Parvanov (il presidente della Repubblica) sostiene di aver raccolto informazioni per la difesa della patria, dovrebbe spiegarci perché queste informazioni sono state cedute ad uno stato terzo. In realtà queste persone potrebbero essere giudicate per tradimento.

Il suo romanzo "Il collezionista di mondi" somiglia alle novelle delle "Mille e una notte". Il protagonista, sir Richard Burton, è un ufficiale inglese, spia, antropologo, geografo, traduttore in viaggio attraverso India, Arabia, Africa orientale. In India diventa Burton Saheb e conversa con hindi, beluci e panjabi di ogni classe. In seguito, in Arabia si converte all'islam e fa il viaggio alla Mecca come Mirza Abdullah. In Africa è conosciuto come Buana Burton. Sul suo letto di morte, il prete accorso per l'estrema unzione ha seri dubbi sulla sua religiosità. Qual è la vera confessione religiosa di Burton?

Burton è un "No man's land" riguardo al rapporto con la religione. Lo scopo del romanzo è mostrare l'impossibilità di forzarlo all'interno di un'unica categoria.

Shaih Abdullah descrive la felicità come un viaggio, all'interno della carovana. Anche lei viaggia spesso in vari continenti. Come?

Mi sforzo di viaggiare lentamente, ed amo soprattutto viaggiare a piedi, anche sulle lunghe distanze. Sono convinto che viaggiare a piedi è il modo migliore di conoscere il mondo. Mi sforzo anche di portarmi dietro un bagaglio leggero, per partire senza pregiudizi e per permettere alle persone che incontro di lasciare il loro segno sulla mia coscienza e sul mio modo di pensare.

Quali carte utilizza durante i suoi viaggi?

Cerco di non usare carte di alcun genere, perché queste mostrano la realtà in modo univoco. Non è poi così difficile trovare la strada, basta guardarsi intorno e chiedere alla gente che si incontra. Questo rende più facile anche conoscere le persone dei luoghi visitati. D'altra parte, però, sono affascinato dalla storia delle carte. Anche le carte rappresentano un dogma, un assioma ideologico. La cosiddetta "proiezione di Mercatore" mostra il continente europeo di dimensioni molto più grandi di quanto non sia in realtà, mentre l'Africa diventa tre o quattro volte più piccola. Bisogna abituarsi a guardare con spirito critico anche alle carte.


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