Binari

© Dimša Lovpar/Le Courrier des Balkans

Nel 2022 le ferrovie bosniache celebrano il loro 150° anniversario dalla nascita nella più totale indifferenza. Anche la riapertura della magnifica linea tra Sarajevo e Ploče a bordo di carrozze Talgo spagnole suscita poco interesse

07/09/2022 -  Dimša Lovpar

(Originariamente pubblicato da Le Courrier des Balkans )

In Bosnia Erzegovina la storia ferroviaria è ricca quanto il paese è impervio. Nei 150 anni della loro esistenza, dal 1872 al 2022, le ferrovie bosniache hanno visto due imperi, un regno, una repubblica federale popolare, una repubblica federale socialista e infine una repubblica federale con due entità.

È su iniziativa degli Ottomani che le ferrovie della Bosnia Erzegovina dovevano essere integrate nel futuro collegamento tra Vienna e Costantinopoli. La prima linea, lunga 101,6 chilometri, inaugurata alla fine del 1872 tra Banja Luka e Dobrinja, era prevista come una delle sezioni del percorso. Sei anni dopo, al Congresso di Berlino, la Bosnia Erzegovina passò sotto il dominio austro-ungarico e le ferrovie divennero un'infrastruttura in chiave militare.

La neonata Amministrazione delle ferrovie reali e imperiali bosniache iniziò presto un'intensa fase di costruzione di binari. L'obiettivo era innanzitutto quello di garantire l'approvvigionamento logistico delle truppe di stanza nella nuova, e unica, colonia austro-ungarica. In un secondo momento le linee ferroviarie vennero aperte anche ai civili lungo l’asse Srpski Brod-Doboj-Zenica-Sarajevo. Si trattava della rete a scartamento ridotto più efficiente d'Europa. Le locomotive austriache viaggiavano a 60 km/h, una velocità record per il Vecchio Continente. Oggi i treni bosniaci viaggiano più o meno alla stessa velocità media. Ma si sono invertite le classifiche: è una delle medie di percorrenza più basse d’Europa...

© Dimša Lovpar/Le Courrier des Balkans

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Nel 1914, quando iniziò la Prima guerra mondiale, dopo l'attentato del 28 giugno a Sarajevo, la Bosnia Erzegovina aveva 1.200 km di ferrovie. Durante il periodo reale jugoslavo - tra le due guerre mondiali - ne vennero costruiti solo 300 in più. Nel 1946, le ferrovie bosniache furono integrate nelle Jugoslovenske Železnice, la compagnia nazionale jugoslava. Fu l'inizio del loro periodo d'oro. Le autorità titine iniziarono a modernizzare la rete a ritmo serrato: tutti i binari furono elettrificati e sostituiti con binari a scartamento standard di 1435 mm. Vennero installate stazioni di controllo centrali e la Istočna pruga (ferrovia orientale) collegò Sarajevo a Belgrado attraverso 99 gallerie.

Nel 1990, quando crollò il regime socialista jugoslavo, la Bosnia Erzegovina non aveva nulla da invidiare ad alcuni paesi occidentali: la rete era relativamente moderna, e il trasporto di passeggeri e merci era ben oltre il livello di sopravvivenza. Tutto però crollò con la guerra iniziata nella primavera del 1992. La nuova linea Tuzla-Zvornik, che allora conduceva a Belgrado, venne chiusa appena dieci giorni dopo la sua inaugurazione e ben presto tutti i collegamenti del paese subirono la stessa sorte. La rete subì ingenti danni durante i combattimenti, stimati in oltre un miliardo di dollari.

Coincidenza della storia o fallimento collettivo, la Compagnia ferroviaria della Federazione (l'entità croato-bosniaca) ha deciso di riaprire la linea "internazionale" tra Sarajevo e Ploče, in Croazia, proprio nel giugno di quest'anno. A poco più di otto anni dalla chiusura, l'annuncio ha ricevuto un'accoglienza locale piuttosto freddina. E per una buona ragione: in Bosnia Erzegovina quasi nessuno prende il treno, perché i viaggiatori preferiscono fin dall’indipendenza il più affidabile servizio di autobus... Le ultime linee ferroviarie principali hanno cessato l'attività all'inizio degli anni 2010 e gli scandali politici hanno avuto la meglio sugli ultimi appassionati di ferrovie.

© Dimša Lovpar/Le Courrier des Balkans

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Secondo alcuni media internazionali, tra cui il Guardian, questo percorso di 194 km, con 99 gallerie e 65 ponti, è tuttavia uno dei tragitti più belli al mondo. Ora viene fatto in carrozze Talgo, quelle del treno ad alta velocità spagnolo. Il servizio è previsto solo per l'estate, dal 1° luglio all'11 settembre di quest'anno, con tre partenze settimanali: il venerdì, il sabato e la domenica. Sono previsti sconti per cercare di massimizzare l'occupazione dei posti. Ad esempio, se viaggiate insieme ad un gruppo di sei persone o più riceverete uno sconto del 30% sul biglietto.

La prima cosa da sapere è che i biglietti non sono acquistabili online. Possono essere acquistati solo presso cinque punti vendita fino alle 14:00 del giorno precedente alla partenza. Non è molto pratico, direte voi, ma se "facilita l'attraversamento del confine" come dice il sito web dell'azienda, perché no...

Così, il giorno prima della partenza, mi dirigo alla stazione ferroviaria di Sarajevo. Sono le 11.15, un sole cocente sta facendo ribollire la conca in cui si trova la capitale bosniaca. La linea tranviaria che parte da Baščaršija è in costruzione da tempo. E probabilmente non terminerà a breve se si ascoltano le dure parole di alcuni passanti infastiditi dalla durata dei lavori, affidati a un'azienda cinese per risparmiare. Quindi eccomi qui, a fare una passeggiata di 45 minuti nella canicola.

Dopo la moderna e appariscente, ma volgare, ambasciata americana, appare l'edificio della stazione centrale di Sarajevo, un piccolo gioiello di architettura socialista brutalista. All'inizio ho una strana sensazione: la piazza è enorme e deserta, da dietro alla fontana vuota ci si aspetta che da un momento all'altro sbuchi una folla in festa per il 150mo non-anniversario della ferrovia bosniaca. Ovviamente non sarà così.

Dopo la delusione di essersi persi una grande festa, ci si sente un po' privilegiati ad avere il panorama tutto per sé. Perché l'edificio è imponente. Costruito dai prigionieri di guerra tedeschi tra il 1947 e il 1953, sulla base di progetti di architetti della Germania Est e della Cecoslovacchia, il cantiere non è stato semplice. La stazione era concepita come simbolo della potenza del blocco socialista: la disputa Tito-Stalin portò all'abbandono degli architetti originari per far posto a quelli locali. La sua imponente facciata ricorda la Westhauptbahnhof di Vienna. Una volta dentro, la sensazione di vuoto è ancora più marcata. È aperta una sola biglietteria.           

- Salve signora, un biglietto per Ploče per domani, per favore.

- Certo, 25 marchi per favore. Non fidatevi degli adesivi, il lettore per le carte di credito non funziona da 18 mesi...

La cassiera mi risponde in tono allegro, probabilmente felice di rompere la noia e la solitudine... ancora prima che io abbia estratto la carta dal portafoglio.

- Ah... e il bancomat più vicino?

- Vicino all'ambasciata americana...

- Sì, sì, bene grazie. Ci vediamo tra un minuto.

Mentre mi dirigo verso l'uscita, una viaggiatrice entra nella stazione deserta. Un fatto abbastanza raro da essere qui menzionato. Dopo un litro d'acqua e qualche scambio amichevole con la bigliettaia, ritorno in città con in tasca il mio prezioso biglietto per il giorno successivo. Non resta che attendere la partenza, sabato mattina.

Probabilmente preoccupata per la folla che potrebbe accalcarsi su uno degli unici due binari della stazione, l’azienda pubblica della Federazione, la FŽBIH, chiede ai viaggiatori di presentarsi 45 minuti prima della partenza. La prudenza non è mai troppa. I 18 carri Talgo scintillanti sul binario 2 contrastano con l'edificio della stazione in lento decadimento. L'unica ombra nella foto, e non la meno importante, è una locomotiva JŽ classe 441 che li porterà sulla costa croata.

Sapevamo che questo viaggio sarebbe stato pieno di sorprese, ma questa è una di quelle importanti: come può una vecchia motrice jugoslava, l'equivalente locale del famoso Alsthom CC 6500, trainare un treno ad assetto variabile? È necessaria una precisazione: l’assetto variabile è una tecnologia ferroviaria che prevede l'inclinazione del treno in curva, come un pendolo, in modo da compensare la forza centrifuga. L'obiettivo è mantenere il comfort dei passeggeri in condizioni accettabili ad alta velocità, anche in curva. E ci sono molte curve sulla linea Sarajevo-Ploče... Solo che questo richiede una rete ferroviaria decente, solida e ben mantenuta e motrici moderne. Solo gli spagnoli e i giapponesi, con lo Shinkansen, ne fanno un uso massiccio. Decido quindi di parlare con il controllore.

- Salve, come fa a trainarci un Končar 441? Non siamo troppo pesanti?

- No, le carrozze in realtà sono leggere e maneggevoli. Naturalmente, in pendenza, si perde velocità e bisogna stare attenti a non far bloccare l'aria condizionata, perché è quella che consuma più energia, ma per il resto va bene, il conducente è esperto.

- Avete qualche minuto per chiacchierare?

- Senz’altro, non è che sia sepolto di lavoro.

- Perché utilizzare le carrozze Talgo in Bosnia Erzegovina?

- (Ride) Mi sono posto la stessa domanda quando le abbiamo acquistate nel 2010. Nove treni, ma a che diavolo servivano? Forse pensavano che avremmo rinnovato l'intera rete ferroviaria in pochi mesi. Alcune delle persone che hanno deciso l’acquisto sono riuscite probabilmente a ottenere un po' di soldi per ampliare la casa o mandare i figli a studiare all'estero... Questa attrezzatura è rimasta a marcire per sei anni nel deposito centrale senza mai essere adoperata. Che spreco! Per un po' si è parlato di affittarli ai turchi, ma la gara d'appalto che ci eravamo aggiudicati è stata infine annullata a causa di una storia di corruzione a casa loro... Sei interessato… sei in vacanza?

- Non proprio: quest'estate scriverò di treni nei Balcani.

- Quindi, se volete fare delle belle foto, mettetevi nella carrozza di coda e verrò a trovarvi.

Ore 7.15, il treno parte, la carrozza è vuota. Ore 7.20, il controllore mantiene la promessa. Apre una porta automatica riservata al personale.

- Andiamo! Vedete questa maniglia? Tenendola abbassata per tre secondi, la porta si depressurizza. Quindi, ruotando la maniglia a metà, è possibile aprirla e scattare delle belle foto. Vi farò sapere non appena ci avvicineremo alla parte più bella del percorso.

Ed eccomi qui, fuori all’aperto per 3 ore e mezza, con i capelli al vento. Grazie collega. Anche se probabilmente, dal punto di vista della sicurezza, non è proprio il massimo.

© Dimša Lovpar/Le Courrier des Balkans

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