Un villaggio diviso a metà dal confine amministrativo tra Federazione ed RS. L'incontro con gli sfollati serbi che vi sono ritornati a vivere.
L'articolo è stato segnalato e tradotto in inglese da un gruppo di ragazzi della municipalità di Prijedor che, grazie all'Agenzia della Democrazia Locale attiva in quella città, sta seguendo un corso di formazione giornalistica. L'Osservatorio riceve grazie a loro una rassegna settimanale di articoli pubblicati sulla stampa locale e del nord della BiH.

03/07/2002 -  Anonymous User

Il villaggio di Slatina, BiH, viene chiamato "no man's land", la terra di nessuno. Il confine amministrativo tra RS e Federazione divide il paese in due parti. Per raggiungere il villaggio occorre percorrere uno sterrato con folti cespugli ai lati. Una strada sulla quale non viene fatta alcuna manutenzione. In una delle case di Slatina, ricostruita dal agenzia olandese DORCAS Aid, vive Zdravko Glusac, con 11 membri della propria famiglia.

"Sino a due anni fa abitavamo a Ljubljia (n.d.r. - frazione nelle vicinanze di Prijedor, RS). Quando la situazione è migliorata, abbiamo deciso di rientrare. Io e mia moglie abbiamo vissuto per un periodo nelle rovine della casa distrutta e poi DORCAS ce l'ha ricostruita ed allora sono tornati pure i miei figli con le proprie famiglie. Lavoriamo la terra e quello è la nostra unica fonte di reddito" racconta Glusac.

Prima della guerra a Slatina vivevano 107 famiglie per un totale di 400 abitanti. Sino ad ora sono 36 le famiglie che hanno deciso di rientrare. Solo 12 sono state le case sino ad ora ricostruite da parte delle agenzie internazionali e molti si aspettano che quest'opera di ricostruzione possa continuare. Il maggiore problema rimangono però i campi minati che circondano l'intera area. Sette anni dopo la fine della guerra nessuno sembra voler risolvere il problema anche se molte sono state le promesse.
"Nell'ottobre del 1995 l'Armija musulmana e l'esercito serbo-bosniaco si sono confrontati proprio qui ed hanno disseminato mine senza creare apposite mappe segnaletiche ed è per questo che risulta molto difficile lo sminamento" continua Glusac.
"Per puro caso non è ancora morto nessuno". E la gente sta divenendo sempre più impaziente, vorrebbe poter lavorare la propria terra, raccogliere legna nel bosco. E soprattutto sono preoccupati per i bambini.

"Quando ci rivolgiamo alle autorità di Sanski Most ci dicono di rivolgerci a Srpski Sanski Most e viceversa. Questa sembra proprio essere la terra di nessuno: non vi è una scuola, la più vicina è a Budimlic Japra, a 15 km, e non vi è alcun collegamento con i bus. Non vi è acqua nè elettricità. Solo questa strada sterrata con ai lati i cartelli con i teschi che ricordano il pericolo-mine", sottolinea Glusac, che mette anche in evidenza le palesi discriminazioni subite: "nel villaggio vicino, a Zenkovici, dove vivono alcuni bosniaci, è stata risistemata la linea elettrica e non capiamo perché questo non è ancora avvenuto da noi, che distiamo poche centinaia di metri".

"Se nulla verrà fatto si rischia di affrontare l'inverno in condizioni molto difficili. Senza poi contare il fatto che molti abitanti di Slatina occupano ancora case a Prijedor e Ljublia e verranno presto sfrattati senza sapere dove andare", ha concluso Glusac che rappresenta i rientranti di Slatina.

Abbiamo lasciato il villaggio con la speranza che qualcuno riesca a trovare le vie per aiutare queste persone, chiaramente ai margini dell'agenda politica locale. Chiedono che vengano ripulite le mine. Forse troppo? (Nezavisne Novine, 02.07.02)


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