Sarajevo © Andocs/Shutterstock

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I leader politici dei tre principali gruppi etnici in Bosnia Erzegovina costruiscono le loro narrazioni politiche quotidiane alcuni intorno a rivendicazioni autonomiste e altri intorno a aspirazioni centralizzanti. Difficile prevedere come finirà questo nuovo episodio della saga sulla richiesta di indipendenza della Republika Srpska

23/12/2021 -  Maja Sahadžić

(Originariamente pubblicato dal Center on Constitutional Change , il 17 novembre 2021)

L’Accordo di pace di Dayton del 1995 definisce la Bosnia Erzegovina (BiH) come uno stato costituito da due entità: la Federazione BiH (FBiH) e la Republika Srpska (RS). La Federazione BiH è composta da dieci cantoni, mentre la Republika Srpska ha una struttura unitaria. Il distretto di Brčko, una piccola entità situata nel nord-est del paese, fu creato solo nel 1999 a seguito di una procedura di arbitraggio. Oltre alla Costituzione della Bosnia Erzegovina, ogni entità, così come ogni cantone, ha una propria costituzione/statuto, un governo, un parlamento e propri tribunali. Va inoltre sottolineato che il sistema politico e costituzionale della Bosnia Erzegovina è fondato sul principio di uguaglianza tra i membri dei tre gruppi etnici definiti come popoli costituenti: bosgnacchi, croati e serbi (frutto dei rapporti di potere tra suddetti gruppi etnici durante la guerra in Bosnia del 1992-1995). Il concetto di popoli costituenti pervade l’intero sistema politico e costituzionale, garantendo ai tre gruppi etnici rappresentanza e partecipazione al potere esecutivo, legislativo e giudiziario.

La Bosnia Erzegovina è attraversata da due tendenze che vanno progressivamente rafforzandosi – da un lato un’ulteriore federalizzazione e, dall’altro, la centralizzazione – provocando, ciascuna a modo suo, nuove frammentazioni. La prima tendenza si riflette nelle ripetute minacce di indire un referendum sull’indipendenza della Republika Srpska e negli appelli affinché venga creata una terza entità, a maggioranza croata. La seconda tendenza si riferisce ai periodici tentativi dei partiti bosgnacchi di istituire un sistema unitario e di ritornare alla costituzione del 1992. I bosgnacchi temono che l’attuale quadro costituzionale possa facilitare la secessione della Republika Srpska e che i croati possano ottenere maggiore autonomia. Dall’altra parte, i serbi e i croati hanno paura di perdere la propria autonomia se dovessero prevalere tendenze centraliste. Questo si traduce in una coesistenza tutt’altro che facile e in un sentimento di sfiducia reciproca, alimentando tensioni a tutti i livelli di governo.

Periodicamente, la leadership della Republika Srpska minaccia di indire un referendum sull’indipendenza in risposta alle discussioni riguardanti il trasferimento dei poteri al livello centrale. L’élite politica della RS si oppone anche all’adesione dalla Bosnia Erzegovina alla Nato e all’esistenza di un sistema giudiziario centrale.

Le più recenti minacce all’integrità territoriale della Bosnia Erzegovina – minacce che rischiano di esacerbare ulteriormente le già tese relazioni tra i gruppi etnici presenti nel paese – sono arrivate dal membro serbo della Presidenza tripartita della BiH Milorad Dodik e dal partito da lui guidato (Unione dei socialdemocratici indipendenti, SNSD).

Lo scorso 28 ottobre Dodik ha presentato un documento strategico contenente un lungo elenco di rivendicazioni. Tra queste le più importanti sono: la richiesta di restituzione alla Republika Srpska di alcune competenze trasferite alle istituzioni centrali, in particolare quelle riguardanti le forze armate della Bosnia Erzegovina il Consiglio superiore della magistratura, il tribunale della Bosnia Erzegovina e l’Agenzia per le imposte indirette (nel caso tale richiesta non dovesse essere esaudita entro sei mesi dalla presentazione del documento, Dodik ha annunciato che proclamerà l’indipendenza della Republika Srpska); l’annuncio di voler abolire l’Agenzia di intelligence e sicurezza (OSA) e ritirare il consenso della Republika Srpska alla creazione dell’Agenzia di stato per le investigazioni e la difesa (SIPA), per poi creare simili agenzie in Republika Srpska; l’annuncio dell’intenzione di istituire un’agenzia per i medicinali della Republika Srpska (nonostante l’esistenza di un’agenzia del farmaco competente a livello nazionale, creata nel 2009) sulla base di una legge approvata dall’Assemblea della Republika Srpska lo scorso 21 ottobre nonostante l’opposizione abbia boicottato il voto. In precedenza Dodik aveva annunciato anche di voler abolire tutta una serie di misure adottate dall’Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina.

L’avventurismo politico di Dodik ha destato parecchio scalpore in Bosnia Erzegovina, in tutta la regione e a livello internazionale. Tuttavia, Dodik aveva già invocato la secessione talmente tante volte che le sue recenti minacce hanno lasciato perplessi molti politici, giuristi e diplomatici che hanno oscillato tra due affermazioni: “Siamo alle solite!” e “Questa volta la cosa è seria!”. È difficile valutare la gravità della situazione dal momento che le minacce di secessione e di una nuova guerra, solennemente pronunciate da Dodik, sono state accompagnate dalla sua decisione di invitare un musicista folk a recarsi nella sede della Presidenza della BiH per intrattenere alcune persone ospitate da Dodik nel suo ufficio, nonché da tutta una serie di affermazioni fatte dai leader politici dei tre popoli costituenti in Bosnia Erzegovina, ma anche dal presidente croato e quello serbo, compresa una battuta pronunciata a braccio [dal presidente croato Zoran Milanović] secondo cui è improbabile che in Bosnia Erzegovina scoppi una nuova guerra perché i tre principali gruppi etnici sarebbero talmente poveri da poter combattere solo lanciandosi castagne l’uno contro l’altro.

Il ripristino dei poteri precedentemente trasferiti alle istituzioni centrali; la sospensione, da parte dell’Assemblea della Republika Srpska, delle leggi e delle decisioni adottate dalle istituzioni centrali o dall’Alto rappresentante per la BiH, e l’appropriazione dei poteri statali sono questioni giuridiche interconnesse tra loro, legate alla divisione dei poteri in Bosnia Erzegovina.

In Bosnia Erzegovina le istituzioni centrali detengono alcuni poteri esclusivi, seppur ristretti, mentre le due entità hanno ampi poteri residuali. La Costituzione della Bosnia Erzegovina prevede che tutti i poteri e le funzioni che non sono esplicitamente attribuiti alle istituzioni centrali spettino alle entità (articolo 3, paragrafo 3). Inoltre, secondo quanto previsto all’articolo 3, paragrafo 5, lettera a, le istituzioni centrali possono arrogarsi ulteriori poteri riguardanti le questioni legate alla tutela della sovranità, dell’integrità territoriale, dell’indipendenza politica e della personalità internazionale della Bosnia Erzegovina, ma solo con il consenso di entrambe le entità e rispettando la ripartizione dei poteri. In altre parole, il trasferimento delle competenze dalle entità alle istituzioni centrali può avvenire solo con previo consenso delle due entità (articolo 4, paragrafo 4, lettera d). Ad esempio, fino al 2005 in Bosnia Erzegovina c’erano due eserciti, l’Esercito della Federazione BiH e l’Esercito della Republika Srpska. Per poter creare un unico esercito era necessario trasferire i relativi poteri dalle entità alle istituzioni statali. Nel 2006, del tutto inaspettatamente, le due entità raggiunsero un accordo sulla creazione di un esercito congiunto e così nacquero le Forze Armate della Bosnia Erzegovina.

Tuttavia, nel corso degli anni le due entità, soprattutto la Republika Srpska, si sono dimostrate restie a consentire il trasferimento dei poteri alle istituzioni centrali. Inoltre, nella Federazione BiH il processo di trasferimento delle competenze è ulteriormente complicato dal fatto che l’attribuzione delle competenze all’entità si basa su meccanismi diversi da quelli utilizzati per l’attribuzione delle competenze ai cantoni. Quindi, solo pochi poteri, oltre a quelli legati alla politica di difesa, sono stati trasferiti alle istituzioni centrali, compresi quelli contestati da Dodik.

A partire dal 2006, le istituzioni centrali hanno introdotto le cosiddette “competenze parallele” allo scopo di elaborare nuove politiche e norme in alcuni ambiti, come ad esempio le leggi quadro sull’istruzione primaria, secondaria e terziaria. L’élite serbo-bosniaca ha però continuato ad ostacolare il trasferimento dei poteri al livello centrale, temendo che tale processo potesse indebolire la Republika Srpska. Allo scopo di garantire una qualche forma di coordinamento, l’Ufficio dell’Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina (istituito nel 1995 con il compito di vigilare sull’implementazione degli Accordi di Dayton; può adottare e applicare decisioni per superare situazioni di stallo nel processo decisionale) ha imposto una serie di decisioni sulla base delle quali alcune competenze sono state trasferite al livello centrale, compresa la legge sul Consiglio superiore della magistratura e quella sull’imposta sul valore aggiunto, entrambe approvate dall’Assemblea parlamentare della Bosnia Erzegovina. Tuttavia, la Republika Srpska ha più volte invocato con veemenza la soppressione delle istituzioni create per volere dell’Alto rappresentante (il tribunale della BiH, la procura della BiH e il Consiglio superiore della magistratura), proprio a causa del modo in cui sono state create.

Da un punto di vista prettamente giuridico-costituzionale, le richieste di Dodik possono essere facilmente respinte. Non c’è alcuna possibilità legale che un livello di governo inferiore decida le sorti di una legge approvata da un livello di governo superiore. I parlamenti delle due entità – in questo caso l’Assemblea della Republika Srpska – non possono modificare né abrogare una legge adottata dal parlamento centrale, cioè dall’Assemblea parlamentare della Bosnia Erzegovina. L’Assemblea della Republika Srpska non può annullare unilateralmente la legge sulla difesa, la legge sui servizi segreti, etc. Queste leggi possono essere modificate o abrogate solo dall’istituzione che le ha approvate, quindi dall’Assemblea parlamentare della BiH. Allo stesso modo, le leggi imposte dall’Alto rappresentante possono essere emendate o abolite solo da quest’ultimo e dall’Assemblea della BiH. Quindi, la Republika Srpska può legittimamente impugnare una legge in seno all’Assemblea della BiH, ma è poco probabile che vinca la contesa. Un’altra possibilità per contestare le leggi approvate dall’Assemblea della BiH o le decisioni imposte dall’Alto rappresentante è quella di ricorrere alla Corte costituzionale della Bosnia Erzegovina.

La questione poi si complica ulteriormente. Non è infatti chiaro se e come le entità possano ripristinare i poteri trasferiti al livello centrale perché l’attuale ordinamento costituzionale bosniaco-erzegovese non prevede alcuna specifica procedura da applicare in tali situazioni. La Costituzione della BiH non contiene alcuna disposizione che regoli questa questione. Si potrebbe obiettare che se il trasferimento dei poteri può essere deciso solo di comune accordo tra le due entità, allora lo stesso principio dovrebbe valere anche per il ripristino dei poteri. Tuttavia, nelle circostanze attuali, ogni iniziativa per il ripristino dei poteri trasferiti alle istituzioni centrali che non trovi un fondamento nel testo costituzionale o nelle leggi vigenti è da considerarsi pericolosa.

Una cosa però è certa: a prescindere dal fatto che le entità abbiano trasferito alcuni poteri alle istituzioni statali sulla base di quanto previsto dalla Costituzione o che tale trasferimento sia stato imposto dall’Alto rappresentante, questi poteri non possono essere unilateralmente ripristinati da una delle due entità approvando un’apposita legge o ritirando il proprio consenso al trasferimento. Come ho sottolineato prima, l’Assemblea parlamentare della BiH è l’unica istituzione a poter modificare le leggi relative al trasferimento dei poteri dalle entità alle istituzioni centrali.

Dall’altra parte, la Costituzione conferisce ampi poteri alle entità ed è forse proprio per questo motivo che la leadership della Republika Srpska si sente autorizzata a intraprendere azioni che sta intraprendendo. Tuttavia, la Costituzione della Bosnia Erzegovina prevede che le entità e le unità che le compongono debbano rispettare pienamente le disposizioni costituzionali (articolo 3, paragrafo 3, lettera b), nonché garantire la conformità delle proprie leggi al dettato costituzionale (articolo 12, paragrafo 2).

L’aspetto più problematico però non è quello giuridico, bensì quello politico. Preservare il delicato equilibrio in Bosnia Erzegovina è una sfida assai complessa che richiede una serie di competenze che, a quanto pare, i leader politici bosniaco-erzegovesi non possiedono. In Bosnia Erzegovina le aspirazioni decentralizzanti, basate su un costituzionalismo subnazionale, sembrano sopravvivere solo grazie ai discorsi politici divisivi. Lo scopo della retorica infiammatoria probabilmente non è quello di innescare un conflitto armato. Tuttavia, nessuno dei dilettanti politici che ricorrono a questa retorica sembra essere consapevole dei pericoli insiti in essa. A favore della Republika Srpska gioca il fatto di essere organizzata in un’unica unità territoriale e di essere abitata perlopiù da serbi. Da sottolineare anche che tutti i leader politici in Republika Srpska, a prescindere dal partito a cui appartengono e dal programma che promuovono, sono favorevoli all’indipendenza della Republika Srpska e costruiscono i loro discorsi intorno alle questioni legate alla Costituzione, ai poteri, alle competenze e alle istituzioni della RS.

La situazione nella Federazione BiH è nettamente diversa per il semplice fatto che si tratta di un’entità suddivisa in cantoni e abitata da bosgnacchi e croati, che nutrono aspirazioni diverse. I partiti politici bosgnacchi cercano di rafforzare la propria posizione in seno alle istituzioni centrali dove promuovono aspirazioni centralizzanti. I croati non godono di alcuna autonomia territoriale e istituzionale in Bosnia Erzegovina, motivo per cui occupano una posizione inferiore all’interno del sistema. I leader politici croato-bosniaci hanno spesso invocato la necessità di creare una terza entità “croata”, senza però insistere sulla necessità di avere una propria costituzione.

I leader politici dei tre principali gruppi etnici in Bosnia Erzegovina costruiscono le loro narrazioni politiche quotidiane da un lato intorno alle rivendicazioni autonomiste e, dall’altro, intorno alle aspirazioni centralizzanti. È difficile prevedere come finirà questo nuovo episodio della saga sull’indipendenza della Republika Srpska. Certo è però che il suo epilogo dipenderà dai rapporti di potere in Bosnia Erzegovina. Tutte le ipotesi annunciate da Milorad Dodik, pur essendo prive di qualsiasi fondamento normativo, possono ancora avverarsi.

 

L'autrice

Maja Sahadžić è ricercatrice e docente ospite presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Anversa (Belgio) È stata ricercatrice in visita presso l'Università di Toronto, il Max Planck Institute for Comparative Public Law and International Law di Heidelberg, l'Università di Hong Kong e la MGIMO University. È stata consulente o consulente presso l'Ambasciata degli Stati Uniti, la DSC, l'ONU, l'UNDP e l'USAID.

 

Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "Bosnia Erzegovina, la costituzione e l'integrazione europea. Una piattaforma accademica per discutere le opzioni” sostenuto dalla Central European Initiative (CEI). La CEI non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto. La responsabilità sui contenuti è unicamente di OBC Transeuropa. Vai alla pagina dedicata al progetto


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