Elsa Morante (CC)

Elsa Morante (CC)

Elsa Morante era conosciuta in Jugoslavia: Il suo celebre romanzo "La Storia" uscì nel 1987 nella traduzione di Razija Sarajlić. Božidar Stanišić, che all'epoca scrisse una recensione del libro appena tradotto, riflette ancora sul romanzo della Morante e su quegli anni

08/04/2024 -  Božidar Stanišić

Non ricordo l’ultima volta che ho visto una serie televisiva. Una dimenticanza attribuibile, ovviamente, alla mia età. Però non mi sono lasciato sfuggire il nuovo adattamento televisivo del romanzo La Storia di Elsa Morante, per la regia di Francesca Archibugi, con Jasmine Trinca nel ruolo della protagonista. A dire il vero, mia moglie non è del tutto convinta che io abbia visto tutti i dettagli e sentito tutti i dialoghi. Ma sì che li ho visti e sentiti, lo giuro! Hmm, secondo mia moglie, ho spesso commentato La Storia come se fossi dietro le quinte dell’adattamento televisivo di quello “scandalo che dura da diecimila anni”. Ma esiste un buon consiglio su come osservare e leggere la Storia per chi le vicende del XX e del XXI secolo le percepisce e sente più vicine del colletto della propria camicia?

Provo a riassumere una parte dei miei commenti (non) pronunciati durante quelle quattro serate d’inverno in cui è andata in onda la serie tratta da La Storia di Elsa Morante? Non so a chi possa interessare, però scrivo lo stesso.

Quando, nel 1987, nella collana Feniks della casa editrice sarajevese Svjetlost, uscì una traduzione serbo-croata de La Storia, scrissi una recensione di questo romanzo di Elsa Morante. Per Oslobođenje, Oko, Odjek o forse per il terzo programma di Radio Zagreb? Non me lo ricordo (Dopo la guerra, un famoso scrittore jugoslavo disse ad una mia amica italiana che ai tempi della Jugoslavia leggevo e scrivevo di tutto, un’osservazione che mi fece sorridere. Non è che leggessi proprio tutto).

Mi ricordo: quando la splendida curatrice della collana Feniks Jasmina Musabegović [1] mi inviò i due volumi de La Storia, fui letteralmente assorbito dal flusso narrativo del racconto di vita di Ida Mancuso e dei suoi figli, trascinati nel vortice della Seconda guerra mondiale (“Libri, anche oggi!”, disse il postino consegnandomi La Storia).

Una volta letto il romanzo, ne scrissi una recensione – me la ricordo bene – osservandolo esclusivamente come una opera letteraria. Ovviamente, una recensione positiva. Soltanto un critico meschino troverebbe difetti in quel libro. All’epoca non sapevo che in Italia negli anni ’70 La Storia avesse suscitato numerose reazioni e polemiche, a destra come a sinistra, e che non fosse stata accolta positivamente né da chi sosteneva il modernismo (ad ogni costo) né da chi promuoveva lo sperimentalismo (sempre ad ogni costo) nella letteratura in prosa.

L’inizio e la fine del romanzo (e tutto ciò che c’è in mezzo) erano sfuggiti ai vari sapientoni come una verità dimenticata: in fondo, un grande romanzo è sempre ed esclusivamente una buona storia. Una storia che non parla solo del suo autore (l’incapacità di comprendere questo aspetto ha portato all’attuale predominio dell’io narrante che, non riuscendo a guardare oltre il proprio ombelico, parla solo di sé), ma anche, e soprattutto degli altri. Quegli altri in cui si specchia il nostro io e il volto dell’epoca in cui viviamo.

Da tempo ormai so che anche Calvino, scrittore a me caro, aveva criticato La Storia di Elsa Morante (lo so perché era stata proprio la Storia a portarmi in Italia). Narratore raffinato, Calvino alla fine si era lasciato trascinare da un discorso ideologico. Aveva sbagliato nella stessa misura in cui avevano sbagliato anche i socialisti russi reagendo alla pubblicazione de Il cappotto di Gogol’. Erano infastiditi dal sentimento di compassione che il destino del povero Bašmačkin suscitava nei lettori. Ma quale ideologia può controllare i sentimenti?

Mi ricordo, seppur vagamente: in quella recensione de La Storia, basandomi sulle informazioni fornite dalla traduttrice Razija Sarajlić, scrissi qualche parola anche sull’autrice.

Elsa Morante? In ex Jugoslavia di lei si parlava e scriveva perlopiù in riferimento a suo (ex) marito, Alberto Moravia. La traduzione serbo-croata de La Storia fu pubblicata due anni dopo la morte dell’autrice, quindi tredici anni dopo la prima edizione italiana. Alla domanda della mia vicina di casa – incantata dal recente adattamento televisivo del romanzo di Elsa Morante – se la grande scrittrice italiana fosse conosciuta in Jugoslavia, ho risposto di sì. Poi, probabilmente spinto da un sentimento patriottico, ho precisato che la prima edizione serbo-croata de La Storia uscì in 5000 copie e che nello stesso anno fu pubblicata anche la traduzione de L’isola di Arturo [2].

Se oggi qualcuno proveniente dalla regione ex jugoslava mi chiedesse di scrivere una recensione de La Storia?

Non mi preoccupo, è un’ipotesi irrealistica. Sto solo cercando una scusa per aggiungere qualche riflessione a quella mia prima recensione, ormai smarrita e avvolta dall’oblio. Oggi scriverei: questo è un romanzo sulla sofferenza che va ben oltre un preciso momento storico. Un romanzo in cui la cronaca dei tempi felici è molto breve, confinata alla parte iniziale del libro, ai giorni in cui in Ida ancora brilla un barlume di speranza: c’è la guerra, però finirà.

Scriverei anche che ogni racconto di guerra arriva dopo (come anche la filosofia, direbbe Kiš) – è sempre stato così, da Omero a Tolstoj, da Remarque ai giorni nostri – e quindi arriva invano. Aggiungerei poi che gli scrittori dovrebbero essere più modesti: la letteratura non può cambiare il mondo, potrebbe però far capire ad un’altra umanità, migliore di quella attuale, che una storia ben scritta e convincente ha più senso se riesce a nobilitare milioni di persone, anziché pochi individui. E che lei, Elsa Morante, è stata una narratrice con la N maiuscola, geniale nella sua capacità di riconoscere l’impotenza dell’individuo nel caos della Storia. Una scrittrice inclusa nella mia “lista” degli autori antimilitaristi capaci di sollevare la questione: Come andare avanti dopo la guerra?

Tornando all’edizione serbo-croata de La Storia, mi preme sottolineare che oggi la traduttrice Razija Sarajlić, sorella del poeta Izet Sarajlić (morta durante l’assedio di Sarajevo), è quasi dimenticata nel paese dove, in un periodo caratterizzato da un impressionante risveglio culturale, si era distinta come un’ottima traduttrice dall’italiano (se avete un attimo di tempo, provate ad accedere al catalogo digitale della Biblioteca nazionale della Bosnia Erzegovina: Razija Sarajlić, click. Oltre al suo nome citato nel colophon dei libri tradotti, in rete non troverete nulla su questa traduttrice).

Un dettaglio curioso: Razija Sarajlić aveva scelto di tradurre “uno scandalo” (che dura da diecimila anni) con “sablazan” [termine serbo-croato che significa spettro, fantasma]. Qualcuno più raffinato di me direbbe che si tratta di una traduzione libera. Sablazan. Proprio così, come se Razija Sarajlić avesse intuito che i fantasmi del passato si stessero avvicinando alla Bosnia e che fossero destinati a rimanere.

Forse però sarebbe meglio concludere con un aneddoto più allegro. In quella cittadina bosniaca, in cui per anni avevo lavorato come insegnante, avevo un vicino di casa che amava un buon bicchiere. Un’abitudine che a sua moglie non piaceva affatto. Notte fonda. Dum dum, la scala risuona dei colpi del vicino che bussa alla porta d’ingresso del suo appartamento. Dum dum, dentro – silenzio. “Dai, apri! Sei la mia Claudia Cardinale… la somma di tutte le belle donne di questo mondo!”. Silenzio, ancora. Poi la porta si apre. La notte scorre tranquilla verso l’alba (sulla copertina di quella edizione serbo-croata de La Storia pubblicata nella collana Feniks c’era un dettaglio di una scena del primo adattamento televisivo del romanzo di Elsa Morante, con Claudia Cardinale).

Tradisco la promessa appena fatta, concludendo con un interrogativo. Claudia Cardinale è Ida, tra le sue braccia – Useppe. Quante Ide ci sono nel XXI secolo? Da Gaza all’Ucraina, passando per tutte le aree, lontane dai riflettori, di questo mondo che consideriamo nostro. Quanti sacchetti di popcorn, bottiglie di birra, bicchieri di Coca-Cola, confezioni di cracker in cellophane, bicchierini di superalcolico sono rimasti vuoti sui tavoli e sui comodini nelle nostre confortevoli case dopo la nostra partecipazione mediatica alla Storia?

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[1] Jasmina Musabegović (Vogošća, 1941 – Sarajevo, 2023), scrittrice, saggista, traduttrice dal francese, curatrice editoriale. Concluso il liceo classico, si è laureata alla Facoltà di Filosofia di Sarajevo, per poi trascorrere due anni a Parigi dove ha frequentato un corso di perfezionamento e scritto un libro su Rastko Petrović. Al rientro a Sarajevo è stata assunta dalla casa editrice Svjetlost dove resterà fino alla pensione. Ha esordito giovanissima sulla scena letteraria jugoslava, scrivendo romanzi, saggi, studi sulla letteratura. Alcune delle sue opere hanno avuto diverse ristampe. Il suo romanzo Skretnice [Deviatoi] è stato incluso nell’edizione Bošnjačka književnost u 100 knjiga [Letteratura bosgnacca in 100 libri], pubblicata dalla comunità culturale bosgnacca “Preporod”, ed è uno dei venticinque libri che compongono l’edizione Muslimanska književnost XX vijeka [Letteratura musulmana del XX secolo] uscita prima della guerra per i tipi della casa editrice Svjetlost. Ha trascorso gli anni di guerra a Sarajevo. Nella città tenuta sotto assedio dai serbi ha scritto numerosi contributi per quotidiani e riviste e tenuto diversi seminari.

[2] Editore Prosveta, Belgrado 1987; traduzione: Jasmina Livada. Nel 2023 il romanzo è stato ripubblicato in edizione croata (Arturov otok, Petrine knjige, Zagabria; traduzione: Mirna Čubranić) e quella serba (Arturovo ostrvo Vulkan, Belgrado; traduzione: Jasmina Tešanović). Il romanzo Menzogna e sortilegio è la prima opera di Elsa Morante pubblicata in ex Jugoslavia (Matica srpska, Novi Sad, 1972; traduzione: Ivanka Jovičić e Miodrag Kujundžić). Un’edizione serbo-croata della raccolta di racconti Lo scialle andaluso è uscita nel 1989 per i tipi della casa editrice Gradina di Niš (traduzione: Ana Srbinović ed Elizabet Vasiljević).


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