© Ivica Drusany/Shutterstock

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Con il suo “Una passione balcanica. Calcio e politica nell’ex Jugoslavia dall’era socialista ai giorni nostri”, Giordano Merlicco ripercorre le tappe di uno sport seguitissimo nella regione, e che ha avuto una stretta relazione col nascere e il crescere dei nazionalismi

10/01/2024 -  Diego Zandel

Un'opera unica nel suo genere, per quanti amano il calcio e i Balcani. Parliamo del libro di Giordano Merlicco “Una passione balcanica. Calcio e politica nell’ex Jugoslavia dall’era socialista ai giorni nostri”, pubblicato dall’editore pugliese Besa Muci. Unica perché coniuga sapientemente lo sport principe della vecchia Jugoslavia socialista e delle nuove repubbliche nate dalla sua dissoluzione con la politica della quale è stato, non solo uno strumento importantissimo di consenso, ma anche una sorta di emanazione. E, per qualcuno, dopo, anche una continuazione della guerra interetnica o un riflesso dei rapporti all’interno delle diverse componenti etniche e religiose dei singoli Stati.

I più anziani e meno giovani ricorderanno il grande calcio jugoslavo, i tanti campioni che le diverse squadre cittadine, dalla Stella Rossa al Partizan di Belgrado, dalla Dinamo di Zagabria all’Hajduk di Spalato, per citare le principali, hanno poi fornito alla nazionale della ex Jugoslavia (si pensi al serbo Siniša Mihajlović, al croato Zvonimir Boban o allo stesso Dejan Savićević, montenegrino, che di questo libro ha firmato la prefazione). Squadre che poi nel tempo hanno resistito alla loro fama e che ancora adesso sono protagoniste sia nei nuovi campionati statali che in quelli internazionali, con la differenza di una mutazione al loro interno di alcuni riferimenti nei simboli, nella storia e nello spirito, intendendo con questa parola l’humus sociale e culturale che era stato alle origini della loro composizione.

Squadra per squadra, per quanto riguarda le maggiori nel contesto di ogni singolo Paese, Merlicco analizza, con ammirevole ricchezza di particolari, storia e mutamenti alla luce dei rivoltamenti che la Jugoslavia di Tito ha subito, non solo dopo il suo crollo, ma negli anni stessi che l’hanno preceduto, con il coinvolgimento diretto della politica e dei suoi maggiori protagonisti, da Slobodan Milošević a Franjo Tuđjman, da Željko Ražnatović alias “comandante” Arkan a Radovan Karadžić, passando, paradossalmente, per gli accordi di Dayton che, sancendo una Bosnia Erzegovina formalmente unita, ma divisa al suo interno dalle spezzettature etniche e religiose, ha fatto sì di trascinare queste ultime pure nel campionato di calcio locale. Emblematica, a riguardo, la partita Dinamo-Stella Rossa nello stadio Maksimir di Zagabria del 13 maggio 1990, per molti il vero inizio della guerra che sarebbe scoppiata ufficialmente l’anno dopo.

Ma prima ancora, ovvero nel corso degli anni Ottanta, dopo ovviamente la morte di Tito, le singole squadre locali, tutte nate come espressioni dei comunisti (Stella Rossa), dei partigiani (Partizan) o dei ferrovieri (Dinamo) e così via, sono state usate in chiave di affermazione nazionalista: serba per la Stella Rossa (il cui colore ormai ha solo un significato folkloristico) e il Partizan; croata per la Dinamo e l’Hajduk (nazionalismo usato dai tifosi delle rispettive due squadre di Zagabria e di Spalato, anche contro, ad esempio, la squadra del Rijeka della cosmopolita Fiume, accusata per questo di essere serba, nel significato di traditrice, perché di scarso sentimento patriottico croato).

Naturalmente, i mutamenti radicali sono avvenuti durante e a guerra finita. La Stella Rossa è stato strumento nelle mani di Milošević, che ha consegnato il tifo organizzato nelle mani di Arkan, mentre sulla Dinamo di Zagabria ha pesantemente influito Tuđjman, il quale, finché è vissuto – contrariamente alla volontà dei tifosi che lo hanno a lungo dileggiato – ha cambiato il nome della squadra in Croatia, per farne espressione e simbolo dell’unità del popolo croato (nome, che dopo la morte di Tuđjman è tornato ad essere Dinamo).

Venendo alla Bosnia Erzegovina, il campionato unitario ha dato vita a squadre che sono ciascuna espressione delle diverse entità etniche che compongono lo Stato secondo lo schema tripartitico di Dayton. La conseguenza, scrive Merlicco, è che “le partite di club sono diventate altrettanti scontri tra nazioni (…) Borac-Sarajevo viene così percepita come uno scontro tra serbi e bosgnacchi, Zrinjski-Željezničar come una partita tra croati e bosgnacchi”. Con il bel risultato che “sugli spalti gli ultrà fanno sfoggio di simboli nazionali e inscenano provocazioni su base etnica; gli incidenti sono quindi frequenti, perfino in caso di partite amichevoli”.


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