Il palazzo della Pace all'Aia, sede della Corte internazionale di giustizia © FouadZ/Shutterstock

Il palazzo della Pace all'Aia, sede della Corte internazionale di giustizia © FouadZ/Shutterstock

La Corte internazionale di giustizia dell'Aja lo scorso 22 febbraio ha emesso alcune sentenze inerenti ai rapporti tra Armenia e Azerbaijan. Entrambi i paesi hanno fatto ricorso alla corte dopo il conflitto del 2020 e più di recente dopo gli scontri del settembre 2022 e il blocco del corridoio di Lachin

07/03/2023 -  Marilisa Lorusso

Il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha inviato, alla fine dello scorso anno, una lettera al governo dell’Azerbaijan su violazione dei diritti umani e crimini di guerra. Si ricorda che erano girati anche sul web filmati che documentavano casi di tortura di prigionieri di guerra sia nel 2020 che negli scontri del settembre 2022. In particolare aveva causato oltraggio la sorte di Anush Apetyan, soldatessa armena il cui corpo era stato violato, smembrato e profanato a Jermuk. Il governo dell’Azerbaijan si era impegnato a svolgere un'indagine relativa alle varie prove che stavano emergendo ma il 2022 si è concluso con nulla di concreto.

Il ministero degli Esteri armeno ha sottolineato come , al febbraio 2023, non sia ancora pervenuta nessuna risposta alla lettera di sollecito dell’Onu. Yerevan continua inoltre a esercitare pressione anche per la sorte dei prigionieri di guerra che si troverebbero ancora in mano azera e di quanti risultano ancora scomparsi, dagli scontri del 2022 e dalla guerra dei 44 giorni del 2020.

Al ministero degli Esteri armeno ha risposto il portavoce di quello azero che ha accusato la controparte di ipocrisia, data la lunga storia di violazioni commesse nel trentennio che separa la prima e la seconda guerra del Nagorno Karabakh e che ha confermato che Baku sta investigando sui casi di crimini .

La corte internazionale di Giustizia: Armenia vs Azerbaijan

Dopo la guerra del 2020 l’Armenia si è rivolta alla Corte Internazionale di Giustizzia dell’Aia con un contenzioso che si basa sulla Convenzione internazionale sull’Eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 21 dicembre 1965. La parte armena ha attivato questa procedura affinché l’Azerbaijan garantisca la sicurezza dei prigionieri di guerra, si astenga da istigare l’odio anti armeno e tuteli il patrimonio artistico, religioso e culturale nelle aree che sono passate sotto il suo controllo. A questo iniziale procedimento se ne sono aggiunti altri due, uno dopo gli scontri del settembre 2022, e uno a dicembre per il blocco sia delle persone sia dei servizi del corridoio di Lachin.

L’Armenia ha perorato davanti alla Corte il movente etnico del blocco, perché questo impedisce agli armeni del Karabakh di godere degli stessi diritti degli altri cittadini, come per esempio l'accesso alle cure, ai servizi, la libertà di movimento e i ricongiungimenti familiari. Yerevan interpreta il blocco come un tassello nel mosaico di pulizia etnica perché le condizioni di vita nell’area isolata sono tali che presto i residenti si saranno costretti a evacuare, e insiste sul fatto che il movimento sedicente ecologista che ha causato la crisi non sia spontaneo ma istituito e controllato dal governo centrale azero.

L’Azerbaijan sostiene invece che la protesta sia spontanea e che non impedisca il movimento lungo il corridoio, come dimostra il quotidiano passaggio dei mezzi dei peacekeepers e della Croce Rossa. Baku nega anche che le interruzioni di flusso di gas siano intenzionali.

La Corte ha ritenuto di dover indicare misure provvisorie data l’urgenza del rischio per i residenti del Karabakh, a cui ha riconosciuto lo stato di isolamento causato dalla protesta e la conseguente crisi umanitaria. Ha pertanto ritenuto valido l’obbligo per l’Azerbaijan di garantire la sicurezza delle persone e dei beni che devono poter transitare liberamente sul corridoio di Lachin, come sancito dalla dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020. La dichiarazione pone infatti il corridoio sotto il controllo dei peacekeeper russi, con l’obbligo dell’Azerbaijan di non impedirne l’accesso. La corte non ritiene invece di avere sufficienti prove relative all’intenzionalità dell’interruzione del flusso di gas.

Pertanto l’ordine della Corte del 22 febbraio è che: “[…] l'Azerbaijan, in attesa della decisione finale e in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione, adotti tutte le misure a sua disposizione per garantire il movimento di persone, veicoli e merci lungo il corridoio di Lachin in entrambe le direzioni, senza ostacoli.”

L’ordine della Corte è stato accolto ovviamente molto positivamente a Yerevan. Avendo ottenuto una così autorevole legittimazione delle proprie posizioni sulla questione di Lachin (rimangono aperte invece le altre questioni, la misura si riferisce solo alla crisi umanitaria in Karabakh), il primo ministro armeno auspica ora che in assenza di una implementazione dell’ordine della Corte Baku subisca delle conseguenze imposte dalla comunità internazionale. L’Ordine della corte ha carattere cogente, e l’Azerbaijan è pertanto ora tenuto ad implementarlo.

Azerbaijan vs Armenia

Lo stesso 22 febbraio la Corte ha emesso un ordine relativo al contenzioso aperto dall’Azerbaijan contro l’Armenia. Il contenzioso si riferisce alla stessa Convenzione e riguarda la posa di mine e di ordigni esplosivi. L’Azerbaijan richiede che la Corte imponga all’Armenia di adottare tutte le misure affinché Baku possa sminare e garantire il rientro in sicurezza degli sfollati di guerra nei distretti di Lachin, Kalbajar e tutta la zona che è passata sotto il proprio controllo. Queste misure riguardano sia la comunicazione sulla presenza di mine sia di altri ordigni esplosivi, la consegna della mappatura della posa delle mine e l’immediata interruzione della posa stessa. L’Azerbaijan ha presentato due volte questa richiesta alla Corte, precisando che sono emerse nuove prove che l’Armenia stia piazzando nuovi esplosivi con lo scopo specifico di colpire civili etnicamente azeri. La presenza di questi strumenti di morte dimostrerebbe la volontà di Yerevan di impedire i ritorni nelle aree riconquistate dall’Azerbaijan, ferendo, uccidendo e intimidendo gli sfollati azeri che intendono reinsediarsi nelle aree da cui sono fuggiti 30 anni fa.

L’Armenia nega, e sostiene che le mine sono state collocate a scopo difensivo e quindi nel proprio territorio e che ulteriori mine ritrovate sono i resti delle operazioni militari precedenti e che gli ordigni esplosivi non sono utilizzati dall’esercito armeno. Quelli ritrovati in case private potrebbero essere stati lasciati da privati costretti ad abbandonare le proprie abitazioni per l’avanzata dell’esercito azero.

La Corte ha deciso che l’Azerbaijan non ha presentato prove indicanti che l’Armenia sta utilizzando le mine antiuomo con lo specifico scopo di pregiudicare il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, di diritti delle persone etnicamente azere.

Il ministero degli Esteri dell’Azerbaijan ha dichiarato che continuerà a cercare giustizia.

Le sentenze del 22 febbraio rappresentano una nuova tappa di una battaglia legale in corso tra Armenia e Azerbaijan presso la Corte Internazionale di Giustizia, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite. Il tribunale ha precedentemente ordinato a entrambi i paesi di prevenire la discriminazione nei confronti dei cittadini dell'altro e di non aggravare ulteriormente il loro conflitto ultradecennale.

L’Azerbaijan ha aperto un nuovo contenzioso relativo alla Convenzione per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa, anche nota come convenzione di Berna, contro l’Armenia per distruzione dell'ambiente in Karabakh. È la prima volta che un paese chiede un arbitrato interstatale ai sensi di tale convenzione.


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